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L'uomo che morse la mela. Disavventure in Apple per Braghò

L'uomo che morse la mela. Disavventure in Apple per Braghò

Le disavventure dell'avvocato Diego Gaetano Braghò, cassazionista milanese, alle prese con una riparazione traumatica del MacBook Pro Apple

L’invito dallo schermo appare tranquillizzante, ma, si sa, non ammette tentennamenti o rinvii: è disponibile un aggiornamento del sistema operativo e, fiduciosi, clicchiamo per avviare la procedura. Del resto è per il nostro bene, o meglio, per il bene del nostro computer; per migliorarne le prestazioni, l’efficienza, la sicurezza. Chi non ha nutrito una certa inquietudine nel corso di quei minuti durante i quali arcane strisce di codice ricombinavano i più intimi recessi del nostro principale strumento di lavoro? Al termine riavvio e un sospiro di sollievo.

La disavventura di Diego Gaetano Braghò

Non è stato così per Diego Gaetano Braghò, noto avvocato cassazionista milanese, che da un mese e mezzo sta lottando contro Apple per vedersi restituire il proprio MacBook Pro dopo un aggiornamento che, oltre ad aver prodotto un malfunzionamento, ha dato il via ad una vicenda dai contorni kafkiani. 

Procediamo con ordine. Il 15 maggio l’avvocato Braghò vede apparire sullo schermo del proprio MacBook l’avviso della disponibilità di un aggiornamento del sistema operativo. Procede. Una volta riavviato il computer si accorge però che le porte della macchina non vengono riconosciute, impossibile collegare chiavette usb, dispositivi per certificati digitali, hard disk esterni, cavo di alimentazione.

Il tentativo di riaprazione

Non resta che portare il computer all’Apple Store di piazza Liberty.
Primo step: venti minuti di diagnostica che non chiariscono del tutto la situazione. Potrebbe essersi deteriorata la scheda madre oppure sono le porte che non rispondono più. Preventivo massimo: 560 euro più iva. Il computer per l’avvocato Braghò è uno strumento di lavoro indispensabile. Ovviamente firma per accettazione. Il giorno dopo riceve tramite sms la conferma della presa in carico del MacBook e l’avvio dell’iter di riparazione del cui esito l’avvocato –che nel frattempo ha dovuto acquistare un altro computer– dovrebbe aver notizia in tre giorni.

Ne passeranno quindici. Si scoprirà solo dopo che il servizio riparazioni di Apple comunicava con un vecchio account AppleId  basato su una email dell’avvocato non più attiva da anni. “E sarà l’unica responsabilità a proprio carico che Apple Store riconoscerà.” Chiosa con amarezza il legale milanese...

Riparazione non preventivata

Fin qui un disagio non trascurabile ma irrisorio rispetto a quanto accadrà in seguito. Infatti, finalmente contattato per il ritiro del MacBook riparato, l’avvocato si ritroverà con una fattura di esattamente 560 euro più iva per la riparazione delle porte e…la sostituzione dello schermo. “Non avevo richiesto né autorizzato la sostituzione dello schermo, che non aveva nessun problema se non un’impercettibile scheggiatura in un angolo. Ovviamente non ho accettato di pagare per un intervento che non solo non era necessario, ma non mi era stato nemmeno prospettato –continua l’avvocato– e ho chiesto di parlare con il manager dello Store, che si è materializzato solo dopo le mie prolungate insistenze.”

A quel punto il nostro protagonista si trova innanzi a ben cinque membri dello staff dell’Apple Store che cortesi e irremovibili si trincerano dietro la giustificazione che era stato accettato un preventivo di 560 euro e che si sono riservati di eseguire una “riparazione” –non richiesta e a giudizio del cliente assolutamente non necessaria– per raggiungere quella cifra. Unica concessione da parte dello store manager uno sconto del 20%, per scusarsi del malinteso che aveva portato ad allungare l’attesa di dodici giorni.

Offerta rifiutata dall’avvocato. “In questione non ci sono i quasi 700 euro della fattura ma un principio” la più che comprensibile posizione del protagonista di questa vicenda la quale, a questo punto, non ha ancora toccato il suo culmine.

