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Covid, Bassetti: "Convivere con ottimismo col virus. Abbiamo armi per vincere"

Covid, Bassetti: "Convivere con ottimismo col virus. Abbiamo armi per vincere"

A tu per tu con il prof. Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive del San Martino di Genova e professore ordinario di Malattie Infettive all’Università di Genova. “Lo stop alla sperimentazione del vaccino dimostra che l’iter è serio e trasparente. Rispetto a marzo oggi siamo molto più bravi nella gestione del malato e la mortalità è molto più bassa. Lo smart working in un paese come il nostro è devastante. Vaccinarsi per l’influenza per evitare il sovraffollamento degli ospedali. È necessario guardare avanti con ottimismo”.

Lo stop al vaccino di Oxford è stata una doccia fredda, che cosa comporta? Quando avremo il vaccino?

A mio parere questo stop non deve essere visto esclusivamente come un fatto negativo. Sicuramente dispiace questa battuta di arresto, ma è la dimostrazione che le aziende farmaceutiche sono molto serie e trasparenti.  Questo studio è partito il 27 luglio scorso con una platea di soggetti molto ampia ed eterogenea. In Fase 3 è evidente che vengono arruolati non solo soggetti sani, ma anche persone con diverse patologie. Ora la commissione esterna valuterà quanto accaduto. Questo stop è la migliore risposta che si poteva ai detrattori dei vaccini e ai no-vax che affermavano che sarebbe stato messo in commercio un vaccino pericoloso, senza fare i controlli. C'è stato un problema e l'azienda con rigore scientifico si è fermata per capire cosa è accaduto. Questo dimostra la bontà della ricerca, regolata e trasparente.  Probabilmente, quindi, il vaccino non si avrà a novembre come auspicato, ma lo avremo nel primo semestre del prossimo anno.

Rispetto a marzo la situazione è completamente diversa. È perché è mutato il virus o perché siamo più bravi noi?

Ancora non è chiaro perché il virus “morda di meno”. Potrebbe essere dovuto a una ridotta carica virale, a una migliore assistenza dei malati, a qualche mutazione del virus stesso. Probabilmente tutte queste cose assieme. Da giugno abbiamo assistito ad una diminuzione della carica virale nei pazienti probabilmente dovuta al lockdown e alle regole di distanziamento. È chiaro che oggi la malattia fa meno male che in primavera. La mortalità è molto più bassa. Rispetto a marzo oggi siamo molto più bravi nella gestione del malato. Anche i casi più difficili sono trattati meglio e hanno una probabilità più alta di uscirne. Abbiamo imparato come curare i malati. Da non sottovalutare anche l’aspetto che al Nord una buona fetta della popolazione ora è immune e quindi il virus trova resistenza. 

Quindi che messaggio si sente di dare ai cittadini?

Il messaggio da dare ai cittadini è che la malattia che a marzo sembrava incurabile oggi invece è gestibile. Ciò non significa che possiamo fare quello che vogliamo. Vanno seguite sempre le regole. La convivenza forzata con questo virus ci sarà ancora per molto tempo, ma dobbiamo tornare a vivere, senza paura e senza panico. Basta con questo catastrofismo e terrorismo mediatico, serve ottimismo. Dare ogni sera il numero di contagiati senza dire quanti siano asintomatici, quanti abbiano veri problemi, quanti finiscano in terapia intensiva per Covid e non per altro, è un errore. Ciò crea inevitabilmente nell'opinione pubblica un concetto sbagliato del Covid. Da cittadino sono preoccupato delle implicazioni socio-economiche che questa situazione causerà. Il Paese non si può permettere ansia e nuove chiusure. La scuola deve ripartire, le attività e le aziende devono ripartire, gli ospedali devono tornare ad occuparsi degli altri malati che sono stati trascurati. L’Italia, poi, rispetto ai paesi anglosassoni, non è pronta per l’utilizzo massiccio dello smart working, ci mancano infrastrutture informatiche adeguate. Anche a livello culturale, l’italiano per natura ama il contatto e le relazioni. Lo smart working in un paese come il nostro è devastante.

            Cosa ne pensa della quarantena di 14 giorni?

