Milano
Case popolari, dalla politica servono soluzioni e non retorica
Quanto è civile una politica che tiene i disgraziati nella disgrazia invece di prendere una quota fissa del bilancio regionale e metterla sulle case popolari?
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C'era una volta la retorica sull'Aler Milano. Ogni anno la stessa storia. Ogni volta che si va a votare la stessa storia. Ogni santa volta che spunta un'urna da qualche parte, le stesse promesse. E le stesse polemiche, un po' pelose. E francamente schifose, perché le case popolari sono case, e dunque pezzi di cemento più o meno brutti (generalmente, assai brutti). Ma la gente che c'è dentro sono persone, sono donne, sono figli, sono mariti, sono lavoratori o disoccupati. Io vengo da un quartiere popolare. Anzi, dalla città con più case popolari d'Europa. E con molti di quelli che vengono schifati e usati, usati alle elezioni e schifati dopo, in un eterno loop, ci sono cresciuto. Sì, c'è la delinquenza. Sì, ci sono le occupazioni abusive. Sì, ci sono gli ascensori rotti e ci sono vecchi che rimangono chiusi al nono piano per mesi. Sì, c'è tutto questo. E ci sono i ragazzini che danno fuoco ai cassonetti. E c'è l'inciviltà. Ma quanto è civile una politica che tiene i disgraziati nella disgrazia, invece di crederci davvero, invece di prendere una quota fissa del bilancio regionale e metterla sulle case popolari? Ecco, io vorrei che di case popolari, in campagna elettorale, non si parlasse se non per proporre soluzioni. Niente polemiche, niente recriminazioni. Solo soluzioni. E nessun voto da andare a prendere in quei quartieri. Nessuno. Neppure una preferenza. Perché la politica, con loro, è in debito. Non hanno nulla, o hanno pochissimo, ma un credito ce l'hanno. Ed è proprio con i politici di tutti gli schieramenti.