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Mps, i giudici di Milano: c'è stato dolo di Profumo e Viola

Mps, i giudici di Milano: c'è stato dolo di Profumo e Viola

C'e' stato "dolo" e l'intenzione di "inganno" da parte del management di Mps imputato nel processo di Milano per le false comunicazioni sociali e l'aggiotaggio, finalizzato a "rassicurare il mercato in vista dell'incetta di denari che si sarebbe da li' a poco perpetrata con gli aumenti di capitale". A scriverlo sono i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Milano (relate Sandro Saba e presidente Flores Tanga) nelle motivazioni in cui spiegano la pena inflitta il 15 ottobre scorso all'allora presidente Alessandro Profumo e a Fabrizio Viola (al tempo a.d.): sei anni di reclusione, una multa da 2,5 milioni ciascuno, il risarcimento delle parti civili ammesse, l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e dalle cariche direttive nelle imprese per 2 anni; tre anni e sei mesi per l'ex presidente del collegio sindacale Paolo Salvadori.

Una sentenza che di fatto smontava le tesi dell'accusa, con i pm Mauro Clerici, Giordano Baggio e Stefano Civardi, che avevano sempre chiesto l'assoluzione per tutti i capi di imputazione. I giudici proseguono: "Il nuovo management" ha continuato con "la persistente rappresentazione a saldi aperti" con il risultato di "fornire un falso quadro informativo al mercato, in merito alla reale sostanza delle operazioni" Alexandria e Santorini. I vertici - ancora - non esitarono a usare "artifizi altamente sofisticati per indurre in errore la platea degli investitori, destinatari di comunicazioni sociali che sistematicamente sovrastimavano le principali voci di bilancio". 

Profumo e Viola: abbiamo garantito la sopravvivenza di MPS

“Non entriamo nel merito delle motivazioni della sentenza - replicano Profumo e Viola in una nota - che sono oggetto di approfondimenti da parte dei nostri legali, in vista del ricorso in Corte d’Appello, nel quale chiederemo la revisione radicale della sentenza di primo grado. Quello che ci preme oggi è ripristinare la verità dei fatti, fatti che nessuna sentenza – e tanto meno le campagne di stampa precedenti e successive ad essa – è in grado di sovvertire. E i fatti sono questi. Nel 2012, su invito della Banca d’Italia, abbiamo assunto l’incarico di presidente (Profumo) e di amministratore delegato (Viola) del Monte dei Paschi di Siena. Il quadro macroeconomico era difficilissimo, per la crisi del rischio Italia, e la situazione della banca disperata. Quindi è stata una scelta fatta per spirito di servizio e non certo per convenienza personale. In particolare, Profumo ha rinunciato al compenso per il suo incarico di presidente. In tale contesto, abbiamo garantito la sopravvivenza di Montepaschi, agendo lungo quattro direttrici: drastico taglio dei costi; riduzione del profilo di rischio, perseguita attraverso la pulizia del portafoglio crediti e la chiusura anticipata delle operazioni Alexandria e Santorini; completo rinnovamento manageriale; raccolta di capitale dal mercato per 8 miliardi, che hanno consentito anche di rimborsare i “Tremonti bond” e i “Monti bond”.

"Vorremmo soffermarci ora - prosegue la nota congiunta di Profumo e Viola - sulle famigerate Alexandria e Santorini, il cui danno prodotto alla banca abbiamo fatto venire alla luce noi, non altri. Come è noto, la condanna a 6 anni discende dalla nostra scelta di adottare, per le due operazioni, il criterio di contabilizzazione “a saldi aperti”. Ciò in continuità con le precedenti modalità di contabilizzazione e d’intesa con le autorità di vigilanza e controllo. È appena il caso di ricordare che una pena tanto severa mette di fatto sullo stesso piano noi, ovvero chi ha adottato un criterio contabile oggi in discussione ma non allora, e coloro che hanno distrutto quello che era il terzo gruppo bancario italiano, condannati a poco più di 7 anni. È quindi necessario, oggi, ripristinare alcune verità incontrovertibili. 1. Non siamo stati noi a creare il “marcio” nel Montepaschi. Noi quel marcio l’abbiamo tirato fuori, scoprendo il “mandate agreement” segreto che regolava i rapporti tra Mps e Nomura. 2. Non abbiamo avuto alcuna esitazione o timidezza nel denunciare i fatti, seppur preoccupati per le sorti di una banca sull’orlo dell’abisso. Il criterio della trasparenza è stato la stella polare del nostro comportamento nei confronti delle autorità preposte, degli azionisti, del mercato. Siamo stati noi a far emergere l’entità del buco di Alexandria e Santorini (730 milioni), ancora noi a fare il restatement dei bilanci degli esercizi precedenti. 3. Allo stesso modo, nell’adozione del criterio “a saldi aperti”, ci siamo avvalsi del supporto di esperti, di società di revisione e del costante rapporto con le autorità. Fin dal bilancio 2012, in una lunga nota integrativa, abbiamo dato conto dello scenario alternativo (“a saldi chiusi”). E l’abbiamo subito adottato quando, nel 2015, la Consob – solo sulla base di nuovi elementi emersi dalle indagini della Procura di Milano – ha cambiato orientamento a favore di questo secondo criterio. La differenza tra i due criteri, come avevamo spiegato, è irrilevante da un punto di vista economico-finanziario. Questo il mercato l’ha capito benissimo: quando la modifica del criterio è stata resa nota il prezzo di Borsa del titolo Mps non ha avuto reazioni significative. Né reazioni ci sono state da parte degli azionisti, con l’eccezione di Giuseppe Bivona, il finanziere che da tempo conduce una battaglia giudiziaria contro di noi, dopo essere stato una delle controparti della banca senese negli anni della malagestio. 4. Proprio perché nulla abbiamo da rimproverarci, non siamo rimasti sorpresi quando la Procura della Repubblica di Milano, al termine delle indagini, aveva chiesto l’archiviazione della nostra vicenda. Né quando, a seguito di imputazione coatta, aveva richiesto il non luogo a procedere. E neppure quando, al termine del successivo dibattimento, la stessa pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione nei nostri confronti. Per tutto questo la battaglia giudiziaria va avanti. Perché la nostra reputazione professionale, costruita in tanti anni di duro e serio lavoro, non può essere macchiata da una pagina come questa. E soprattutto perché ce lo impone la coscienza di aver ben operato nell’interesse di Mps e del Paese”.

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