La quarantena andrebbe ridotta da 14 a 10 giorni, in mancanza di sintomi, per non bloccare il Paese. La maggioranza delle persone manifesta sintomi in 4-5 giorni e moltissimi asintomatici rischiano di finire in quarantena per 14 giorni oltre ai tempi del “doppio tampone” ovvero un isolamento di almeno 3 settimane, quando in realtà non serve. L’Italia può permettersi di tenere ai domiciliari per 3 settimane tutti i positivi asintomatici, con tutte le conseguenze socio-economiche? Ripensare i giorni di quarantena fa parte del percorso di convivenza con il virus, come sta facendo la Francia.

Parlando di Francia, i loro dati sui contagi sono preoccupanti. In Italia per fortuna la coda della prima ondata è sotto controllo, siamo stati più bravi?

In Italia siamo stati molto bravi, siamo stati tra i primi ad essere colpiti, ma con rigore e intelligenza ne siamo usciti meglio degli altri che sicuramente sono stati più superficiali e meno attenti. In Italia non si può parlare di seconda ondata, ma quello a cui assistiamo è la coda della prima ondata che ci terremo ancora per qualche mese. Non credo che il virus si fermerà di colpo. A marzo avevamo la percezione solo della punta dell’iceberg dei contagi. Oggi invece con una potenza di fuoco di 100mila tamponi al giorno riusciamo a tracciare quasi tutti i sintomatici e gli asintomatici. Un grande lavoro. Per quanto riguarda la Francia dobbiamo tener conto che eseguono circa il doppio di tamponi alla settimana. I dati in valore assoluto non sono confrontabili. Bisogna sempre osservare, invece, il rapporto dei positivi sul numero di tamponi eseguiti. In Italia tale rapporto è costante da circa 1 mese e si attesta nel range tra l’1 e il 2%. 

Il Sud Italia, inizialmente poco colpito dall’epidemia, vede un aumento costante dei contagi, soprattutto in Campania. Che cosa ne pensa?

Il Sud Italia, rispetto alle regioni settentrionali è sicuramente più esposto, essendo stato colpito nella prima fase molto marginalmente. Per il Sud questa a cui stiamo assistendo è di fatto la prima ondata. Per fortuna però l’esperienza e la conoscenza del virus maturata al Nord è la carta vincente per vincere la malattia.

Perché è importante vaccinarsi contro l’influenza?

Io e altri colleghi abbiamo portato avanti in maniera provocatoria la vaccinazione universale per l’influenza. Sappiamo che ciò è impossibile. Lo scorso anno una persona su due a cui era stato offerto gratuitamente il vaccino ha rifiutato. È importante che si vaccinino le persone più fragili, ma anche le altre categorie. Io tutti gli anni acquisto l’antinfluenzale per i miei figli. Ritengo sia un grande investimento in salute. In Italia sono disponibili 18 milioni di dosi, già riuscire ad utilizzarle tutte sarebbe un successo. È importante vaccinarsi contro l’influenza perché fare una distinzione tra le due patologie non è facile. L’influenza e l’infezione da Sars-Cov2 sono molto simili e con un interessamento di entrambe a carico delle vie respiratorie. Bisogna evitare assolutamente di prendersi nello stesso momento il Covid e l’influenza perché sarebbe una miscela esplosiva. Bisogna evitare il sovraffollamento dei Pronto Soccorso. Da non trascurare poi il vaccino contro lo pneumococco, che provoca la polmonite, e quello contro l’emofilo per il quale bambini, alcuni anziani e altri determinati pazienti dovrebbero essere immunizzati.

È ottimista per il futuro?

Certamente, noi dobbiamo imparare a convivere con questo virus, specialmente in questa fase delicata che ci vede ancora sprovvisti del vaccino. Ma non possiamo pensare di vivere i prossimi mesi con l’idea che tutto andrà male. Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza che abbiamo maturato e della battaglia che nella prima fase abbiamo vinto. Gli ospedali sono attrezzati per affrontare l’epidemia, abbiamo dei farmaci efficaci come il Remdevesir, abbiamo dei protocolli efficaci. Il virus sembra meno aggressivo e siamo più bravi ad intercettare i contagiati. Tutto questo mi fa ben sperare. Serve sempre cautela, distanza interpersonale, lavaggio delle mani, mascherine ove necessario, le vaccinazioni, l’educazione sanitaria, ma bisogna tornare a vivere guardando avanti. Dobbiamo ricostruire le coscienze a livello sociale, economico e sanitario con una ventata di ottimismo, per non morire di depressione e di fame, che è anche peggio. Dopo la tempesta tornerà il sereno. 

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