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CurB, un team italiano d’eccellenza per sconfiggere l’HBV e l'epatite B

di Debora Bionda

CurB, un team italiano d’eccellenza per sconfiggere l’HBV e l'epatite B

Sono 300 milioni le persone nel mondo che hanno contratto il virus dell’epatite B e 1 milione di loro ogni anno muore per patologie conseguenti all’infezione da HBV. Numeri che spaventano.

Circa un terzo della popolazione mondiale nel corso della sua vita viene a contatto con il virus dell’epatite B, nel 95% dei casi, il sistema immunitario riesce a risolvere la situazione, nel 5% dei casi, invece, accade che il virus si radica all’interno del fegato. Per queste persone il rischio di contrarre patologie epatiche gravi (cirrosi epatica, tumore al fegato, insufficienza epatica) aumenta repentinamente. Questa forma di epatite diventa cronica nel 5% degli adulti contagiati dal virus e in oltre il 50% dei bambini al di sotto dei 5 anni. 

Se pensate che non sia un problema italiano, vi sbagliate: se è vero infatti che in Italia chi è nato dopo il 1991 è stato vaccinato contro l’HBV, è anche vero che la restante parte della popolazione resta esposta al contagio. I vaccini in uso, tra l’altro, sono in grado di prevenire l’infezione ma non di curare l’epatite B cronica, per il cui trattamento esistono pochi farmaci antivirali che vanno assunti per tutta la vita. Chi si ammala inizia così un calvario fatto di farmaci da assumere per sempre, senza peraltro la certezza di ridurre il rischio dell’insorgere di un cancro al fegato. Si tratta di terapie che hanno costi elevati per il sistema sanitario, basti pensare che dal 2009 al 2015 la spesa sanitaria per la cura dell’epatite B cronica, in Lombardia, è raddoppiata passando da 12 a 24 milioni di euro. Nella sola Lombardia la percentuale di persone affette da HBV è dell’1,3%, ma l’aumento dei flussi migratori da e verso Paesi a rischio (Asia, Africa e America Latina soprattutto) non permette di abbassare la guardia nei confronti del virus.

In questo contesto, un team di ricerca d’eccezione ha deciso di unire competenze ed energie per riuscire nell’impresa di individuare le molecole in grado di bloccare la replicazione del virus HBV. E visto che il nemico è forte, hanno pensato di attaccarlo su più fronti e con armi differenti: Promidis Srl con le piccole molecole (i comuni farmaci per intenderci), Università degli Studi di Milano con le grandi molecole, la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia con gli anticorpi monoclonali e per testare l’efficacia dei composti sono in prima linea la Fondazione Istituto Nazionale Genetica Molecolare per i test in vitro e l’Ospedale San Raffaele per i test in vivo.  Al fianco di una squadra di questa portata, con uno scopo così importante, è schierato l’assessorato per la Ricerca, Innovazione, Università, Export e Internazionalizzazione di Regione Lombardia contribuendo in modo consistente al finanziamento del progetto con fondi Por Fesr. Il progetto CurB, infatti, è inserito all’interno degli Accordi per la Ricerca e l’Innovazione di Regione Lombardia e ha ricevuto un contributo di oltre  3,3 milioni di euro su un valore complessivo stimato di  oltre 5,6.

Denaro che non solo contribuirà a trovare delle soluzioni scientifiche per sconfiggere un temibile nemico della salute, ma che ha permesso a dei giovani ricercatori di lavorare con un assegno di ricerca. Tra di loro c’è anche chi ha deciso di tornare in Italia, in controtendenza rispetto all’attuale fuga di cervelli all’estero. È la professoressa Emanuela Licandro, ordinario di chimica organica all’Università degli Studi di Milano, a raccontarci le storie meravigliose delle menti straordinarie che hanno lavorato al progetto in UNIMI: “Quando abbiamo avuto il finanziamento dalla Regione, abbiamo deciso di destinare una grossa parte dei fondi ricevuti per arruolare un gruppo di assegnisti già in possesso di dottorato. Tra le candidature ricevute, abbiamo scelto una ragazza che aveva fatto il dottorato all’estero, uno stage negli Stati Uniti e avrebbe potuto rimanere all’estero perché le avevano offerto una borsa di studio, ma lei ha deciso di tornare in Italia. E noi ne siamo contenti, ha dato un contributo fondamentale al progetto. Abbiamo arruolato anche un uomo di 40 anni, una persona molto in gamba di origine serba, che ha girato il mondo e ha fatto il dottorato in Spagna. Si è rivelato un ricercatore di alto livello. Oltre a loro abbiamo arruolato una ragazza che veniva da Napoli e un ragazzo che veniva da Padova. Tra di loro si è creato un autentico e produttivo spirito di gruppo con scambio di informazioni e di cultura, hanno fatto un lavoro straordinario, tanto che tutto quello che abbiamo praticamente completato la nostra parte di ricerca all’interno del progetto. Non resta che aspettare le risposte biologiche alle molecole identificate.”

Ma come è nata l’idea di creare un “super team di ricerca” per la cura dell’epatite B? Lo abbiamo chiesto al dottor Romano Di Fabio, coordinatore del progetto: “A fronte del fatto che mancano farmaci per sradicare il virus HBV e risolvere in maniera completa la patologia, è stato realizzato un partenariato importante tentando di approcciare il problema da diversi punti di vista. Abbiamo contattato persone molto esperte allo scopo di massimizzare la probabilità successo. Sono state messe in piedi 3 linee di ricerca: una su piccole molecole o farmaci propriamente detti, un’altra su farmaci di origine biologica (anticorpi monoclonali di origine umana), con la terza si è tentato di ottenere frammenti di dna modificati che siano in grado di inibire la replicazione del virus. Al termine della ricerca, sarà possibile arrivare a un farmaco con ogni probabilità di combinazione in grado da rendere massima l’efficacia. Abbiamo cercato di coordinare questi approcci, impostando il progetto come si fa nei grandi gruppi farmaceutici multinazionali. Questo team di lavoro sta ottenendo dei risultati molto importanti. Siamo riusciti nel giro di due anni e mezzo a identificare composti originali molto potenti.”

Il caso CurB è la dimostrazione che unire le forze per uno scopo comune è il modo migliore per ottenere dei successi, che la collaborazione tra partner industriali e della ricerca di base dà grandi risultati, che sostenere giovani ricercatori è un messaggio di speranza che contrasta con la temibile fuga di cervelli e che le istituzioni al servizio di innovazione e ricerca rendono possibili progetti che altrimenti non potrebbero esistere.

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