Milano
Sobrietà, classe e accoglienza milanese, Colombo: "Benvenuti nel mio Hotel Manin"

di Paola Perfetti (www.milanoincontemporanea.com)
Se cercate un esempio di quella tanto declamata sobrietà milanese, passate dall’ Hotel Manin e chiedete del direttore Davide Colombo: poco più di trent’anni, direttore di un albergo centenario di Milano in cui, solo qualche sera fa, Civiltà del Bere ha brindato a 21 etichette D.O.C. Italiane, è il padrone di casa dello storico Hotel Manin. Quello in cui Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti hanno da poco presentato l’ultimo film di Michele Placido. Anche Gabriele Muccino è appena passato di qua, e molti sono gli ospiti e gli eventi di riguardo che scelgono di continuo i Manin. Così come gli amanti dell’aperitivo d’autore e senza grandi clamori. Perché davanti ai Giardini di Indro Montanelli, il tipico riserbo milanese e la sobrietà sono canoni di famiglia.
Quarta generazione di una famiglia di autentici albergatori meneghini (è alla guida del Manin insieme ai suoi due fratelli), arriva all’appuntamento con la nostra intervista nella hall del suo albergo in giacca e cravatta. Alto, biondissimo, fisico possente, piglio sicuro ma gentile, attitudine elegante tanto da farlo assomigliare ad un businessman da copertina. Ogni domanda ed ogni imbeccata sono da lui trattati con grazia e garbo. Ogni suo racconto e passione extra professionale – su tutta, quella per il Triathlon– sembrano aspetto facilissimi da vivere quotidianamente nonostante la maggior parte della giornata sia alle prese con un’importante eredità di famiglia ed un business affrontato (e da affrontare) prima e dopo Expo Milano 2015. Davide Colombo è un Iron Man, perchè ha partecipato all’ominima competizione sportiva, ma è anche un uomo milanese D.O.C., uno di quelli che hanno ben compreso cosa vuol dire portare avanti anche il DNA della nostra città.
Con lui abbiamo parlato di storie milanesi, famiglia, senso di appartenenza a Milano. "La famiglia Colombo, la mia famiglia, nasce come famiglia di albergatori nella seconda metà del 1800. Questa professione, legata all’attività che ci ha portati qui fino ad oggi, è stata inaugurata dal mio bisnonno il quale acquistò da un’altra famiglia l’Hotel Manin. Era il 1904..."

Cosa di quel passato è stato tramandato a lei e ai suoi fratelli, oggi?
Più che i ricordi “materiali” sono rimasti intatti la cultura e la passione per questo lavoro: il business moderno non può essere costruito sull’idea dell’oste-albergatore di un secolo fa. Dei tempi di mio nonno, mio padre o di mio zio – stiamo parlando degli anni ’80 – sono rimasti il sapere, la consapevolezza delle radici e di chi è stato prima di noi. Il lavoro di oggi non ha niente a che vedere nè con la generazione che mi ha preceduto: rispetto ad allora è cambiato il modo in cui acquisisci i clienti e la relazione con loro; i metodi di prenotazione; quello che c’è dietro al rapporto umano. Ovviamente, tra la mia generazione e quella di mio padre c’è stato l’avvento di Internet su larga scala che ha stravolto tutti gli schemi, in tutti gli ambiti professionali.
E’ cambiato il canale e, di riflesso, anche la tipologia del cliente?
Il cliente moderno è nato con internet, ne ha assorbito completamente l’influenza e si aspetta o pretende determinate situazioni. Milano sotto i riflettori del mondo, oggi perExpo Milano 2015, come trent’anni fa durante i mitici anni ’80, i tempi d’oro della finanza, moda, politica: allora c’era suo padre alla guida “del Manin”, ma per per lei il fenomeno del 2015 è stato lo stesso di allora? Gli anni ’80 della “Milano da bere” non sono durati sei mesi come l’Esposizione Universale ma sono stati un ciclo ben più lungo. Certo, sono stati due momenti simili per l’impatto mediatico che hanno avuto. Nel caso di Expo, la spinta economica è stata più o meno visibile ma comunque ha portato ad un oggettivo ed importante flusso di persone oltre che economico. Expo è stato di certo un trampolino per tutti, in questi sei mesi: c’è stato ugualmente un grande movimento – sempre un aperitivo, in evento, un happening… L’anno prossimo ci sarà un ovvio impatto al contrario, ma l’abbrivio c’è stato – forse non su tutti e più sul centro che non fuori, ma i dati – anche solo dell’ultima Settimana della Moda – hanno portato un volume straordinario di visitatori in città e di flussi.
Ci sono degli elementi di similitudine tra il suo modo di dirigere il Manin e quello di suo padre e di suo nonno?
Stessa è la passione. Stesso è il modo di relazionarmi con le risorse umane – rispetto ad altre strutture e catene che si affidano ad un management “esterno”. Questa è un’attività di famiglia impostata con determinate regole. Quello che invece è completamente cambiato è il lato operativo: ai tempi di mio nonno, e ancora prima, c’era un contatto diretto con i clienti fatto relazione in prima persona, di presenza nella hall a stringere le mani ai visitatori. Io non conosco i volti dei miei clienti, le loro storie. Oggi questo aspetto – per quanto bellissimo e importante sotto il lato umano – non è più richiesto e non fa una grandissima differenza nel business.

