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Politica

Sul Corriere della Sera di ieri Roberto D'Alimonte, commentando la scarsa affluenza al voto per i ballottaggi affermava (sintetizzo) "Il calo dei votanti non è per forza un male. Le ideologie sono in crisi. La popolazione invecchia. Diminuisce il voto di scambio: alle elezioni regionali della Lombardia solo il 13% ha scelto di votare la preferenza, mentre in Calabria è stato l'80%. Un'affluenza più bassa non vuol dire che le elezioni siano state meno buone. I sindaci che usciranno da queste urne saranno rappresentativi a tutti gli effetti".

Sullo stesso quotidiano Pierluigi Battista apriva ieri in prima pagina "E ora Nessuno parli di calo fisiologico. Non è un calo, è un crollo. Nemmeno lo spirito municipale appassiona e porta i cittadini a votare. E' il disincanto. Non una fatalità, ma un "no" secco e clamoroso (e continuava a pag. 29) … anche in altre nazioni democratiche, Stati Uniti in testa, le percentuali di voto sono basse, anzi ancora più basse … Già ma prima a non era così. E quindi va spiegato perché le cose sono cambiate tanto rapidamente, in misura così massiccia … Se un mare di indifferenza travolge (anche) i municipi, è come se un pezzo importante del senso di una comunità venisse meno .. Ma gli italiani vanno sempre meno a votare, con qualsiasi legge elettorale. I partiti faranno fina di niente, ma la prossima volta sarà ancora peggio. Si ritroveranno sempre più soli e più "delegittimati", con una democrazia sfibrata e stanca. Quando se ne accorgeranno?".

Oggi Renato Mannheimer sempre sul Corriere della Sera tira le somme della partecipazione al voto "Come era prevedibile, in occasione del secondo turno delle Amministrative, l'affluenza alla urne si è ulteriormente erosa. Il 16% di quanti hanno votato al primo turno hanno scelto, questa volta, di astenersi. Con differenze assai significative … il vero crollo della partecipazione si era registrato al primo turno, con un calo di votanti (nei comuni capoluogo) superiore al 20%. Un fenomeno di astensioni dovuto soprattutto al record di astensioni registrato a Roma".
Non credo che il trend della disaffezione al voto sia facilmente modificabile e che sia possibile, a breve, una significativa (e auspicabile) inversione di tendenza.

Tenuto conto di questo, è vero, come afferma D'Alimonte che i sindaci usciti dalle urne sono rappresentativi a tutti gli effetti, ma Battista pone una questione più generale di "legittimità" che investe persone, partiti e istituzioni sulla quale non possiamo non interrogarci.

Su questo argomento trovo utile al momento proporre la riflessione che Giorgio Agamben sviluppa nel suo libro "Il mistero del male" quando afferma che "la legalità non basta a legittimare il potere".  "I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati perché caduti nell'illegalità; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l'illegalità è oggi così diffusa e generalizzata perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità. … Il tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità, cercando di assicurare attraverso il diritto positivo la legittimità di un potere, è, come risulta dall'inarrestabile processo di decadenza in cui sono entrate le nostre istituzioni democratiche, del tutto insufficiente."

Ma sul piano pratico quali le conseguenze di una scarsa partecipazione al voto?
In un mio intervento dell'ottobre scorso su Affari Italiani, allorché emergeva dai sondaggi (più o meno in concomitanza con le elezioni regionali siciliane) una crescente disaffezione al voto degli elettori italiani, titolavo "L'astensionismo favorisce l'ndrangheta". Il rischio che volevo evidenziare è quello di come la combinazione tra "partiti leggeri", sempre meno insediati nella società e nel territorio, e crescente astensionismo possa offrire maggiori possibilità per la n'drangheta e la criminalità in genere per infiltrare le istituzioni.

Ricordavo che non c'era bisogno di avere alle spalle una lunga conoscenza delle dinamiche politiche per sapere come sia esistito da sempre, anche in città di Milano e in regioni come la Lombardia, un mercato della politica che non si esercita soltanto nel momento elettorale con il voto di scambio o la compravendita dei voti di lista e delle preferenze, ma anche nella competizione interna dei partiti, nella raccolta delle firme per la presentazione delle liste elettorali e, in taluni casi, nelle stesse primarie del centro-sinistra.

Inoltre, come ricorda D'Alimonte, assieme al calo dei votanti assistiamo in genere (Calabria a parte) ad un progressivo calo delle preferenze espresse. Spesso con una manciata di voti di preferenze si entra in un Consiglio Comunale e nei Consigli Regionali (e così procedendo, anche in Parlamento sia se verranno reintrodotte le preferenze, sia se si tornerà ai collegi uninominali) o comunque se ne potrà condizionare parte degli eletti. Questo vuol dire che, seppure ad oggi il voto di scambio si fosse ridotto, il suo potenziale di condizionamento, sia che si tratti di voto di lista che di preferenze, è destinato ad aumentare con il crescere dell'astensione al voto.

Mi auguro che di tutto questo vorrà tenerne conto chi ragiona di riforma della legge elettorale e di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.

Massimo Gargiulo

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elezioniastensionismo
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