I Hate Milano

di Mister Milano

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I Hate Milano
La lezione di Shanghai a Milano. L’intervista: “Tecnologia e ordine"

"Accoronati", la  nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza

Mattia M. ha 31 anni e vive a Shangai da 4, dove lavora come grafico e creativo pubblicitario. Affaritaliani.it Milano l’ha intervistato.


Quando e’ stato dichiarato il lockdown a Shangai?
“Mi pare il 5 febbraio, pochi giorni dopo l’applicazione della stessa misura nell’area di Wuhan”.

Come è stata la reazione della popolazione?
“Le misure sono state immediatamente eseguite alla lettera, anche perché non c’era altra scelta. Chi faceva di testa sua veniva arrestato. E credimi, in Cina non vuoi finire in prigione”.

Si è trattato di misure blande che sono andate inasprendosi o si è subito partiti col blocco totale?
“Blocco totale da subito. Si usciva solo per comprare da mangiare. Ad ogni angolo di strada c’erano ufficiali governativi: quando uscivi dovevi andare da loro a registrarti, e loro controllavano che tu tornassi a casa nel giro di poco. Se sgarravi venivano a prenderti”.

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Come ha reagito la popolazione, a livello morale?
“All’inizio è stato un shock. Shangai è una città internazionale, piena di cittadini e aziende straniere. Tra l’altro, il blocco è arrivato durante il periodo più incasinato dell’anno, il Capodanno cinese. Ma dopo un paio di giorni le cose sono cambiate. La gente ha sviluppato un senso fortissimo di collettività, avevamo tutti la consapevolezza che dalle azioni del singolo dipendeva il destino della Nazione”.

Le misure utilizzate in Cina possono secondo te essere utilizzate altrove?
“Altrove non so, in Italia ho seri dubbi. Faccio un esempio: ora, dopo oltre un mese, le cose stanno migliorando, tuttavia non siamo tornati alla piena normalità. Abbiamo l’obbligo di registrarci su una app governativa che ci geolocalizza, controllando che ci troviamo al nostro domicilio. Quando il sistema verifica che tu effettivamente non ti sei mosso durante la sera e la notte, ti manda un codice sullo smart phone, che tu poi, la mattina, mostri agli agenti in strada per poter andare al lavoro. Si può uscire solo per lavorare e solo sotto stretta sorveglianza”.

Cosa hai pensato davanti alle immagini degli italiani che, per giorni, hanno preso le misure alla leggera?
L’opinione pubblica cinese, e per opinione pubblica intendo la TV, i miei amici, la mia ragazza, sono stupefatti davanti alle immagini mostrate in questi giorni, con la fuga in massa verso il treno, i bar e le piste da sci pieni. Si sono chiesti tutti: ma non hanno visto cosa è accaduto a noi? Come fanno a non rendersi conto che così si autocondannano al peggio? Credo, comunque, che le stesse domande e le stesse responsabilità vadano estese a chi ha minimizzato il problema sui giornali. Non avete idea di quanto era frustrante, da qui, leggere sui giornali gli italiani gli espertoni che dicevano che non c’era problema.

L’esperienza di Mattia ci lascia in dote tre immediate conclusioni:

1) La miglior alleata della Cina nella lotta al virus è stata la tecnologia. Noi siamo un Paese agli ultimi posti in Europa per banda larga, dove il 25% della popolazione non usa internet. Diverse grandi aziende, in questi giorni, si sono viste completamente impreparate a gestire il passaggio allo smart working.

2) Le misure prese in Cina, con le app che ti geolocalizzano, i codici mandati sullo smart phone, gli agenti in ogni dove, sono fortemente antitetiche al concetto di Stato liberale occidentale.

3) Questo periodo non sarà un periodo breve. In Cina sono servite circa 6 settimane, con un rispetto assoluto di norme ancora più dure di quelle prese da noi in queste ore. E il ritorno alla normalità non avviene dall’oggi al domani, ma con un lento, estenuante processo graduale. E’ bene prepararsi, ed evitare di credere alle promesse di una classe politica (dal Sindaco al leader dell’opposizione) che ha perso la faccia da un pezzo.

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