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Lucio Dalla, "ragnino peloso in perizoma che faceva miracoli col pianoforte"

Lucio Dalla e Paola Pallottino, una canzone inedita e i 50 anni di 4/3/1943

A 9 anni dalla morte di Lucio Dalla, a 50 dalla nascita di Gesùbambino, conosciuta dai più come 4/3/1943, il libro di Massimo Iondini, Dice che era un bell’uomo, racconta retroscena inediti sulla genesi di una canzone che ha fatto la storia della musica e della cultura italiana, e sulla donna che l’ha scritta: Paola Pallottino.

Presentata al Festival di Sanremo 1971 finì subito al centro di un caso: prima scartata, poi ripescata, sottoposta a censura e infine vincitrice del terzo posto del podio, oltre che di un premio creato ad hoc, quello per il miglior testo.

Dice che era un bell’uomo (in uscita il 9 marzo, con la prefazione di Pupi Avati e l'introduzione di Gianni Morandi) ripercorre questa e le altre vicende legate alla breve ma intensa collaborazione tra Dalla e Pallottino, svelandoci poi una scoperta clamorosa: l’esistenza di un’inedita versione dalliana del brano La ragazza e l’eremita, un testo di Paola musicato nel 1994 da Angelo Branduardi ma su cui, venticinque anni prima, aveva messo le proprie note anche Lucio Dalla.

Affaritaliani.it ha intervistato proprio Paola Pallottino per parlare in anteprima del libro.

Solare, diretta e ironica, la sua voce graffiante mi racconta per telefono dell’anno appena trascorso: “Mi sono rotta un femore, ho dovuto operarmi, ma adesso sto bene e con la scusa del lockdown che ci ha chiusi tutti in casa non se n’è accorto nessuno”.

Paola Pallottino b
 

Il 9 marzo uscirà il libro Dice che era un bell’uomo, il genio di Dalla e Pallottino. Impressioni?

Massimo Iondini ha fatto un lavoro meraviglioso. Mi aveva già intervistata in passato, ma poi è venuta fuori questa idea del libro e io avevo conservato tutta una serie di articoli che hanno fornito un bel materiale. All’epoca ero molto emozionata e li collezionavo tutti in un librone che poi Massimo ha consultato, lavorandoci molto bene. Ma quello che più mi ha commossa è la tesi che porta avanti nel libro: che Lucio poeta non è nato soltanto con la collaborazione - per altro stupenda - con Roversi, ma anche con la nostra.

Per questo ha lavorato molto sui testi delle canzoni, scoprendone anche uno, La ragazza e l’eremita, che io avevo dato a Lucio e che lui aveva accennato al pianoforte. Ho ancora una cassetta di quell’episodio, ma, non avendola mai pubblicata in nessuno dei suoi dischi, ignoravo che ne avesse fatta anche una versione in studio con la Sony. Per cui, avendo questo testo senza musica, l’ho poi dato a Branduardi, con cui lavoravo. Quindi oggi esiste lo stesso testo con due musiche differenti, quella di Angelo e quella di Lucio conservata non so dove.

Come e perché è finita la vostra collaborazione?

Con la storica lite per Il gigante e la bambina. È regola tristissima che i vincitori di Sanremo con la canzone successiva non raggiungano lo stesso livello, ma io avevo cucito il testo addosso a Lucio come un sarto, sapevo già come avrebbe pronunciato ogni parola. Lucio compose una musica stupenda, dopodiché regalò la canzone a Rosalino Cellamare. Io non ero d’accordo, anche perché al tempo era troppo giovane per una canzone creata per l’esperienza, per la potenza vocale immaginifica e espressiva di Lucio. Che poi l’ha ricantata, ma non è stata la stessa cosa. Lì avvenne una violenta separazione. Ma c’eravamo ritrovati negli ultimi anni.

Rancori? Rimpianti?

No. Semplicemente, litigammo in maniera furibonda e le strade si separarono. Ci fu poi il fatto che Lucio non ha mai posto la minima censura alle mie parole, anche se non era facile cantare delle poesiole già fatte con una propria metrica interna - a cui ho sempre tenuto molto - lui le ha sempre meravigliosamente musicate. Nel caso di Gesùbambino la censura è venuta da fuori, e noi abbiamo dovuto cedere altrimenti non l’avrebbero diffusa, ma appunto è stata una censura esterna. Invece ne Il gigante e la bambina scoprii che alcuni versi erano stati cambiati, non so da chi né perché. Ma ormai ero talmente arrabbiata che non m’importava neanche più.