Avrebbe voluto fare un altro mestiere?
Onestamente non mi sono mai posto il problema. Sin da piccolino sapevo che avrei fatto questo lavoro ed ho impostato il mio percorso post liceo per essere qui.
Che ricordi ha della sua infanzia legato al Manin?
Ben pochi perché non venivo mai, non era un’abitudine. Questa è un’attività di famiglia solo nel momento in cui vi lavori all’interno. Abbiamo sempre mantenuto i due aspetti ben distinti: non è un’attività famigliare di vecchio stampo ma con un’impostazione manageriale in cui ognuno ha il suo ruolo. La famiglia è a capo del progetto ma tutto il resto funziona come un’azienda standard.
Gestire un albergo a Milano, in centro, oggi, con tutta la concorrenza che c’è (infinita, tra pubblico e privato), rende questo lavoro più difficile delle generazioni che l’hanno preceduto? Lei farebbe mai a cambio con suo nonno?
Ognuno vive il suo momento storico; ogni generazione ha le sue priorità ed i suoi momenti. Ci sono sempre momenti difficili: mio nonno e suo fratello hanno subito i bombardamenti e la distruzione della struttura, che hanno poi dovuto far ripartire da zero. In quel caso on farei di certo a cambio. Quando i miei nonni sono andati all’estero a lavorare… allora erano dei pionieri, con l’incognita del ritorno, del cosa capiterà… Oggi sono cambiate le priorità e, vivendo il nostro periodo, sì: c’è una grandissima concorrenza ma esiste in tutti campi e ci sono cambiamenti continui e velocissimi. Ecco: forse una volta ci si poteva sedere un po’ di più sulle proprie certezze. Cosa che oggi non ti puoi permettere più.
La vostra comunicazione è molto milanese: classicamente pudica, da aprire la porta e conoscerla passo dopo passo… Potrebbe essere a discapito dei cotillons...
Noi siamo sempre stati abbastanza low profile. Essendo una quarta generazione, crediamo di sapere quali sono le cose veramente importanti. Apparire in modo eccessivo, sul lungo periodo, potrebbe non fare questa grande differenza. Questo amore di tutela della privacy è un aspetto apprezzato anche dal cliente, sin dagli esordi. Oggi, dove tutto è social, instantaneo, in vetrina anche a livello esponenziale, questo nostro atteggiamento quasi controcorrente è un valore aggiunto. Di fatto, la nostra è una realtà quasi unica in questo settore: siamo social ma a piccoli passi. Dove era giusto esserci, ci siamo stati, ma senza strafare.
C’è la realizzazione di un libro con la storia del Manin che sarà in distribuzione “a pillole”...
Tutto è nato dal diario che scriveva la mia bisnonna Carlotta (erano gli anni ’30-’40 – allora era abbastanza consueto) in cui narrava il suo quotidiano, la sua vita prima e dopo aver conosciuto il mio bisnonno. L’ha mantenuto fino alla Seconda Guerra Mondiale (circa). Durante gli anni ’80 questo diario è stato ripreso, ri-adattato, con innesti della generazione di mio padre e mio zio e ne è nato un libricino con il riassunto della storia e della famiglia dagli anni ’50 agli anni ’80. Siccome sono passati altri 30 anni, ho pensato di rinfrescarlo. Stefania Nascimbeni l’ha riassemblato, con molte più fotografie, con canoni moderni. E’ un progetto nostro e non sarà pensato per la grande distribuzione in edicola ma solo a chi riterremo di raccontare la nostra storia.

In vero spirito Manin. Lei farebbe fare il suo stesso mestiere ai suoi figli? Continuerebbe la tradizione?
Bella domanda: chi lo sa? Mi piace l’idea che prosegua: sono arrivato io, la quarta generazione, e non vorrei essere io a farla finire – a meno che non combiniamo qualche disastro nei prossimi anni (ride, N.d.r.). Chissà: forse, proprio perché le cose vanno così veloci, questa non sarà la prima scelta lavorativa ma ci saranno altre milioni di opportunità.
L’essere stato direttore in un anno così importante come Expo le ha dato qualche senso di responsabilità aggiuntivo?
Non ci sono stati particolari nervosismi, anche se l’anno scorso ci siamo dati degli obiettivi importanti per questa manifestazione. Poi Expo è partito, da subito al di sopra delle aspettative e per noi è stata un’occasione fantastica – una di quelle cose che capitano una volta nella vita.
E quindi: Expo superato con successo, la ristrutturazione è stata completata, il Garden funziona a meraviglia, gli eventi e gli aperitivi ci sono. Cosa resta nel futuro prossimo del Manin?
E poi.. non ci si può sedere mai.
E il papà ha apprezzato l’impegno e la professionalità. Forse anche nonna Carlotta.