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Guidesi, l'uomo dello Sviluppo che si è inventato i vaccini in azienda

Guidesi, l'uomo dello Sviluppo che si è inventato i vaccini in azienda

Dietro le quinte si muove bene, ma anche sulla scena - quando deve dire qualcosa - lo fa senza giri di parole. Un po' come il suo amico e mentore Giancarlo Giorgetti. Guido Guidesi, assessore da poco più di un mese allo sviluppo economico, nell'ultimo rimpasto regionale lombardo, è l'uomo che si è inventato, in buona misura, il vaccino in distribuzione nelle aziende. Ma è anche l'uomo che Matteo Salvini ha voluto per dare una svolta alla Lombardia: non solo contenimento del virus, ma anche e soprattutto una nuova strategia per le aziende e lavoratori.

Assessore Guidesi, che situazione ha trovato in Lombardia?
Ho trovato una situazione sicuramente di debolezza nel senso che la pandemia ha colpito dentro e fuori la Regione. Il colpo si è sentito soprattutto in virtù degli attacchi politici fuori da ogni confine istituzionale che ci sono stati nei mesi della pandemia. E' evidente che in una situazione di questo tipo, da stato di guerra, e che non ha precedenti, la Regione abbia pagato un prezzo pesante. Il mio tentativo, nell'arrivare a Palazzo Lombardia, è quello di cercare - con tanta testardaggine, tanto entusiasmo e tante idee - di programmare il futuro.

Mi dica tre idee.
Primo. Dal punto di vista degli investimenti godiamo di un rating molto elevato, il che vuol dire che siamo appetibili dagli investitori perché investire da noi è meno rischioso. Il problema è che la nostra qualità di rating finanziario non è proporzionale alla capacità di attrattività di quegli investimenti. Dobbiamo porre rimedio. Gli investitori non hanno bisogno di aiuti economici, ma di non cambiare i loro piani di investimento. Per cui hanno bisogno di una certezza dei tempi, e su questo dobbiamo lavorare. La Regione deve assicurare agli investitori un coordinamento dei procedimenti autorizzatori e la certezza dei tempi. E poi non c'è solo questo. Dobbiamo cambiare il mood dell'immagine culturale che abbiamo al di fuori.

Che cosa c'entra il mood culturale con i finanziatori?
C'entra molto. Noi abbiamo l'immagine di una regione produttiva per il sacrificio dei suoi lavoratori. Noi dobbiamo cambiare questa immagine, e trasformarla nella qualità del lavoro che facciamo. Il punto è questo: noi non produciamo perché lavoriamo tanto, tantissimo, e dunque ci sacrifichiamo. Noi produciamo prodotti di altissima qualità grazie all'ingegno dei nostri imprenditori e grazie alla qualità dei lavoratori. Le filiere produttive che abbiamo fanno prodotti ottimi che riescono a internazionalizzare. Noi dobbiamo riuscire a dire che a livello internazionale gli investitori se vogliono un prodotto di qualità devono farlo da noi. Perché noi offriamo una ricetta vincente.

La terza idea?
Riguarda i giovani. Noi siamo una Regione molto attiva dall'inizializzazione delle start up. Questo vuol dire che gli incubatori e le università, i cluster, fanno tantissimo lavoro. Ma siamo anche la Regione dove le start up muoiono di più. E' altresì vero che tra l'inizio della start up e la messa sul mercato della start up stessa manca un percorso certo di accompagnamento agli imprenditori. Il mercato deve poter liberamente scegliere se è interessato alla start up: ma fino a là dobbiamo accompagnare questi giovani che si mettono in gioco. Quel percorso di accompagnamento dall'inizializzazione al mercato secondo me deve farlo la Regione, che deve far incrociare questi giovani con le filiere produttive. Se ci riusciremo renderemo la Lombardia la "casa delle idee".