Ti chiese scusa per questo?

Ma figurati! Lucio chiedere scusa per questo? Era convinto che io facessi malissimo a non aiutare Rosalino, quindi figurati se chiedeva scusa. Lucio era fatto così.

Tornando a Gesùbambino, a 50 anni dalla sua nascita, per altro nei giorni del Festival di Sanremo, cosa resta secondo te di questa canzone? Oggi arriverebbe sul palco dell’Ariston?

È stata una rottura forte rispetto allo standard dei contenuti e delle canzonette che andavano a quei tempi. Ma è roba di mezzo secolo fa, ce ne ricordiamo solo noi vecchietti, quelli che l’hanno difesa. Resta il ricordo di quella lotta, e di come Lucio ha superato sé stesso cantandola: è stata un’esperienza bellissima. Ma i giovani oggi non la conoscono, il Festival è cambiato, c’è stata un’evoluzione dei contenuti, dei testi… non so se andrebbe a Sanremo oggi.

E a 9 anni dalla sua morte, cosa resta di Lucio?

Quando l’ho conosciuto io, Lucio non era amato a Bologna, poi con il successo è scattato il “santo subito”, cosa che in Italia succede anche con ogni decesso importante. Posso dire che a me manca molto, e lo sento più nel tempo. Certo, alla notizia della sua morte rimasi molto colpita, ma è con gli anni che avverto di più la sua mancanza.

Un ricordo personale?

Ce ne sono così tanti… Lui aveva questo modo stregonesco di approccio verso il prossimo, per cui ti guardava e scopriva immediatamente quale era il tuo punto debole. Oppure indovinava dettagli incredibili, perfino la data di nascita delle persone che aveva davanti, e per me era sempre motivo di meraviglia, di stupore, questa sua attitudine ludica. Certo poi sapeva anche essere bugiardo e da questo bisognava difendersi, però aveva una acutezza di giudizio veramente straordinaria. E poi si sa che agli artisti si tende a perdonare tutto.

Quando pensi a lui, quale immagine ti si forma nella mente?

Lui, ragnino tutto peloso che si aggira per casa in perizoma, si mette al pianoforte con quelle sue manine piccolette e tira fuori dei miracoli. Sai, nel tempo ho visitato molte case di Lucio, ma soprattutto nell’ultima, in via d’Azeglio, dove lui aveva raccolto tutta una serie di materiali, busti, quadri, oggetti, io giravo per le stanze e pensavo: “Santo cielo, quest’uomo ha fatto tutto da solo”. Nessuno gli ha mai regalato niente. Lucio, con furia, con rabbia, con genialità, ha costruito la sua vita; non è stato aiutato, ha fatto veramente tutto da solo, e questo mi commuoveva sempre molto.

Quale canzone di Dalla scritta da altri avresti voluto scrivere tu?

Itaca. O Nuvolari. Le mie predilette.

Oggi avresti ancora voglia di scrivere per lui?

Sì. Io ho continuato a scrivere comunque. A breve uscirà Donna circo, una rielaborazione di un disco del 1974, un’opera dalla parte delle donne in cui decenni fa con Gianfranca Montedoro parlavamo già di femminicidio, aborto, condizione femminile, e tutto sotto metafora dei numeri del circo. Poi un disco sui bambini e l’infanzia, Bianco come la neve rosso come il sangue musicato e cantato da Silvano Pantesco, e un altro, d’Amour fu, sulla follia femminile d’amore, aspetta ancora le musiche. Ma il mio vero mestiere è quello di storica dell’arte, e con Treccani ho appena pubblicato Le figure per dirlo, storia delle illustratrici italiane; mentre sto aggiornando una collana di altri volumi d’arte che un editore di Milano vuole ristampare… Però, sì, magari potessi lavorare ancora con Lucio.

Dice che era un bell'uomo Copertina Massimo Iondini b
 

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