Pd, messaggio di Renzi a Brescia e Milano. Il potere lombardo sceglie Calenda - Affaritaliani.it

Milano

Pd, messaggio di Renzi a Brescia e Milano. Il potere lombardo sceglie Calenda

La mancata elezione di Bazoli in direzione nazionale è un messaggio chiaro e forte da parte di Matteo Renzi. Intanto il potere ha un nuovo Macron: Calenda

di Fabio Massa

La chiamano la vendetta di Matteo Renzi. Forse sono solo malignità, ma si sa, i retroscena politici ne sono pieni. Soprattutto quando il protagonista, l'ex premier, l'ex-neo segretario del Pd, è un toscano che non dimentica i torti. Del resto Curzio Malaparte lo scriveva nero su bianco, nel suo celebre "Maledetti Toscani": "Vi sono uomini e popoli che soffrono di non essere amati: son quelli che han natura femminile. Ma una nazione forte, spregiudicata, ardita, qual è la nazione toscana, a cui nessuno ha mai voluto bene, e che da secoli è abituata al sospetto e all'invidia altrui, perché mai dovrebbe soffrirne? Tutti siamo, noi toscani, fuorché femmine". E quindi, non essendo una femminuccia, Matteo Renzi i suoi messaggi li manda chiari e forti. Il problema è la risposta che ottiene. Per esempio, prendiamo il caso di Brescia. Come scriveva ieri Affaritaliani.it Milano, uno dei motori economici d'Italia, sede della più importante borghesia produttiva del Paese (fatta salva Milano), non ha neppure un rappresentante che sia uno all'interno della direzione nazionale del più grande partito italiano, il Partito Democratico. Perché? Ufficialmente, a guardare dalle parti di Brescia, è perché non c'era posto, visto che sono stati inseriti i millenials. Foglia di fico, questi millennials, giacché fanno parte della quota a discrezione del segretario. La verità è che a Brescia ci è rimasto male particolarmente uno che si chiama Bazoli. Non Giovanni, il banchiere e capostipite, ma suo nipote Alfredo. Avvocato, renziano della prima ora, si vocifera che sarebbe dovuto entrare, per un accordo con Alfieri e Guerini (un altro il cui potere sembra vacillare fortemente, salvo ripescaggi al governo). Alfredo Bazoli avrebbe dovuto prendere il posto, in ossequio alle dinamiche interne tra maggioranza e opposizione, di Laura Venturi, uscente, orlandiana. Il Bazoli nipote, Alfredo, in una dichiarazione riportata dal Giornale di Brescia (nel cui cda siede Francesca Bazoli, figlia di Giovanni), commenta caustico: "Cattivo inizio". Per il resto, solito e solido understatement bresciano. Che sia un messaggio da Renzi per il banchiere, però, c'è poco da dubitare. E anche che sia un messaggio all'intera città: del resto il "vecchio" Corsini aveva fatto una campagna durissima per il no. E il sindaco Del Bono è comunque un renziano non della prima ora, e con una grandissima dose di indipendenza. Un uomo libero, e dunque forte di una sua autonomia.

Il caso di Brescia, che fa il paio con Milano, una città nella quale invece Beppe Sala non si è esposto affatto per Matteo Renzi (anzi), apre a una domanda di quelle a cui è difficile rispondere: ma le banche, i veri stakeholder, il mondo confindustriale, appoggia ancora l'ex primo ministro? Oppure ha trovato un nuovo Macron? Secondo rumors c'è chi si sta muovendo per accreditare la parte più "raziocinante" del Movimento 5 Stelle nello scouting di talenti da portare a Roma. In questo progetto ad ampio respiro c'è il recruitment di Bruno Rota, l'ex presidente di Atm.

Giovedì si insedia Carlo Bonomi in Assolombarda. Era in grande vantaggio sul competitor Andrea Dell'Orto. Eppure ha chiuso primo per una manciata di voti dei grandi elettori. L'ENI aveva sostenuto il brianzolo: ordini da Renzi? O scelta strategica su Assolombarda? Di certo non si può dire che Bonomi sia un renziano militante. Carlo Sangalli? Renziano? Anche no, visto lo scontro durissimo ai tempi della vicepresidenza della Scala ottenuta da Ermolli al posto del favorito dell'allora premier, il melomane Francesco Micheli. Sangalli tra l'altro ha sostenuto Beppe Sala, che è perfettamente integrato in un mondo produttivo che sta dando segnali se non di distacco, quantomeno di non sovrapposizione con Renzi. Da Roma, dalla direzione Pd, un segnale chiaro e forte è arrivato. Chissà che dalla Lombardia possa arrivare un messaggio di ritorno frutto di una equazione nella quale l'uguaglianza con Macron non ha più come secondo termine Renzi, ma Calenda. Il quale sta dietro le quinte e muove. E muove bene, secondo i rumors trasmessi dai binari del potere.

fabio.massa@affaritaliani.it








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