C'è anche una questione legata al come si usano i soldi.
Esatto. La Regione ha già moltissimi strumenti. Il problema è che fino ad oggi ne è stata valutata l'efficacia in base a quanti ne hanno avuto accesso. Ma non si può solo fare quella valutazione: ci sono bandi ordinari che tuttavia generano un indotto limitato. Questo non va bene. Noi dobbiamo riprogrammare gli strumenti con la flessibilità necessaria e con un messaggio chiarissimo alle imprese: noi abbiamo un unico obiettivo, ovvero tutelare il lavoro. La flessibilità è che io non dico in che direzione tu imprenditore vuoi andare, ma che io valuto l'indotto che tu generi. Ci sono filiere produttive, pur non riconosciute, dove a volte manca la formazione professionale, perché il matching tra l'offerta di lavoro che c'è non viene compensato dalla formazione professionale. Da quel punto di vista dobbiamo aggiornarci. Già oggi i dati ci dicono che cosa servirà tra cinque anni. Se tra cinque anni servono idraulici, non possiamo formare calzolai. Perché commettiamo un errore.

La Lombardia, tuttavia, è un territorio assai vasto... ci vogliono ricette differenziate?
Noi abbiamo un territorio morfologicamente diverso da una parte all'altra della Lombardia. Non solo morfologicamente, ma anche per cultura economica e produttiva. Quello che si fa a Brescia non si fa a Pavia e viceversa. Se noi riusciamo a valorizzare le varie filiere produttive sfruttando le diversità allora non ci sarebbe la competizione all'interno della Lombardia. Questa sarebbe già una cosa importante. Perché potremmo pensare che questo vantaggio di mercato lo usiamo per andare all'esterno e verso mercati nuovi. Ma vorrei dire una cosa che ritengo assai importante.

Prego.
Noi abbiamo un unico obiettivo. Quello del lavoro. Il passaggio culturale al di fuori deve essere e sarà quello di dire: perchè la Lombardia torna ad essere il motore economico d'Europa? Non perché lavoriamo come delle bestie ma perché lavoriamo bene, e perché tuteliamo i nostri lavoratori e i nostri imprenditori. E al giovane diciamo che se vuole sfidare se stesso e gli altri con la sua idea, deve venire qui in Lombardia, perché noi riusciamo ad accompagnarlo.

Lei è vicino a Giancarlo Giorgetti, che è ministro dello Sviluppo Economico. Dunque ricoprite, ognuno al suo livello, lo stesso ruolo. Che cosa vuol dire?
In una situazione come questa avere una filiera leghista che si occupa di sviluppo economico non può che rendermi felice anche se tutto è assai complicato, per il quadro generale del Covid. E' noto il rapporto che abbiamo io e Giancarlo, ma al di là di questo l'avere un lombardo in un ministero come quello vuol dire che c'è una competenza forte nel mondo produttivo. Noi le aziende le conosciamo, ci parliamo. Quello che noi della Lega dobbiamo fare è far svoltare culturalmente il Governo. Nel senso che il governo Conte 2 aveva l'astio nei confronti del Nord e delle partite iva.

Esiste un astio nei confronti del Nord?
Io penso che esista un astio ideologico nei confronti del mondo produttivo per invidia sociale e individuale. Uno che abbia messo in gioco se stesso e ce l'abbia fatta provoca invidia in coloro i quali non hanno avuto il coraggio di giocarsi la partita. Questo c'è stato con il governo Conte 2. Basta un esempio: quando hanno deciso la sanzione penale per gli imprenditori che si trovavano un dipendente ammalato in stabilimento. Questa è la sintesi del loro astio. Non percependo una cosa fondamentale, peraltro: l'impresa genera lavoro, genera Pil e genera gettito fiscale che serve a mandare avanti il Paese. Non è una cosa teorica, ma aritmetica: se non ci sono aziende non c'è lavoro e gettito fiscale.

Che cosa ne pensa della proroga del blocco dei licenziamenti?
La proroga doveva essere accompagnata da strumenti di politica attiva nuovi e diversi. L'unico strumento di politica attiva nuovo che c'è stato è stato il contratto di espansione che è un emendamento della Lega proposto dall'opposizione e approvato su nostra iniziativa. L'inadeguatezza del governo precedente ha fatto sì che non ci fossero strumenti politica attiva ma solo il blocco dei licenziamenti. Gli imprenditori sono stati lasciati soli.

fabio.massa@affaritaliani.it 

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