Il successo internazionale di Vesna Pavan - Affaritaliani.it

The Milan Show-Biz

Il successo internazionale di Vesna Pavan

di Krystel Lowell per affaritaliani.it

A tu per tu con Vesna Pavan, sangue friulano e pragmatismo milanese, un talento “Made in Italy” alla conquista della scena artistica internazionale

Il successo internazionale di Vesna Pavan

“Io sono la mia arte e la mia arte mi rappresenta” con questa frase Vesna Pavan, pittrice e art-designer, sintetizza la sua avventura professionale iniziata nel 1992, a soli 16 anni, che l’ha portata ad essere oggi un’innovatrice riconosciuta, anche al di fuori degli italici confini, per la sua inedita ricerca sul colore ribattezzata “Cromatismo Pavaniano” dal celebre critico Vittorio Sgarbi. 

I tuoi dipinti comunicano qualcosa della tua personalità? Quali obiettivi ti poni mentre crei?

Il processo creativo nasce dalla capacità di sintetizzare e trasformare in immagine o scultura uno o più elaborati emotivi. È un perpetuo lavoro di autoanalisi, concentrazione e umiltà; una ricerca interiore che porta sempre più vicino alla purezza spirituale, fino a quella che definisco l’Espressione Ultima. Quando mi trovo nell’atto di materializzare un elaborato, portandolo dal pensiero ad una condizione di presenza fisica, mi rendo conto che, a realizzazione ultimata, non sono più la stessa persona che ha dato inizio all’opera. L’atto creativo, nelle sue fasi, accompagna la trasformazione dell’autore. Una comunicazione silenziosa e continua può mettere in discussione l’intero processo creativo, un’unità dove non c’è un confine, ma una mutazione. La mia ricerca è composta da diverse collezioni, ognuna nella sua unicità ed estetica, esplora un punto di vista. L’interezza del mio lavoro è un percorso volto a smaterializzare la conflittualità tra l’essere e l’apparire. 

Qual è l’opera a cui sei più legata e perché?

Ogni dipinto è un dono per la mente. L’esperienza, lo studio e la sensibilità aiutano ad apprezzare a più livelli un’opera. Il gusto, l’estetica e gli stili mutano con il tempo. Io penso che un’opera crea emozione fino a quando non riesci ad interiorizzarla. Quando entra a far parte te ha esaurito apparentemente il suo compito e ti porta ad interiorizzarne più facilmente altre. Ogni esperienza ti muta. Tuttavia, anche successivamente, rivedendo la prima opera interiorizzata, proverai ancora stupore in quanto nella maturità dell’anima il parametro di lettura si acuisce rivelando aspetti prima celati.

Hai dei modelli che hanno ispirato la tua carriera?

Ispirato e carriera sono due termini definiti con due scene precostruite. L’ispirazione non implica una volontà di carriera e così la carriera non necessita d’ispirazione. L’intelligenza, l’attenzione la capacità di elaborare, a più livelli, lo stesso scenario è una predisposizione genetica. L’ispirazione non deve essere vista come un atto cerebrale ma come una risposta dell’anima.

La tua crescita professionale ha richiesto molti sacrifici? I risultati raggiunti coincidono con gli obiettivi che ti eri posta quando hai iniziato?

Non parlerei di sacrifici, ma di un grande lavoro di consapevolezza e di accettazione della mia natura. Ciò che ho espresso negli anni è il mio percorso individuale. Il dove sono ora non è diverso a dove ero 30 anni fa e probabilmente da dove sarò tra 20 anni, sempre in evoluzione. La parola arrivare per me e sinonimo di resa. Non so cosa abbiano detto sui miei lavori. Io ho inserito un nuovo elemento nella pop art ampliandola; ho lavorato sulle linee pure portando il movimento del gesto a livelli cosi estremi da far percepire gli occhi nelle mie figure pur non essendoci. Ho creato una nuova teoria del colore, ho ampliato e rivoluzionato il concetto di spazialismo. Non posso parlare oggi di risultati pur consapevole del contributo. Sono alla ricerca di quel qualcosa che, probabilmente, una volta espresso, non sarà più quel qualcosa che cerco. Io sono uno strumento che ambisce all’accordo perfetto nel suo mutare. 

