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Chi non riaprirà con il lockdown. Viaggio nella Milano che muore
Coronavirus a Milano

Chi non riaprirà con il lockdown. Viaggio nella Milano che muore

Chiara lo ha scoperto in busta paga di non avere più un lavoro. Commessa per un piccolo marchio della moda italiana con due punti vendita nel centro di Milano. Ha capito la realtà quando ha visto lo stipendio accreditato a metà aprile. Oltre ai primi dieci giorni di lavoro di marzo le sono stati liquidati anche tfr e ferie non godute. Il suo contratto a tempo determinato, in scadenza il 31 marzo, non le è stato rinnovato. Senza nemmeno avvisarla. Scrive alle colleghe, nel panico. E nella chat del negozio parte il tam-tam delle ansie. Perché altre colleghe sono nella sua stessa condizione. Soltanto con un mese di ritardo. A Stefania il contratto scade il 30 aprile e deve essere assunta a tempo indeterminato. A Giorgia il 30 maggio. Di fronte alle richieste di sollecito l'azienda finalmente si fa sentire. Messaggi vaghi: “Aspettiamo il decreto di aprile, siamo nelle mani dello Stato” scrive una responsabile cercando di tranquillizzare gli animi. Suscitando l'effetto opposto. Già. Perché in un mondo del lavoro basato su contratti precari o a termine non basta bloccare i licenziamenti causa Covid-19 per mantenere l'occupazione. Quelli sono stati sospesi fino al 16 maggio – non tutti: i licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo mentre si può licenziare per motivi disciplinari o per ragioni non economiche. Ma il problema ora sono i mancati rinnovi. Nel turismo, nei ristoranti, nei bar che anche se decidessero di riaprire il 4 maggio dovranno almeno dimezzare i propri coperti per garantire il distanziamento sociale. Nei negozi delle vie dello shopping che apriranno a un terzo del fatturato precedente. Nelle palestre, nelle agenzie viaggi e via dicendo. Nessuno può imporre alle aziende di rinnovare o prorogare contratti a termine in scadenza. E non sono obbligate a comunicare in anticipo le loro intenzioni.

Ci sono mondi a cui si pensa di rado. Carlo e Susanna lavorano nell'editoria scolastica: libri di testo, guide, dispense, materiali didattici digitali. Insieme hanno una bimba di 10 mesi. Lui partita Iva, con varie committenze per scuole superiori e licei. Lei collaboratrice in una casa editrice, specializzata su testi della scuola primaria, con contratti di anno in anno. Il prossimo in scadenza a maggio. È la primavera il periodo in cui si capitalizza l'intero lavoro dei mesi precedenti. Perché il Ministero dell'Istruzione decide quali testi agevolare per i programmi scolastici dell'anno venturo. Perché i rappresentanti escono e propongono ai professori i nuovi tomi da adottare nelle scuole. Quelle stesse scuole oggi chiuse. I libri nuovi non usciranno e Susanna è fra le prime “teste” da tagliare quando le cose si mettono male.

È una tegola che cade sulla testa della generazione senza risparmi. Quella che ogni mese consuma ciò che guadagna e quando finiscono i soldi, chiama a casa. “I 10 milioni di persone più povere possiedono in media circa 300 euro di risparmi” ha messo nero su bianco Salvatore Morelli in un articolo per lavoce.info dal titolo “Se crolla il mito del risparmio degli italiani”. Venti milioni di persone, su 50 milioni di adulti, secondo la fotografia elaborata su dati Banca d'Italia, possiedono risparmi medi di mille euro pro capite. E mentre danno fondo a quei mille euro, gli ammortizzatori sociali tardano ad arrivare. Le cifre in Lombardia fanno paura. I dati della Cgil aggiornati a metà aprile parlano di 26mila procedure da aziende che hanno richiesto la cassa integrazione guadagni ordinaria. Nei settori di industria, chimica, tessile, gomma plastica, sono spesso le aziende ad anticipare l'importo, quindi per ora il problema è contenuto. Scricchiola invece l'edilizia dei cantieri bloccati. In altri settori la situazione è peggiore: al 18 aprile da tutta la regione sono partite 12.182 procedure di Fis (Fondo integrazione salariale) all'Inps. Da parte di commercio, grande distribuzione, pubblici esercizi, turismo ma anche scuole private, formazione professionale. Per un totale di 360mila lavoratori. Sono 28.644 le domande da aziende artigiane che fanno richiesta al Fondo di solidarietà bilaterale per l'artigianato, per un totale di 113.500 lavoratori; 6.500 domande per 36mila lavoratori somministrati, gli ex interinali delle agenzie del lavoro. Ulteriori 26mila domande di cassa integrazione in deroga per 64mila lavoratori, con Regione Lombardia che è arrivata tardi – ultima fra le 20 regioni italiane – a mettere in moto le procedure per caricare le domande, decretarle e poi girarle all'Inps entro 48 ore dal decreto.

