Milano
"Vita e libertà contro il fondamentalismo": storie di coraggio dall'Iran e dal Medio Oriente
Il libro di Fabio Poletti e Cristina Giudici racconta quaranta storie di eroismo e resistenza contro i regimi fondamentalisti: "Donne e uomini che con i loro gesti accendono un faro". SCARICA E LEGGI L'INTRODUZIONE

"Vita e libertà contro il fondamentalismo": storie di coraggio dall'Iran e dal Medio Oriente
“A Mahsa Jina Amini e a tutti quelli dei quali non conosciamo neanche il nome”. Quaranta storie, dieci Paesi, una sola costante: la scelta di resistere. Non all’Islam, non al Corano, ma alla sua deformazione ideologica in chiave fondamentalista, autoritaria, patriarcale. Il fondamentalismo. E proprio "Vita e libertà contro il fondamentalismo" si intitola il libro firmato dai giornalisti Fabio Poletti e Cristina Giudici per Mimesis, un volume nato dalla collaborazione con Fondazione Gariwo nell'ambito del più ampio progetto della "Enciclopedia dei Giusti". Un grande racconto corale che ha però il suo cuore soprattutto in Iran, dove nel 2022 - proprio mentre il volume cominciava a prendere forma - fu uccisa Mahsa Jina Amini, a cinque giorni dal suo 23esimo compleanno. La sua colpa? Dal hijab che era costretta ad indossare spuntava un ricciolo dei suoi lunghi capelli.
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La dedica a Masha Jîna Amini ed alla rivolta iraniana
"La dedica è per l'Iran perchè il Paese ha una storia particolare - spiega Cristina Giudici ad Affaritaliani.it -. Si tratta di donne e uomini che con la loro protesta sono riusciti a 'bucare lo schermo' in Occidente e che potrebbero creare un effetto domino in altri Paesi. Sono donne in particolare di immenso coraggio, protagoniste di gesti che non hanno riscontri altrove. Disposte a rischiare tutto davanti ad un regime che non le rappresenta. Possono rappresentare il muro di Berlino dei regimi musulmani, accelerando un processo di cambiamento in tutta l'area".
L'uccisione di Mahsa Jina Amini ha sicuramente influenzato il lavoro di ricerca di Poletti e Giudici. Ma le storie raccontate sono molteplici e diverse. E giungono anche da Afghanistan, Iran, Tunisia, Sudan, Arabia Saudita, Kurdistan. Ma anche dai Paesi dell'esilio, in Europa e negli Stati Uniti, dove molti dei protagonisti e delle protagoniste sono stati costretti a fuggire pur di continuare a parlare. Molte di queste figure sono del tutto sconosciute in Occidente, dove il dibattito sulla libertà di culto o di espressione spesso si ferma ai confini geopolitici dell’Europa. "Siamo stati travolti - hanno commentato Giudici e Poletti -, pensavamo che avremmo faticato a trovare storie a sufficenza e invece abbiamo riscontrato con ammirazione quanto grande fosse il numero di attivisti che rischiano e sacrificano la loro vita per salvare altre vite".
Quaranta storie da dieci Paesi: donne e uomini contro il fondamentalismo
C'è la storia di Gohar Eshghi, la decana della rivolta in Iran, che a 76 anni nel 2022 si è tolta pubblicamente il velo indossato tutta la vita per protestare contro la morte del figlio ucciso in carcere. E poi la vicenda di Homa Darabi, che si diede fuoco in una piazza di Teheran per protestare contro l’obbligo del velo. C’è l’esempio di Nasim Eshqi, climber iraniana costretta all’esilio perché voleva scalare le montagne senza hijab, e quello di Khalida Popal, che ha salvato la nazionale femminile di calcio afghana dai talebani. E che ora sta battendosi per il riconoscimento da parte della Fifa della squadra in esilio. "Se così avvenisse - spiega Cristina Giudici - la squadra potrebbe competere per i campionati internazionali, rappresentando l'Afghanistan ma non il suo regime". Nargess Eskandari-Grünberg, la donna sfuggita dalle persecuzioni e dalle torture del regime iraniano divenuta vicesindaca a Francoforte. Ed ancora Toomaj Salehi, rapper iraniano condannato a morte: per lui, 460 veterani della guerra con l’Iraq si sono offerti di essere giustiziati al suo posto.
Ma le voci raccolte nel libro arrivano anche dal Mali, dal Qatar, dall’Egitto, dall’Hazaristan e dal Libano. Lì dove la religione è diventata uno strumento di potere, di oppressione, di cancellazione identitaria. E' raccontata la vicenda di Mahmoud Mohamed Taha, detto “il Gandhi del Sudan”, giustiziato per le sue idee riformiste. Ed è descritta la vicenda della guida tunisina Mohamadi Naceur Ben Abdesslem, che salvò quarantacinque turisti italiani durante l’attacco al Museo del Bardo. Od ancora Lassana Bathily, il commesso maliano che a Parigi nascose venti ebrei in una cella frigorifera per sottrarli a un attentatore islamista. Gesti semplici, eppure eroici. Gesti che chiedono di essere ricordati. E poi l'ex tedofora olimpica dell'Oman Habiba Al-Hinai, costretta all'esilio per aver avuto un figlio da un cittadino straniero. Ci sono anche vicende di popoli, come gli Hazari. Un tempo maggioranza in Afghanistan ma che hanno subito nei decenni un vero e proprio genocidio, per quanto oggi non ancora pienamente riconosciuto.
"Un monumento fatto di parole"
Un libro che è dunque anche un archivio della memoria civile, un argine alla dimenticanza. "Non lottano contro l’Islam - scrivono gli autori - ma contro il fondamentalismo islamico che è la tragica degenerazione degli insegnamenti del Corano". Come spiega nella prefazione Younis Tawfik, scrittore e poeta iracheno sopravvissuto all’occupazione dell’Isis, è un promemoria che non può essere ignorato: "Hanno dato la vita, la propria esistenza e il proprio tempo per salvare una persona che non conoscevano o per difendere un principio fondamentale come la libertà, la democrazia e la giustizia".
"Visto dall'Occidente, il Medio Oriente appare come un grande magma oscurantista. E spesso nel modo di raccontarlo vige l'equazione 'Islam uguale terrorismo'. Ma stiamo parlando di due miliardi di persone che professano tale religione. E' un grande mosaico, un'area ricchissima, composta di tante culture. Ed i fondamentalisti sono una minoranza, per quanto spesso al governo", spiega Cristina Giudici. Le teocrazie sono un contesto non favorevole ai diritti di donne e uomini: "Le storie contenute nel libro sono fiabe di speranza per restituire all'Occidente la consapevolezza che quei Paesi sono pieni di persone che camminando al buio accendono un faro. Il volume vuole essere nei loro confronti un monumento fatto di parole"