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Il giovane Zangiev incanta la Scala
Timur Zangiev

Il giovane Zangiev incanta la Scala

Che il ragazzo avesse i numeri lo si era capito la sera del 5 marzo 2022, seconda rappresentazione scaligera della “Dama di Picche”. Il giovane Timur Zangiev, 28 anni, era stato chiamato a sostituire Valery Gergiev, cacciato dal teatro il 24 febbraio, poche ore dopo aver diretto la prima dell'opera di Ciajkovskij. Cacciato con ignominia dal sindaco di Milano, presidente dell'ente lirico, per non essersi dissociato dall'invasione dell'Ucraina avviata poche ore prima dal suo amico Vladimir Putin. A cascata sarebbero seguiti i licenziamenti da parte dei principali teatri del mondo occidentale. A tutt'oggi il direttore russo, uno dei più grandi interpreti viventi a prescindere, non è più comparso oltre il confine di Santa Madre Russia, il confine segnato dagli incensi del patriarca Kirill.

Tornando a Zangiev, in realtà che il suo fosse un talento enorme lo aveva capito pochi giorni prima chi aveva avuto l'opportunità di seguire la prova d'insieme a porte chiuse (e il vostro cronista era tra questi): il giovane musicista, nato come Gergiev in Ossezia del Nord, aveva magnificamente preparato per “La Dama di Picche” l''orchestra scaligera in assenza del direttore designato, ufficialmente assente per covid ma in realtà noto ai teatri di tutto il mondo – da  sempre – per la non irreprensibile puntualità alle prove.

Zangiev: alla Scala è nata una stella

Detto questo, la prima di Gergiev fu straordinaria: il vostro cronista ne sente ancora la livida  tensione nelle vene. Ma fu straordinaria anche la prima di Zangiev: diversa, meno gelida ma altrettanto drammaticamente tesa. A chiunque fosse in sala fu evidente che era nata una stella.

Dopo un anno Zangiev, nel frattempo diventato ventinovenne, è tornato alla Scala con un concerto  dedicato a due monumenti della letteratura sinfonica: la 5^ di Ciajkovskij e la 5^ di Shostakovic.

Prova magnifica del ragazzo diplomatosi nel 2017 al Conservatorio di Mosca e cresciuto alla Filarmonica di Togliatti (la Togliattigrad della Fiat, per intenderci) prima di approdare come direttore ospite alle grandi orchestre russe, da Mosca a San Pietroburgo. Comunque il giovane si muove liberamente tra Russia e Occidente, e questa – in epoca di guerra – è una gran bella notizia: a dicembre “Il Flauto Magico” allo Stanislavsky di Mosca; sempre a dicembre le prime repliche di “Traviata” a San Pietroburgo, che riprenderà a maggio; a gennaio “Eugene Onegin” alla Bayerische di Monaco; a marzo Prokofiev e Rachmaninov a Rotterdam.

Gergiev tira fuori il gelo, Zangiev cerca e trova la luce

Ieri sera, dicevamo, Zangiev ha incantato il pubblico del Piermarini. Inevitabile il confronto con il suo mentore: dove Gergiev tira fuori il gelo, Zangiev cerca e trova luce, anche quella più fioca. E lo fa facendo scaturire dall'orchestra (una Filarmonica della Scala in stato di grazia in tutte le sue sezioni) densità e calore in Ciaikovskij, trasparenza cameristica in Shostakovic.Il programma ha offerto alcuni dei momenti più alti della storia della musica in assoluto: il secondo movimento in Ciaikovsky, con la melodia di indicibile bellezza introdotta dal corno; il secondo e il terzo in Shostakovic con il misterioso canto sospreso del flauto che si intreccia con fagotto, clarinetto e arpa e con il pianissimo degli archi. Bellezza allo stato puro: della partitura e di chi l'ha interpretata.

Per Zangiev alla Scala un trionfo meritato

Poi i due finali, ciascuno a suo modo trionfalistico: forzata autodichiarazione di ottimismo quello di Ciaikovskij; provocatorio, grottesco, deformato quello di Schostakovic, indirizzato agli ottusi censori del regime stalinista che lo avevano messo al bando per la sua musica non comprensibile alle “masse”, come si diceva allora. Shostakovic rispose con un finale tutto trombe, tromboni, timpani e piatti che tanto ricorda il finale della 3^ di Mahler; i censori apprezzarono (non cogliendone l'ironia) e lui potè tornare alla vita professionale. Zangiev lo esegue con un senso del ritmo fatto di forza, energia e nitidezza, riuscendo a far sentire nei momenti di massimo pieno orchestrale i singoli strumenti, anche i più timidi come xilofono e arpa. Trionfo meritato in una sala piena e attentissima.

Il punto G del Teatro alla Scala di Milano

Chiudiamo con una curiosità: ieri sera il vostro cronista si è trovato seduto in una poltrona di platea, un po' defilata e quindi non molto adatta alla visione di un'opera, ma acusticamente perfetta: che sia il punto G del teatro? Ma come i cercatori di funghi e tartufi, non rivelerà la fila e il numero...

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