“Ecco perché il caso Rozzano deve farci riflettere”, di Guido Camera - Affaritaliani.it

Milano

“Ecco perché il caso Rozzano deve farci riflettere”, di Guido Camera

di Guido Camera

Rozzano, da qualche giorno, è al centro della scena politica nazionale.

Il merito – o demerito, dipende dai punti di vista – è del preside dell’istituto scolastico Garofani, che, in nome della laicità e del rispetto della diversità, ha deciso di bandire la celebrazione cristiana del Natale.

Appena la notizia è stata diffusa dai media, apriti cielo! Del resto, la ridda di polemiche che ne è conseguita era abbastanza prevedibile, vista la delicatezza dell’argomento e l’attuale momento storico, nel quale i problemi quotidiani dell’integrazione – particolarmente delicati nella società italiana, che nel giro di pochi anni è diventata multiculturale senza avere gli ammortizzatori economici e culturali per esserlo – vengono ingigantiti dall’emozione dei sempre più frequenti episodi terroristici dettati dal fanatismo religioso e dall’intolleranza, e dai massicci flussi migratori verso le nostre coste.

Dopo l’indigestione di polemiche e proteste (alcune grottesche), la riflessione stimolata da quanto accaduto a Rozzano non può e non deve essere svilita, e men che meno dimenticata: sarebbe infatti sbagliato, a mio giudizio, non prendere costruttivamente spunto dall’episodio per iniziare a ragionare – in modo omogeneo e prospettico – sulle azioni da intraprendere per contemperare i simboli della nostra cultura e identità con la nuova realtà sociale italiana. Perché l’argomento è indubbiamente rilevante, oltre che attuale, e va affrontato da subito se non si vuole dare spazio ad altre iniziative individuali che – per quanto forse poste in essere in buona fede – rischiano di essere lette come provocazioni. Delle quali nessuno deve pensare di potersi giovare.

Personalmente credo che la celebrazione cristiana del Natale sia uno dei punti cardini della nostra cultura, e come tale debba essere perciò salvaguardata anche dalle Istituzioni scolastiche. La difficoltà – che certamente ricade sulle spalle degli insegnanti, il cui ruolo nella società deve perciò essere tenuto nella massima considerazione – è nello spiegare a chi proviene da paesi e culture diverse dalla nostra le ragioni per le quali noi – anche se laici - festeggiamo la nascita di Gesù come una celebrazione di valori obiettivamente positivi e alla base della dignità dell’essere umano. Che, come tali, dovrebbero essere perciò amati e rispettati da tutte le culture e religioni che compongono una comunità, oltre che vissuti come momento di condivisione e reciproca conoscenza, e non certo come fredda imposizione da parte di una cultura ostile e dominante.   

In quest’ottica, non va dimenticato che molti strenui fautori della laicità dello Stato e dell’Istruzione pubblica hanno sempre amato e riconosciuto l’importanza educativa del Natale, e i positivi messaggi – a cominciare proprio dalla esaltazione della solidarietà e della fratellanza come valori fondanti della dignità umana - che la sua celebrazione si pone l’obiettivo di diffondere nella società. Ciò vale soprattutto per i più giovani (a cominciare dai non cristiani), che – senza un minimo di consapevolezza sul perché non si va scuola e si festeggia – rischiano di essere del tutto assorbiti dagli aspetti più materialisti (le vacanze) e consumisti (i regali) del Natale.
 
Non a caso un grande della letteratura come Dickens – che certo non può essere definito un baciapile! – ha laicamente consacrato l’importanza del Natale nella cultura occidentale, regalandoci un capolavoro sempre attuale come “il Canto di Natale”: un lungo racconto la cui profondità e bellezza è stata colta da molti artisti e scrittori successivi (a cominciare da Walt Disney), che lo hanno ripreso in fumetti, film, spettacoli e cartoni animati per far riflettere piccoli e grandi – al di fuori degli schemi, talvolta soffocanti, della liturgia - sull’importanza che hanno sentimenti come la solidarietà, l’amore del prossimo e la generosità: sia per l’individuo, sia per la comunità in cui vive.

Ciò deve valere, a maggior ragione, nell’attuale contesto storico, che è disperatamente alla ricerca di un equilibrio tra le diverse culture presenti. Non è certo un obiettivo semplice. Sicuramente è più facile – almeno nell’immediato – pensare di risolvere il problema rinunciando alle nostre tradizioni. Però non credo che dimenticandoci di una parte importante della nostra identità potremo costruire delle solide basi per l’inevitabile cambiamento della nostra società che – volenti e nolenti – stiamo irreversibilmente vivendo. 

 








A2A