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Milano
Realismo magico, il mistero del mondo nella pittura italiana tra le due guerre
Realismo magico: la mostra a Palazzo Reale

Realismo magico, il mistero del mondo nella pittura italiana tra le due guerre

A distanza di poco più di trent’anni il Realismo magico torna protagonista di una grande mostra a Palazzo Reale: nel 1989 l'esposizione curata da Maurizio Fagiolo dell'Arco aveva segnato il momento culminante di un graduale ritorno di interesse verso una fase della storia artistica italiana trascurata se non addirittura caduta in oblio nei decenni presenti, l'attuale mostra a cura di Valerio Terraroli e Gabriella Belli si inserisce nell'alveo della approfondita indagine attualmente condotta dalla dirigenza del museo milanese attorno al ritorno all'ordine nella pittura italiana risalente  ad un secolo fa, i cui capitoli precedenti sono stati costituiti dalle monografiche dedicate a Carlo Carrà e Giorgio De Chirico.

C'è una evidente continuità, perché proprio nella stagione metafisica dei due maestri, che non a caso figurano anche in questa esposizione, è possibile individuare una delle radici da cui si innesta la parabola del Realismo magico. Non un movimento ma piuttosto una corrente, un comune sentire che vibra ed attraversa, nel breve volgere di pochi anni, le opere di artisti dai percorsi trasversali, come Felice Casorati, Cagnaccio di San Pietro, Antonio Donghi, Ubaldo Oppi, Mario Broglio, Edita Broglio, per restare ai nomi maggiormente rappresentati nelle sale milanesi, nell'allestimento a cura dello Studio Mario Bellini con Raffaele Cipolletta, con dipinti provenienti da musei e collezioni private ed in particolare da quella di Emilio Bertonati, fondatore della Galleria del Levante di Milano e fondamentale fautore dagli anni Sessanta del recupero critico degli artisti oggi protagonisti a Palazzo Reale.

Felice Casorati   Ritratto di Renato Gualino
Felice Casorati - Ritratto di Renato Gualino

Si è detto di radici: proprio la genealogia del Realismo magico ne costituisce uno degli aspetti più delicati da districare per definire l'essenza e delimitare i contorni. Fondamentale è l'esperienza di Valori plastici, rivista fondata proprio da Mario Broglio in collaborazione con la moglie Edita e pubblicata tra il 1918 ed il 1921, con cui si propugna il ritorno alla cultura figurativa classica in risposta agli stravolgimenti della prima ondata delle avanguardie e si teorizza un recupero dei valori della tradizione italiana che parte proprio dalla Metafisica, ma non rinuncia ad un proficuo dialogo con l'Europa.

Nella formula ossimorica con cui ci si riferisce ad esso, il Realismo magico trattiene dalla Metafisica il senso di uno sguardo incantato e sospeso verso l'enigma del mondo, depurato tuttavia degli aspetti più apertamente proto-surrealisti di una rappresentazione che si pone al di fuori della dimensione del reale. La vocazione ereditata da Valori plastici verso una figurazione di matrice prevalentemente Quattrocentesca, di contro, non trascende verso forme di classicismo monumentale né arriva a connotarsi come culto di dogmi ideali - e poi ideologici – come invece avverrà per il Novecento italiano di Margherita Sarfatti. Su questo aspetto è bene ricordare che, nelle  biografie e nei percorsi pittorici dei singoli esponenti, i contorni restano talvolta sfumati, essendo figure come Carlo Carrà, Ubaldo Oppi, Achille Funi e Mario Sironi esempi di artisti che abbracciano Novecento ma che nella loro produzione annoverano opere indubitabilmente definibili come espressione di Realismo magico.

