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Economia

Confermato il maxi sequestro (finalizzato alla confisca) di beni mobili ed immobili fino alla concorrenza della somma di 45,425 milioni di euro da parte della Cassazione nei confronti dell'ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, disposto dal Tribunale di Treviso. Vincolo confermato anche per il conto corrente presso il Banco popolare intestato alla moglie, con un saldo di 220mila euro e dossier titoli di 4,7 mln.

Alla base della misura cautelare, ricorda la V Sezione penale, la condotta volta ad ostacolare l'esercizio della funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (Consob e Banca d'Italia), commesse in qualita' di amministratore delegato della banca, "comunicando un patrimonio di vigilanza non corrispondente al vero perche' non decurtato del valore di una pluralita' di operazioni che l'indagato aveva posto in essere con enti e persone fisiche con l'impegno, da parte della banca, di riacquisto degli strumenti finanziari ceduti", per un valore complessivo proprio di 45,425 milioni.

In altri termini, l'indagato aveva compiuto una serie di operazioni su obbligazioni della banca "al fine di simulare un apprezzamento del mercato di tali strumenti finanziari il cui riacquisto veniva invece garantito dal Consoli, in nome della banca".

Non vi è quindi, scrive la Corte, "alcuna sproporzione fra i fatti illeciti compiuti e le somme sottoposte al vincolo, che, anzi, sotto il profilo monetario, coincidono perfettamente". Del resto, Veneto Banca, chiosa la decisione, dalle condotte di ostacolo alla vigilanza 'aveva conseguito solo dei danni in quanto avevano contribuito a ritardare i rilievi della autorita' e, in definitiva, ad accentuare lo squilibrio finanziario della banca'.

La Corte ha cosi' respinto l'eccezione di costituzionalità sollevata dalla difesa con riferimento alla intervenuta modifica dell'art. 187 sexies Dlgs n. 58 del 1998 ad opera dell'art. 4 Dlgs n 107 del 2018 che ha escluso la possibilita' di precedere alla confisca, sia diretta sia per equivalente, dei beni utilizzati per commettere l'illecito amministrativo limitando la misura 'al prodotto o al profitto dell'illecito'.

Il Legislatore, spiega infatti la Corte, 'ha cosi riconfigurato la risposta sanzionatoria complessiva dei soli illeciti amministrativi, contemplati dal Dlgs n. 58 del 1998, lasciando invariata quella derivante dalla commissione delle condotte di rilievo penale, non disponendo analoga modifica dell'art. 187 TUF che, quindi, ancor oggi, consente la confisca, diretta e per equivalente, dei beni strumentali alla consumazione dei delitti di insider trading e di aggiotaggio'.

'Non si e' creato pertanto - conclude sul punto - quell'unicum, rappresentato dalla sola disciplina prevista dall'art. 2641 cod. civ., in tema di confisca per equivalente dei beni utilizzati per compiere il reato, che il ricorrente denuncia per argomentare ulteriormente l'illegittimita' costituzionale di tale norma'.

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