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Milano
Una “Rondine” musicalmente bella ma la regia non la fa volare
Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Una “Rondine” musicalmente bella ma la regia non la fa volare

Grazie al centenario della morte del compositore lucchese, “La Rondine” di Giacomo Puccini vola di qua e di là dall'Oceano (“Forse, come la rondine, migrerò verso il mare...” canta Magda, la protagonista, nel primo atto). A fine 2023 aveva aperto le ali al Regio di Torino, poi a febbraio/marzo è volata a Maribor, in Slovenia, e da qui a Verona; in aprile La Scala e il Metropolitan di New York, poi da lì un breve volo per Washington; a maggio di nuovo nella vecchia Europa, a Vienna, ma in agosto il volo più lungo, verso Melbourne. Poi a settembre tornerà in Italia, al Coccia di Novara, ultima data conosciuta al momento, consultando “Operabase”, del rondinesco tour.

In questi giorni il piccolo uccello migratore ha fatto il nido alla Scala, sotto le attente cure di Riccardo Chailly. L'opera di Puccini, scritta in piena prima guerra mondiale in mezzo a difficoltà contrattuali e organizzative di ogni tipo, è un oggetto non classificabile secondo gli schemi consueti. Non è un dramma, non è una commedia e nemmeno un'operetta, come doveva essere nelle intenzioni dei committenti originari di Vienna. Non ci sono morti, non ci sono nemmeno donne vittime dolci e remissive, né donne combattenti come Tosca, ma una donna - Magda – che sceglie consapevolmente di restare nella sua condizione di “traviata”, fuggendo dal tenero e ingenuo Ruggero che pensava di redimerla con l'amore... Una donna a suo modo forte che invece di gettarsi da Castel Sant'Angelo preferisce tornare nelle “trine morbide” di Parigi e nelle braccia del suo “finanziatore” Rambaldo.

Riccardo Chailly fa un lavoro di fino con l'orchestra

Opera musicalmente sofisticata, soprattutto il primo e il secondo atto (il terzo è più convenzionale, Leonardo Pinzauti nella sua celebre biografia pucciniana da poco ripubblicata parla di “manierismo d'invenzione che infiacchisce fino allo spasimo”), dove Puccini manipola da par suo non solo il valzer ma anche balli a lui contemporanei provenienti dagli Stati Uniti, riducendoli a frammenti, molecole, atomi, smontando e rimontando i ritmi e le melodie con ironia e malinconia. Musica per palati fini, dove domina il canto di conversazione (sicuramente il Richard Strauss di “Intermezzo”, “Arabella” e “Capriccio” non può non avere conosciuto a fondo questa partitura).

Riccardo Chailly fa un lavoro di fino con l'orchestra, esaltandone colori e sfumature, anche se in alcuni momenti copre le voci e nel concertato che chiude il secondo atto gira forse troppo la manopola del volume. Eccellente il cast vocale, soprattutto le due protagoniste femminili. Magda è Mariangela Sicilia, ormai una certezza dopo essere stata giovane Mimì nella “Bohème” bolognese di Vick e Mariotti, probabilmente lo spettacolo lirico più bello del nostro secolo. Il trentottenne soprano cosentino incanta la platea con meravigliosi acuti smorzati nei quali si riconoscono sia doti naturali sia padronanza tecnica di livello superiore. E Rosalia Cid, ventottenne soprano spagnolo, interpreta con freschezza, autorevolezza e ottima presenza scenica la parte della cameriera intraprendente che si traveste da padrona ma poi torna a Canossa con la coda tra le gambe. Matteo Lippi, trentenne genovese, è un Ruggero dal bel timbro e dal colore luminoso, penalizzato dalla parte di ingenuo fessacchiotto che gli attribuisce il librettista, mentre il trentaduenne lecchese Giovanni Sala interpreta brillantemente la parte del poeta intrallazzone Prunier. Ho dichiarato le età degli interpreti, per far capire che in giro ci sono ottimi giovani cantanti, e questa è una buona notizia.

Le cattive notizie vengono invece, ancora una volta, dalla regia. Ancora una volta, perché le due ultime rappresentazioni scaligere (“Simon Boccanegra” di Daniele Abbado e “Guillaume Tell” di Chiara Muti) erano state pessime, come altre della scorsa stagione (ricordiamo in particolare, ma vorremmo dimenticare, “Un ballo in maschera” e “Vespri siciliani”). Irina Brook, anche lei figlia d'arte, non sapendo se “La Rondine” è un dramma, una commedia o un'operetta, taglia la testa al toro: opta per il musical stile Broadway anni '30 dal punto di vista scenografico e sull'invenzione dell'acqua calda da quello registico, cioè il teatro nel teatro, con tanto di mimo a fare il doppio della protagonista. Sai che novità, il teatro nel teatro e il mimo che fa il doppio...
Poi la figura di Prunier, che nelle intenzioni di Puccini voleva essere probabilmente la parodia di Gabriele D'Annunzio, isterico e altero etero maschio Alfa, qui diventa la macchietta di un omosessuale con mossette da checca, del tutto fuori parte e fuori luogo.
Certo, la scenografia è bella colorata, il secondo atto sgargiante, il pontile che si perde nel mare al tramonto del terzo atto non è privo di fascino; ma la scritta rossa al neon “EXIT” come quelle che si possono vedere nei parcheggi multipiano è un irrimediabile colpo basso, in stridente contrasto con la malinconia delle ultime note che accompagnano la lenta uscita di scena di Magda e del suo doppio.

La recensione si riferisce alla recita di venerdì 12 aprile, con il teatro pieno di ministri dei trasporti dei Paesi del G7 (alcuni di loro si facevano gioiosi selfie nel palco reale accanto al sindaco Sala) e relativi accompagnatori e apparati di sicurezza (però Matteo Salvini il vostro cronista non l'ha visto; forse ha accompagnato i suoi ospiti col tram Carrelli fino all'ingresso del teatro e poi se l'è svignata...).








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