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Canne della Battaglia, Volpe: 'Dal disastro a nuove soluzioni per i BC'

di Giuliano Volpe *

In questi giorni sta facendo scalpore la notizia della chiusura del sito archeologico di Canne della Battaglia nel giorno di Ferragosto (diversamente da quanto è successo nei musei e nelle aree archeologiche di tutta Italia che hanno vista nuovamente ingressi da record, a dimostrazione che la cura per la riorganizzazione dei musei sta dando risultati positivi, tanto che anche La Repubblica, giornale diventato megafono di chi urla all’emergenza cultura, proprio a Ferragosto pubblicava una tabella con gli incrementi a due cifre di molti musei nel primo quadrimestre 2016 rispetto all’anno passato). I problemi in questa fase di passaggio sono, però, ancora molti. I Poli Museali Regionali, da poco istituiti, stentano ancora a svolgere appieno il loro prezioso ruolo, il personale è scarso, e spesso i rapporti con le ‘sorelle’ soprintendenze sono problematici.  

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La notizia di Canne, oltre ad essere triste, è paradossale, effettivamente: il sito chiude mentre al Castello di Barletta è allestita una mostra su Annibale che sta riscuotendo un buon successo.

Non posso entrare nel merito delle questioni tecniche relative all’organizzazione del personale, perché è evidente che c’è un problema grave di carenza di personale (appare comunque strano che su tre custodi due siano in ferie proprio nel momento di massima affluenza nel sito, dimenticando forse che i Beni Culturali (BC) sono stati recentemente, e finalmente, dichiarati ‘servizi pubblici essenziali’; l’errore nelle gestione del personale sarebbe stata ugualmente grave se i custodi fossero stati trenta e se fossero state autorizzare ferie per venti di essi!). In ogni caso tre unità di personale per un sito come Canne, con antiquarium e vasta area archeologica, sono pochissime, del tutto inadeguate alle necessità.

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Vorrei, invece, toccare, sia pur rapidamente il tema delle possibili soluzioni (per Canne e non solo).

Quella più facile, che immagino sarà avanzata dai soliti contestatori di professione è: assumere un maggior numero di custodi. Con più personale, i problemi sarebbero risolti: siti e musei aperti sempre, turni meno stressanti, rotazioni più facili, meno straordinari, ecc.

Voglio essere, come sempre, chiaro: penso che sarebbe una pessima soluzione! Uno dei problemi del MiBACT è quello di essere diventato con il tempo un ministero con un esercito di custodi (quasi la metà del personale, che ammonta – dati 2014 – a 18.875, di cui 7.761 custodi, 976 ausiliari, ben più del personale tecnico-scientifico, 6.026 e di quello amministrativo 3.927). Lascio perdere le vicende di clientelismo, che hanno portato ad assunzioni di massa in alcune regioni, a seconda del ministro di turno, con esiti paradossali.

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L’originaria ambizione del ministero fondato da Giovanni Spadolini quarant’anni fa era quella di essere un ministero ‘anomalo’, fortemente tecnico-scientifico. Così non è stato e sarebbe un errore non (ri)portarlo alla sua auspicata specificità. Ma soprattutto, la domanda è: possiamo oggi continuare a riproporre la figura tradizionale del custode di un museo o di un’area archeologica: silente, solitario, isolato e muto (e spesso, con le dovute eccezioni – ci sono tanti custodi bravissimi, gentilissimi, disponibilissimi - impegnato in rumorose chiacchiere, o nella lettura del giornale, o nello smanettamento del cellulare), oggi del tutto inattuale?

È evidente che servano oggi figure professionali completamente diverse: il personale nelle sale di un museo o in un’area archeologica svolge una funzione preziosa, importante, perché rappresenta il primo e spesso unico contatto tra il visitatore e il monumento o il sito visitato. Dovrebbe essere quindi una di quelle figure cui dedicare la maggiore attenzione, in quanto interfaccia tra i visitatori e la struttura museale. Dovrebbe essere, cioè, in grado di dare informazioni adeguate, di parlare un'altra lingua, di possedere soprattutto ottime qualità relazionali. Mi chiedo perché se si visita un museo privato, come quello della Fondazione Prada a Milano, si incontrano giovani molto preparati, in eleganti divise (si dirà, ovvio, è Prada!), pronti a fornire informazioni, mentre quasi mai nei musei statali, o, in generale, in quelli pubblici, si riscontrano condizioni analoghe? Quei giovani sono nostri studenti universitari che svolgono un periodo di lavoro, ovviamente da retribuire in maniera adeguata.

