Milano
Pay or Okay: il garante promuove una consultazione pubblica
Contenuti dei siti di informazione gratuiti in cambio dei propri dati personali: l'Autorità Garante apre un confronto con tutti i soggetti

Pay or Okay: il garante promuove una consultazione pubblica
Ciascuno di noi si è trovato, negli ultimi anni, a dover scegliere accedendo ai siti di informazione on-line, se prestare il proprio consenso o sottoscrivere un abbonamento per poter fruire dei contenuti in modo gratuito. Questo schema, denominato “pay or okay”, comporta che l’interessato, per evitare di sottoscrivere un abbonamento a pagamento, debba necessariamente prestare il consenso al proprio trattamento di dati personali che la navigazione genera, compresa l’attività di profilazione. E’ evidente che questo meccanismo svuoti, almeno in parte, di significato il consenso al trattamento dei dati personali, imponendo al navigatore di effettuare una valutazione economica relativa all’accesso a contenuti o servizi on-line, avendo l’alternativa di “pagare il corrispettivo in dati personali”.
La normativa specifica in materia di trattamento dati prevede però che il consenso debba sempre essere informato, fornito per uno scopo specifico, debbano essere indicati tutti i motivi del trattamento, debba essere esplicito e fornito tramite un atto positivo.
Pay or Okay: si apre una fase di confronto tra tutte le parti coinvolte
L’Autorità Garante sta monitorando da diverso tempo questa tematica e con un comunicato stampa del 5 maggio ha avviato una Consultazione Pubblica avente ad oggetto l’apertura di un confronto con tutti i soggetti portatori di interessi circa la liceità o meno del meccanismo del pay or okay. La scelta della consultazione pubblica è indicativa di una volontà di aprire un confronto costruttivo con tutte le parti coinvolte, dalle imprese (in particolare il settore dell’editoria on-line), ai consumatori, ai tecnici ed agli specialisti del diritto per cercare di addivenire ad una soluzione normativa condivisa. La durata della consultazione è di 60 giorni dalla pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale e in questo lasso di tempo i soggetti coinvolti possono fare pervenire all’Autorità commenti e indicazioni non vincolanti su come procedere a regolare il tema.
Sono proposti tre quesiti in merito alla compatibilità della pratica con le regole in materia di consenso privacy, sulla possibilità di individuare modalità alternative in grado di tutelare maggiormente le parti coinvolte e anche su come poter rendere l’interessato maggiormente consapevole delle scelte effettuate.
Ma cosa ne sarà dei dati personali che gli operatori on-line hanno già raccolto?
Sul punto però ci sono state già alcune rilevanti indicazioni fornite dalle EDPB – European Data Protection Board, che ha dato parere negativo in merito al “pay or okay” ad aprile 2024 e anche la pronuncia della Commissione Europea che ha recentemente condannato META e Apple per comportamento difforme rispetto a quanto prescritto all’interno del Digital Service Act proprio sul tema del consenso o pagamento per l’accesso ai servizi. Sull’altro piatto della bilancia si trova sicuramente il tema della sostenibilità del mercato dell’editoria nell’era digitale, aspetto rilevante anche sotto il profilo della tutela della libertà di espressione e dell’effettività dell’ordinamento democratico.
Oltre a questi “precedenti negativi” citati viene anche da chiedersi, vista la tardiva attivazione dello strumento di confronto, cosa ne sarà di tutti i dati personali che gli operatori on-line hanno raccolto nel corso degli ultimi anni utilizzando lo schema oggetto della consultazione pubblica. Il quesito è certamente delicato e gli interessi in gioco molto rilevanti, quello che deve però essere sempre tenuto a mente è che il GDPR ha come oggetto della propria tutela i diritti e le libertà fondamentali delle persone che, nel bilanciamento con gli interessi economici delle imprese devono sempre risultare prevalenti.
di Lorenzo Perino, avvocato