Il Presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, Pasquale Tridico, in videoconferenza con la commissione Lavoro della Camera ha assicurato che entro il 30 aprile verranno pagate le misure di sostegno al reddito previste dal Cura Italia, esclusa la cassa in deroga che dipende dalle Regioni a livello procedurale e arriverà in ritardo.

Nell'attesa però i soldi non ci sono e la città si adatta. Marcelo lavora come barista a tempo indeterminato, ma anche lui non vede un euro da un mese e mezzo e di cosa accadrà il 4 maggio non ha alcuna certezza. E allora chiama Caf, patronati, sindacati. Per sapere se può lavorare per Supermercato24, colosso delle spesa online a domicilio, con un contratto di collaborazione occasionale. Ha paura che sia illegale “sommare” due contratti contemporaneamente. Le code all'ingresso dei supermercati di Milano, da qualche giorno, si sono fatte meno fitte. Calano i tempi d'attesa per fare il proprio ingresso in un Esselunga o un IperCoop. I più ottimisti pensano che sia merito delle applicazioni “salta coda” messe a disposizione dai grandi marchi della distribuzione e dell'e-commerce. I pessimisti ipotizzano una diminuzione della capacità di spesa delle famiglie. La graduatoria del Comune di Milano per i “buoni spesa” da 700 o 300 euro è un documento di 593 pagine e conta 15.370 domande, con nuclei familiari che arrivano fino a sette componenti. Tutte ammesse. Finanziate le prime 13.475 richieste. Polizia locale e protezione civile stanno consegnando le carte prepagate in questi giorni. C'è chi va alla Caritas e chi chiama le brigate volontarie per l'emergenza per farsi portare un pacco alimentare a casa. Il numero unico messo a disposizione dalla Cgil di Milano per chiarire dubbi su lavoro e prestazioni sociali è intasato. “Abbiamo ricevuto anche qualche telefonata di persone che volevano farla finita” racconta Massimo Bonini, segretario lombardo del sindacato. Le aziende dell'hinterland milanese provano a ripartire, inviando in prefettura autocertificazioni in cui dichiarano di far parte delle filiere essenziali pur essendo state escluse dalla lista dei codici Ateco nel decreto di marzo. Vige la regola del silenzio-assenso. Corso Monforte controlla fisicamente le linee di produzione, le fatture, i protocolli di sicurezza anti-Covid, ma per farlo ha 20 carabinieri a disposizione e un arretrato pesante. Al 6 aprile sono 34 le misure interdittive emanate dal Prefetto Renato Saccone contro imprese che hanno dichiarato il falso.

C'è invece chi non riaprirà più. Magazzino del sud-est di Milano, attivo nel settore alimentare. Cento lavoratori in appalto a una cooperativa, molto sindacalizzati, che in anni di vertenze hanno costruito un sistema retributivo efficace. Riforniscono la grande distribuzione. Ma anche catene di hotel, grandi aziende e istituzioni pubbliche, in particolare di prodotti ortofrutticoli. Ha chiuso per il coronavirus. Per poi comunicare che la stessa mole di lavoro è stato in grado di gestirla con i magazzini di Verona e di Torino. Milano non riaprirà e dopo il 16 maggio partiranno le procedure di licenziamento. Eccolo il vero lockdown. Anche lui in fase 2.

L'impoverimento fa il paio con altre frustrazioni, abituali, che in questo momento colpiscono dritte dritte nel portafogli e nella tenuta psicologica delle persone. “Ieri sono uscite le graduatorie dei nidi e siamo fuori pur essendo tutti e due lavoratori a tempo pieno” dice Riccardo che ha avuto una bambina da pochi mesi con la moglie. “Come cazzo pago una babysitter per un anno o un nido privato, sempre che ce ne siano di liberi? Facile, coi soldi dei genitori”.

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