Conta di più il contenuto o la forma?

La forma aiuta a comprendere il contenuto ma non sempre un contenuto necessità di una forma. L’obiettivo intrinseco di una “forma” è stimolare l’osservatore a porsi delle domande, al fine di creare una relazione empatica con il contenuto e l’esecutore dell’opera in oggetto, ormai dimentico della forma. 

Quali evoluzioni ha subito il tuo stile espressivo nel corso degli anni? 

È mutata in base alle esperienze personali, le sperimentazioni aiutano a valutare il metodo con il quale ci si può esprimere; l’osservazione è il primo strumento. Non credo che il mio pensiero sia mutato e nemmeno la mia capacità di elaborare. Ha assunto diversesfaccettature nel tempo. Per essere compreso, un concetto deve essere approfondito da diversi punti di vista attraverso  e da vari metodi espressivi, volti alla realizzazione di una visione nel complesso. 

Se dovessi assumere il ruolo di “maestro” cosa vorresti insegnare ai giovani artisti?

Il maestro ha un’enorme responsabilità nell’educazione del giovane. Cresce insieme all’allievo ed è capace di esprimere concetti difficili adattandoli alla comprensione del discepolo. Il maestro non invecchia; è una figura sia fisica che interiore che diviene parte dell’allievo; apre la mente e dona gli strumenti per iniziare un cammino che porterà a riconoscere altri maestri. Ho avuto grandi esempi e quello che vorrei trasmettere è l’importanza dell’onestà interiore, del rispetto per l’autorità, del non provare invidia, ma riconoscere le abilità altrui. Insegnerei a comprendere i limiti e da essi trarne forza, spronerei a sperimentare diversi studi e lavori per ampliare i propri punti di vista e affinare la conoscenza di diverse realtà. Ogni azione sia fisica che spirituale insegna e fortifica; non si può sapere chi si è se non ci si mette in gioco. Il valore della la vita è la libertà di poter scegliere al fine di trovare l’onestà che è più consona al nostro percorso di vita. Un maestro lo sarà per sempre, ancora oggi io chiamo il mio!! 

Sappiamo che hai preso parte al film “Give Them Wings”, diretto da Sean Cronin, sia come attrice che arredando le scene con le tue opere. Puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?

Venire interpellati per arredare con le opere uno o più ambienti in un contesto cinematografico ovviamente fa piacere. È un lavoro molto diverso rispetto a quando si crea un progetto per un’intera casa o per un ambiente lavorativo o pubblico, la scelta è del regista e del direttore della fotografia. La sorpresa è stata quando mi è stato detto che avevo un piccolo ruolo in una scena centrale e, una volta arrivata sul set, sapere di dover recitare in inglese stretto, senza preparazione, è stato pazzesco. Ancora oggi provo a dire il cognome dei personaggi, non ci riesco e sorrido. Ho avuto l’onore di vivere questa esperienza a 360 gradi, gli attori protagonisti e lo staff sono stati straordinari e molto disponibili, tanto da dividerci il pacchettino di biscotti o aiutarci con l’abito di scena. Mi sono commossa quando questi grandi attori, salutandoci, si sono commossi a loro volta. Siamo stati una famiglia meravigliosa, dove il protagonista aiuta la comparsa, ma tutti hanno la stessa valenza umana. Un aneddoto simpatico che mi piace raccontare, è il momento in cui sono entrata nello studio, palazzo n.4: un ospedale completo a più piani con rianimazione e sale attrezzate per ogni tipo di visita. Per un momento ho sentito l’istinto di scappare, poi ho continuato a disinfettarmi tanto da finire il flacone. Sono rientrata da questa esperienza con nuovi amici e il cuore pieno di gratitudine, lavorare con grandi professionisti arricchisce lo spirito.