Bif&st, Sorrentino e la regia
Il rifugio del dilettante concentrato
Bari - "La regia è il rifugio del dilettante concentrato”. Paolo Sorrentino, ospite del Bif&st 2014, ha così provato a spiegare ad un Teatro Petruzzelli da tutto esaurito la sua visione del Cinema e del mondo. Un pensiero che rispecchia un po’ quella stessa ironia del discorso di ringraziamento pronunciato durante la cerimonia degli Oscar, dopo aver ricevuto il premio come miglior film straniero (''Thank you to my sources of inspiration: Federico Fellini, Talking Heads, Martin Scorsese and Diego Armando Maradona'').
Uno spirito, quello del regista, sempre in bilico tra lieve cinismo, blanda speranza, grande capacità di comunicazione pop e poca voglia di prendersi sul serio: “Sono tanti gli elementi di distrazione che possono farti perdere di vista l'obiettivo, anche quando ti sei preparato in maniera meticolosa. Conosco diversi colleghi che finiscono per inibirsi e trovarsi a disagio, di fronte alla paura di fare qualcosa di già visto e perdono per strada una cosa preziosissima come la spontaneità dell'approccio”. “Come si diventa regista, quali sono le scelte da compiere?”, si chiedono molti giovani presenti in platea. Quelle non sempre giuste ed ovvie, stando almeno a quanto raccontato da Sorrentino. Spesso è necessario affidarsi a degli sbagli: “I ruoli di assistente alla regia erano già stati assegnati e pur di entrare nel meccanismo di produzione del film accettai un ruolo assolutamente non adatto alle mie capacità. Ero fondamentalmente privo dell'organizzazione mentale necessaria per il compito assegnatomi, l'esperienza si rivelò un totale fallimento”.
Il Cinema, secondo il regista, trova radici e continuo rinnovamento nella Fantasia: “Quando scrivi hai la libertà di raccontare quello che vuoi, mondi fantastici e storie strane. Serve però un’idea forte o il contatto con lo spettatore non ci sarà”. “Le idee – ha proseguito Sorrentino - non hanno bisogno di soldi e di mezzi. Problemi certamente importanti ma non determinante ai fini della riuscita o meno di un film". Idee, quelle del regista, che si muovono costantemente tra grottesco, fantastico e borderline.

I personaggi e le storie di Sorrentino sono state spesso criticate per vacuità manierista e compiaciuta ed è impossibile negare l’autore non abbia fatto di questa critica un punto di forza: la sua è una regia visiva, a tratti autoreferenziale, ma non per questo meno forte. Tocca il ventre del Paese cannibalizzandolo sì, ma invitandolo alla riflessione. Gli uomini e le donne di Sorrentino sono personaggi sgradevolmente al limite e reali, l’immedesimazione è vissuta dallo spettatore quasi come violenta. Il ritratto della realtà da respingente diviene quindi umano, ecce homo, e miserabile. Da compatire (dal latino: [cum] insieme [patior] soffro). “Ne 'La grande bellezza' – ha confessato Sorrentino - volevo raccontare tutto, proprio tutto quel che c’è, stabilire un tetto e non arrivarci mai. Questo è stato il tentativo malsano del film. Le uniche critiche negative che condivido sono quelle che ne motivano la superficialità. Che però va bene, perché Jep è un superficiale che vive galleggiando e teme la profondità".
“La cosa più bella di questo lavoro – ha concluso il regista, prima di salutare il pubblico - è il lavoro, e visto che sono un nostalgico tendente al pessimista è meglio che mi rimetta subito in moto per il mio nuovo film, se guardo avanti vedo la vecchiaia e la morte e quindi finché si è giovani è meglio darsi da fare". Sorrentino è stato infine premiato da Felice Laudadio con il premio “Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence”, “per il suo estro nel realizzare un cinema originale, intimo e personale, ma capace di coinvolgere il pubblico italiano e di tutto il mondo attraverso la sua potenza narrativa e la sua (grande) bellezza”.