Cagnaccio di San Pietro   Allo specchio
Cagnaccio di San Pietro - Allo specchio

Guardando all'estero, evidenti sono le affinità con l'esperienza del Groupe des Sept di Parigi, i sette italiani guidati da Mario Tozzi e dal critico Waldemar George. Ma - come ben rappresentato dalla mostra di Palazzo Reale - innegabile è anche il dialogo  con la Neue Sachlichkeit, ovvero la Nuova oggettività che in Germania ha costituito la declinazione in chiave realista delle angosce e delle disillusioni del dopoguerra tedesco pur mantenendo, rispetto a quanto avveniva in Italia, la propensione per una connotazione emotiva maggiormente espressionista. Lo "stile italiano", come recita il sottotitolo della mostra milanese, è invece caratterizzato da un controllo della forma e del gesto pressoché assoluto e dalla ricerca di quel particolare attributo che Massimo Bontempelli, parlando di fatto di Realismo magico pur riferendosi all'operato di un ipotetico pittore ideale di inizio Quattrocento, così codificava: "Quanto maggior peso e solidità dava alla sua materia, tanto più teneva a suggerire che il suo amore più intenso era per qualche altra cosa attorno o al di sopra di essa".

Felice Casorati  Silvana Cenni
Felice Casorati - Silvana Cenni

E di questa sottile e quasi ineffabile essenza che permea il reale parlano le ottanta opere esposte a Palazzo Reale. Particolarmente efficaci e suggestivi risultano alcuni ritratti, come il superbo “Silvana Cenni” realizzato da Casorati nel 1922, “Cynthia” (1924-1925) e “Raja” (1925) del medesimo autore, l' “Autoritratto con la moglie (Mozart)” di Ubaldo Oppi (1920), presente  con altre opere altamente significative come “Il chirurgo” (1919), “Il cieco e altre figure” (1922), “I tre chirurghi” (1926). Di Mario Broglio resta impressa la ieraticità senza tempo di alcune figure femminili, come in “Bagno al parco” (1928) e “Il romanzo” (1939), mentre è attraverso le sue nature morte che Edita Broglio affronta il sottile mistero di una realtà labile e rarefatta quasi al punto di svanire e farsi pura luce.

I due campioni del Realismo magico, i più coerenti nell'inseguire, ognuno secondo il proprio specifico linguaggio, la linea dell'orizzonte di atmosfere fragilmente sospese tra quotidiano e miracoloso, sono Antonio Donghi e Cagnaccio di San Pietro. Il primo allestisce una galleria di figure circonfuse da una luce di nitore ultramondano che conferisce grazia e solennità a gesti ed azioni intimi e ordinari. Ma è soprattutto il gioco quasi metatestuale degli sguardi  dei protagonisti delle opere a trasmettere all'osservatore un senso di enigmatica inquietudine in totale e suggestivo contrasto con l'apparente perfetta serenità della scena, come in “Prima della canzone” (1930) o in “Gli amanti alla stazione” (1933).

Amedeo Donghi   Donna al caffe (inv 0899)
Amedeo Donghi - Donna al caffè

Natalino Scarpa, in arte Cagnaccio di San Pietro, in questo si pone agli antipodi, denunciando invece tutto il suo interesse per la concretezza del reale ed anche - pressoché unico tra gli esponenti del Realismo magico - per una interpretazione sociale delle vicende del suo tempo. Emblematico è il  trittico di opere di grande forza, costituito da “Zoologia” (1928),  “Primo denaro” (1928) e “Dopo l'orgia” (1928), che parlano apertamente di eros, violenza dell'uomo sulla donna, prostituzione. Il terzo dipinto, per di più, con una sottile allusione al fascismo rintracciabile nel polsino dell'uomo poggiato a terra, che causò all'artista non pochi problemi per le implicazioni etiche e morali che il dettaglio suggeriva. Ma non meno banali riflessioni psicologiche e sociologiche possono scaturire dall'analisi di altre opere come “Bambini che giocano” (1925) o “L'alzana” (1926), pure all'interno di composizioni estremamente misurate e meditate, avvolte da un'aura tesa e vibrante di mistero.

Cagnaccio di San Pietro   Dopo orgia
Cagnaccio di San Pietro - Dopo l'orgia

Tratti ed elementi che costituiscono la cifra distintiva del Realismo magico. Corrente per la quale già Roberto Tassi aveva opportunamente preso a prestito le parole di Oscar Wilde: "Il vero mistero del mondo è quello che si vede, non l'invisibile".

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