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Caporalato Uber: Cgil, Camera del Lavoro e 23 rider saranno parte civile
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Caporalato Uber: Cgil, Camera del Lavoro e 23 rider saranno parte civile

La Cgil nazionale, la Camera del Lavoro di Milano e altri 23 rider (oltre ai 21 gia' ammessi in precedenza) saranno parte civile nel processo per caporalato di cui e' in corso a Milano l'udienza preliminare, dopo la maxi-indagine condotta dal pm Paolo Storari che ha portato al commissariamento di Uber Italy (poi revocato il 4 marzo scorso). A deciderlo stamattina e' stata la gup Teresa De Pascale. Al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Milano si sta discutendo dell'ammissione dell'azienda come responsabile civile nel processo, il che implicherebbe la partecipazione ai risarcimenti nei confronti dei fattorini danneggiati. In base alle indagini i rider venivano pagati meno di tre euro a consegna e reclutati da una societa' intermediaria, la Flash Road City, i cui titolari erano i fratelli Giuseppe e Leonardo Moltini. Il secondo ha chiesto il patteggiamento, mentre il primo dei due ha optato per il rito abbreviato e - da quanto appreso - ha gia' versato un acconto di risarcimento nei confronti dei primi 21 ciclofattorini che si erano costituiti lo scorso 22 gennaio. Per gli altri una trattativa e' ancora in corso.

In abbreviato anche l'altro amministratore della Frc, Danilo Donnini, e la manager di Uber imputata nel processo, Gloria Bresciani. Al tempo la donna era responsabile della divisione italiana ed era stata intercettata mentre diceva: "Abbiamo creato un sistema per disperatima i panni sporchi si lavano in casa". Tutti gli indagati, secondo l'accusa, "approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo dimoranti nei centri di accoglienza straordinaria, pertanto in condizione di estrema vulnerabilita' e isolamento sociale" - si leggeva negli atti - e li destinavano al lavoro per il gruppo Uber "in condizioni di sfruttamento". Nella maggior parte dei casi si trattava di giovani provenienti da Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh, i quali, secondo il pm, venivano "derubati" delle mance che i clienti lasciavano loro spontaneamente e "puniti" attraverso "una arbitraria decurtazione ("malus") del compenso pattuito, se non si fossero attenuti alle disposizioni impartite"; addirittura si trovavano ad essere "estromessi arbitrariamente dal circuito lavorativo di Uber attraverso il blocco dell'account a fronte di asserite mancanze lavorative".

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