Sostenere il lavoro significa contrastare le ingiustizie sociali
Alcuni studi recenti condotti da prestigiosi istituti di ricerca si sono interrogati sul rapporto tra diseguaglianza e crescita. Tra questi due lavori realizzati dall’OCSE e dal Fondo Monetario Internazionale forniscono spunti molto importanti. Il primo riportato nella recente pubblicazione “In It Together: Why Less Inequality Benefits All”, argomenta su come una minore diseguaglianza potrebbe garantire benefici per l’intera economia. Nel secondo dal titolo “Fiscal Consolidation and Income Inequality” si evidenzia invece come il processo di risanamento dei bilanci condotto in molti paesi europei, abbia spesso amplificato le disparità di reddito generando per altro un aumento della disoccupazione. Mediante modelli econometrici anche molto sofisticati, i due contributi dimostrano che le diseguaglianze inibiscono non solo processi crescita sociale ma anche economica.
E’ oggi facilmente dimostrabile la relazione tra diseguaglianza e mancata crescita: un paese ingiusto cresce meno di un territorio in cui sia possibile l’accesso alla conoscenza ed alle opportunità a prescindere dal ceto sociale di provenienza. Il dato più interessante è che l’accesso al lavoro viene individuato in entrambi gli studi come il principale fattore di disuguaglianza sociale. Per questa ragione sia l’ OCSE sia il Fondo monetario internazionale, nelle raccomandazioni riservate ai decisori, suggeriscono di adottare misure urgenti per contrastare la disoccupazione (in particolare femminile e giovanile) attraverso programmi di politica attiva, qualificazione dei servizi per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro e formazione, puntando l’indice sulla mancanza di investimenti. I dati europei durante questi lunghi anni di crisi mostrano invece che in media l’Europa ha fatto poco per sostenere l’accesso al lavoro come strumento per combattere la disuguaglianza ed al tempo stesso favorire la crescita.
Tra il 2009 ed il 2012 nel pieno della crisi, la spesa dei 28 paesi della UE per le politiche del lavoro è passata dal 2,3% del PIL all’1,8% e in particolare quella delle politiche attive è diminuita dall’0,52% allo 0,47% mentre le risorse per le politiche passive sono passate dall’1,38% all’1,2% del prodotto interno lordo. La parabola recessiva ed i vincoli di bilancio hanno spinto moltissimi paesi a ridurre gli investimenti sui servizi sui servizi, sulla formazione e sui sussidi ai disoccupati proprio nel momento di massima espansione della disoccupazione, mentre cioè diminuisce l’accesso all’istruzione universitaria ed aumenta la platea delle forze di lavoro potenziali (che considerati i disoccupati insieme agli scoraggiati ed ai sottooccupati), quel capitale umano inutilizzato che ormai rappresenta il vero esercito di riserva europeo. I risultati degli studi considerati mostrano quindi che se la diseguaglianza inibisce la crescita e il principale fattore di diseguaglianza è la partecipazione al lavoro investire sulle politiche e sulla qualità del lavoro significa ridurre le diseguaglianze e quindi creare le condizioni per una maggiore crescita economica.