Una selva oscura di call center

Fine primo round. Il Mac Book rimane in piazza Liberty. L’avvocato Braghò rifiuta di ritirarlo e inizia l’impresa di districarsi tra la selva oscura di call center, società sussidiare della ‘grande mela morsicata’, indirizzi email di uffici sparsi in vari paesi. Impresa improba anche per un abilissimo  stimatissimo avvocato abituato a confrontarsi addirittura con la Corte di Cassazione.

Ovviamente la preoccupazione dell’avvocato Braghò non è il conto per l’intervento non richiesto, ma, oltre al principio, soprattutto la sicurezza dei dati contenuti in un computer: dati sensibilissimi riguardanti le pratiche degli ultimi 20 anni dell’avvocato, con relativi dati e documenti. Anche per questo inizia un fitto scambio di email e telefonate.

Chiamata dall'Irlanda

Il legale milanese tiene meticolosamente traccia di tutto. Finalmente riesce a parlare con una gentile signora italiana che risponde da Cork in Irlanda. Anche in questo caso cortesia e irremovibilità vanno a braccetto.

“A voce, perché la posizione di Apple mi è stata manifestata solo a voce –racconta l’avvocato Braghò– mi viene ribadito che la mia unica opzione è pagare quanto previsto dal preventivo. Peraltro tutti gli interlocutori con i quali sono riuscito a parlare, sempre molto cortesi, non facevano altro che ribadire che loro non potevano far altro che riportare la policy aziendale e i pareri del dipartimento legale dell’azienda. Nei fatti impossibile parlare con chicchessia che possa prendere decisioni e risolvere effettivamente il problema".

Mediazione fallita

Email e telefonate tra lo studio milanese dell’avvocato e vari uffici di Apple si susseguono per giorni. Per chiudere la vicenda e riavere il proprio MacBook Pro –e soprattutto i dati sensibili in esso contenuti– il legale propone una mediazione. Presso l’Organismo di conciliazione dell’Ordine degli avvocati di Milano fissata per il 18 luglio e comunicata alle parti il 17 giugno.

“Ancora una volta, solo a voce, il 21 giugno mi viene comunicato che l’azienda per prassi non partecipa ad alcuna mediazione assistita e che, anzi, non invierà nemmeno una comunicazione scritta di questa decisione. Inoltre, vengo invitato a ritirare il mio MacBook, ovviamente previo pagamento della riparazione, poiché oltre un certo termine le macchine in giacenza vengono ‘dismesse’. Pagamento che, peraltro, deve accompagnato dalla mia rinuncia formale a qualsiasi contestazione.”

Condizioni da accettare

La prospettiva è quella di accettare obtorto collo le condizioni di Apple o di vedersi ‘rottamato’ il computer. Un nuovo gradino dell’escalation del quale l’avvocato Braghò chiede le ragioni alla propria interlocutrice, che pacatamente gli risponde che la “dismissione delle macchine in giacenza dopo un certo termine è prevista dalle condizioni del contratto di riparazione”.

Che però l’avvocato non ha mai potuto visionare poiché sono arrivate su quell’account di AppleId legato a un indirizzo email da anni inattivo e che aveva causato il ritardo di dodici giorni nella comunicazione dell’avvenuta “riparazione”. Ovviamente Braghò fa notare la cosa. La risposta “le condizioni sono illustrate anche sul sito di Apple”. L’avvocato non può che replicare l’ovvio –che all’azienda che ha rivoluzionato il mondo dell’elettronica di consumo tanto ovvio forse non pare. "Il fatto che io possa leggere le condizioni di riparazione sul vostro sito non significa che io le accetti".

Al posto suo, cosa avreste fatto?

Di fronte a questa ostentazione muscolare, e siamo ad oggi, l’avvocato Braghò non può far altro che inviare una diffida formale affinché il proprio computer non venga distrutto. A questo punto però è inevitabile domandarsi quanti nella situazione del nostro involontario protagonista. Senza però la sua pazienza e la sua competenza legale, avrebbero accettato di pagare una riparazione non necessaria e non richiesta pur di riavere il proprio computer?

 

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