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Esteri
Elezioni Argentina: populista contro peronista. Ma governerà comunque il FMI
Milei

Massa contro Milei: ma la situazione economica drammatica dà il potere al FMI

In un clima teso, l'Argentina si prepara ad andare alle urne domenica prossima sprofondata in una profonda crisi economica quasi senza ritorno. È un Paese che per dare solo un'idea, conta nei primi sei mesi di quest'anno un tasso di povertà del 40,1%, il livello più alto dal crollo dell'economia nel 2001. Quasi una persona su due insomma registra un tasso di indigenza sotto la media.   

Numeri drammatici per la terza economia dell'America Latina, un gigante del continente che non riesce a rialzarsi. L'inflazione a due cifre è stata la norma in Argentina per una dozzina d'anni, ma quest'anno è andata fuori controllo raggiungendo il 143% su base annua, un massimo da 32 anni a questa parte, in concomitanza con un costante deprezzamento della valuta. I dati ufficiali più recenti indicano che il Pil è sceso del 2,8% nel secondo trimestre dell'anno, segnando un forte rallentamento economico.

Il Paese si sta così sgretolando sotto il peso del debito, eredità di un prestito di 44 miliardi di dollari contratto nel 2018 con il Fondo Monetario Internazionale. Il governo sta negoziando su base quasi permanente per allentare gli obiettivi del piano di rifinanziamento/accompagnamento firmato nel 2022 con il Fondo, il 22esimo nella storia del Paese.    Cercando di stimolare la crescita dopo un crollo del Pil di oltre il 6% negli ultimi due anni, il governo argentino deve oltre 26 miliardi ad investitori privati, di cui 22,13 miliardi relativi a titoli soggetti a legislazione nazionale, 4,16 miliardi sottoposti a legge estera. Inoltre ci sono 3,7 miliardi dovuti a istituzioni finanziarie internazionali e 2,4 miliardi sul debito precedentemente ristrutturato. Ottavo Paese al mondo per estensione (2,8 milioni di km2), 45 milioni di abitanti, il Paese abbonda di risorse naturali, tra cui gas, petrolio e litio. I suoi terreni fertili ne fanno un importante esportatore di soia, grano e mais. E non dimentichiamo la carne bovina, fiore all'occhiello dell'esportazione e religione per gli argentini, che sono i maggiori consumatori al mondo (insieme all'Uruguay), con 48 kg all'anno per persona.    

In questo quadro, dicevamo, gli argentini andranno a votare per il ballottaggio delle elezioni presidenziali: il ministro dell'Economia peronista Sergio Massa affronterà l'outsider libertario Javier Milei per determinare il futuro di un gigante ferito, in ginocchio. Massa o Milei sostituirà il Presidente uscente di centro-sinistra Alberto Fernandez, anch'egli del movimento peronista fondato dall'ex Juan Peron e da sua moglie "Evita", che è stato la principale forza politica argentina per decenni. Il vincitore entrerà in carica il 10 dicembre.    

Massa si presenta al secondo turno con un certo slancio dopo aver inaspettatamente vinto il primo turno di ottobre, quando ha ottenuto il 37% contro il 30% di Milei, ribaltando le previsioni dei sondaggisti. Tuttavia, Milei potrebbe raccogliere più voti di centro dopo aver ottenuto l'appoggio della conservatrice Patricia Bullrich, terza classificata al primo turno, che ha ottenuto 6,3 milioni di voti, circa il 24%. Non tutti però andranno a Milei.

I sondaggisti prevedono una gara serrata, con alcuni che favoriscono Massa e altri Milei. Le visioni sono diverse: Milei vuole dollarizzare l'economia e ridurre le dimensioni del governo, Massa vorrebbe mantenere il peso e cercare di sostenere il mercato del lavoro e la crescita. Quale che sia la politica, quello che è sicuro è che il nuovo governo dovrà rianimare l'economia, con gli investitori e gli obbligazionisti che tengono i conti sono sotto osservazione, e affrontare una legislatura frammentata e divisa in tre tra i peronisti, il principale blocco conservatore, e la coalizione libertaria di Milei.    Non c'è tempo da perdere: le previsioni di crescita economica non sono molto incoraggianti. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che il Pil argentino scenderà del 2,5% quest'anno, il che richiede sforzi immediati da parte della nuova amministrazione per invertire questa tendenza. Lo stesso Fondo prevede che solo alla fine del 2024 si potrà raggiungere un tasso del 2,8%.

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