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Erba Matta, il nuovo libro di Laura Bosio: sabato presentazione a Milano

Erba Matta, il nuovo libro di Laura Bosio: sabato presentazione a Milano

Esiste una vegetazione inopportuna, quella che preme sui muri, sulle case, sulle strade, e a volte se ne impossessa. Un’immagine forte e significativa che “dalla terra” può riflettersi nelle dinamiche più complesse che riguardano la società e la vita dei popoli che abitano il pianeta, insomma nella nostra vita. Laura Bosio in Erba Matta (Edizioni Aboca) fa riflettere i lettori su mondi differenti che si intrecciano: quello della natura, la parte più verde del nostro pianeta (che resiste nonostante noi, verrebbe da dire), quello della società e della sua struttura “stratificata” e caratterizzata, tra le altre cose, dall’inarrestabile movimento dei migranti; per poi dedicarsi alla parte più intima e profonda dell’animo umano che la scrittrice non tralascia mai.

Che cosa sono in realtà e in metafora le “erbe matte”?
Sono le erbe comunemente dette “erbacce” – racconta Laura Bosio - la vegetazione inopportuna che preme sui muri, sulle case, sulle strade. Le edere che si arrampicano e si insinuano ospitando nidi di vespe, formiche e ragni. I tarassachi o denti di leone o soffioni o pisse en lit che sbucano dai tombini e dalle crepe dei selciati. Sono gli ailanti o alberi del paradiso che svettano infestanti nelle intercapedini dei palazzi, o le radici che sollevano e rompono l’asfalto salendo verso il chiaro. Un’esplosione di vita disordinata che scava, si fa spazio, invade, libera e vince: natura prepotente che si inurba opponendosi alla nostra prepotenza.

Qual è la loro funzione in natura e nella società?
Le erbe matte si sono fatte largo con la loro adattabilità eccezionale. Si sono mimetizzate con le piante coltivate e poi sono venute allo scoperto. Vittoriose, sì, ma con l’unica pretesa di esistere. Le considerano “piante nel posto sbagliato”, ma non lo hanno voluto per prime, quasi tutte sono state traslocate di forza in altri ambienti e si sono tramutate in una quinta colonna aggressiva. Nel viaggio dalle terre subtropicali alla fredda Europa hanno cambiato carattere. Obbligate a spostarsi, dall’epoca dei grandi viaggi, da una civiltà all’altra, hanno sfidato il mondo moderno, che si pretende ordinato. E sono entrate a far parte della vasta comitiva degli estranei che si presentano dove non sono i benvenuti. Minoranza apolide che è lì a ricordarci che, ordinata, la nostra vita non lo è poi tanto. Ed è proprio da quella minoranza che forse dovremmo imparare di nuovo a vivere, a cavallo delle linee di confine della natura come della società. Ho provato a raccontarlo attraverso i personaggi e le storie di questo romanzo. A cominciare dalla ragazza “militante militonta” che si racconta per scorci in prima persona dall’inizio degli anni Settanta, sentendosi erba matta insieme a un’intera generazione, e che a quel sentimento, anche nell’età adulta, è rimasta legata. Pur sapendo che forse la battaglia che non smette di combattere potrebbe già essere perduta. 

Quanto c’è in queste pagine del suo precedente libro? Una scuola senza muri e della sua esperienza come insegnante e direttrice della scuola di italiano per migranti Penny Wirton a Milano?
C’è molto. Era inevitabile, pensando alle erbacce nel modo che ho appena detto, incrociare il movimento dei migranti. Un movimento inarrestabile, e necessario, anche se si prova con ogni mezzo, spesso violento, insopportabilmente crudele, a contrastarlo, a calpestarlo. Senza le erbacce, dicono i botanici più attenti, l’agricoltura non sarebbe durata molto. I primi agricoltori sfinivano i terreni e poi li abbandonavano per lavorarne altri. Se non ci fossero state le erbacce a sanare i terreni esauriti, gli esseri umani avrebbero dovuto abbandonare presto questa pratica. Anche l’immigrazione ci aiuterà. Nel prossimo decennio ogni anno compiranno 65 anni 840.000 italiani, ossia i figli del baby boom come la protagonista del mio libro. Sempre nello stesso periodo compiranno 20 anni appena 570.000 giovani, i figli del grande calo delle nascite dell’ultimo trentennio. Senza migrazioni, il saldo negativo annuo sarà di 270.000 potenziali lavoratori. Non si potrà fare a meno delle centinaia di migliaia di nuovi lavoratori provenienti da altri paesi, che andranno a costituire una parte consistente della Next Generation Europe. E che non ci porteranno solo mani per lavorare, ma cultura, energia, idee, scambi.

Che cos’è lo “sguardo dal basso” di cui parla, e fa vivere, nel romanzo?
È la libertà di guardare ad altezza di bambino, o di gatto, o di cane. Un marciapiede rotto, degli orti su cui si piega una figura lontana, le sporgenze nerastre di palazzoni senza nome, un fascio di colorate erbe matte che sbucano dalla finestrella a bordo strada di una cantina. È la bellezza di abbassarsi, di abbandonare il punto di vista sopraelevato e di perdersi negli accidenti delle superfici. Negli altri così come sono, come siamo. Vedendo il rimosso delle città e delle campagne. Per ripopolare di nuova vita il deserto che ci stiamo costruendo intorno.

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