Vorrei essere chiaro: non sto parlando di volontariato (che è una risorsa preziosa, ma che non deve mai essere sostitutiva del lavoro, bensì integrativa), né si può e si deve risolvere tutto solo con stage e tirocini. Potrebbe trattarsi di una forma di lavoro svolto nel corso della formazione universitaria, un’esperienza preziosa anche per il futuro, prescindendo dalla professione che ognuno svolgerà in maniera più stabile: si imparerebbe ad avere rapporti col pubblico, a dare delle informazioni, a parlare ai bambini o agli anziani, a capire meglio il punto di vista, le esigenze e le sensibilità dei fruitori di un luogo della cultura. Sarebbe un'esperienza da svolgere durante il periodo degli studi anche per mantenersi agli studi, per poi passare a fare altro, quindi garantendo un ricambio continuo.

Canne della battaglia Bray
 

Ecco, quindi, una prima soluzione: un accordo quadro tra MiBACT e MIUR per forme di collaborazione nei servizi ai musei, con precise garanzie, sia per gli studenti delle scuole medie superiori (progetti di alternanza scuola-lavoro), sia, soprattutto, per gli studenti universitari dei corsi di beni culturali e affini.

Potrebbe (o dovrebbe) essere questo uno degli aspetti caratterizzanti di un nuovo rapporto tra MiBACT e MIUR (che solo quarant’anni fa erano un solo ministero, non dimentichiamolo). Un aspetto, cioè, di quel progetto di cui spesso ha parlato il ministro Dario Franceschini: la costituzione di unità operative miste, a scala territoriale, tra Soprintendenze, Università e CNR, cioè i cd. ‘policlinici dei beni culturali e del paesaggio’, per certi versi simili, in campo sanitario, alle Aziende Ospedaliere Universitarie.

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Sarebbe questo l’esito maturo del progetto riformatore in atto: spero che presto si possa compiere anche questo ultimo miglio delle riforme. Ne abbiamo parlato in varie occasioni, e per primo Andrea Carandini aveva lanciato questa idea tanti anni fa. Una collaborazione tra docenti, ricercatori, tecnici, funzionari, la condivisione di laboratori, biblioteche, strumentazioni, l’integrazione di competenze e di professionalità potrebbero, infatti, garantire risultati positivi nella ricerca, nella tutela, nella comunicazione, nella valorizzazione, a tutto vantaggio in particolare degli studenti, cioè i futuri funzionari delle Soprintendenze o liberi professionisti, che svolgerebbero tirocini non episodici collaborando concretamente alle attività delle istituzioni.

Studenti, specializzandi, dottorandi, con varie forme di coinvolgimento a seconda del grado raggiunto negli studi, potrebbero alternare le lezioni in aula, lo studio in biblioteca al lavoro in laboratori per la diagnostica, la classificazione, il restauro, effettuare stage in un museo, in una biblioteca, in un archivio a diretto contatto con il pubblico, affrontare le difficoltà di sopralluoghi nel territorio, del controllo di cantieri, di restauri o di attività edilizie. I funzionari di una soprintendenza potrebbero tenere corsi e seminari nelle aule universitarie, condurre ricerche sistematiche pluriennali con i colleghi universitari, mettere in comune banche dati e prodotti digitali, elaborare insieme progetti internazionali, e, a loro volta, i docenti e i ricercatori farsi carico di un supporto nel controllo del territorio, nelle attività di schedatura, negli allestimenti museali, nella gestione, nella comunicazione.

E il personale strutturato nelle attività di vigilanza e accoglienza del MiBACT che fine farebbe? Ebbene, non penso affatto che vada del tutto eliminato, ma dovrebbe invece svolgere un lavoro diverso e ancor più importante: coordinare il servizio di accoglienza, vigilare, monitorare. E, poi, quanto sarebbe utile avere squadre di manutentori, impegnati quotidianamente nella manutenzione programmata, piccole riparazioni, prevenzione!

Ma non basta. Il punto debole dei beni culturali nel nostro paese riguarda la gestione. Ancora oggi si investono cifre significative in restauri, recuperi, allestimenti museali, ma non si attribuisce quasi nessuna attenzione alla gestione. Cosa succede il giorno dopo l’inaugurazione? Un esempio lampante è dato, sempre in Puglia, dal sito archeologico di Santa Maria di Siponto. Qui è stata installata una bella, efficace, affascinante, struttura metallica che suggerisce le forme della chiesa paleocristiana, opera di un giovane artista, Edoardo Tressoldi. Un intervento coraggioso, innovativo, per il quale va espresso vivo apprezzamento alla Soprintendenza e al Segretariato regionale.

Ma cosa è successo dopo l’inaugurazione? Il sito è visitato da migliaia di persone (quante? Si dice molte migliaia. Ma non si sa, e non si può saperlo, visto che non c’è alcun sistema nemmeno per contarle): ingresso gratuito, libero, garantito prima dal personale dell’impresa che ha realizzato i lavori e ora da volontari. Un’occasione persa! Ho visto tante persone (ci sono stato più volte, con vari amici e colleghi), aggirarsi, apprezzare l’opera, ma non ricevere alcun supporto: pochi leggono i pannelli, nessuno spiega, non ci sono supporti didattici moderni di nessun tipo, anche banali, come le audioguide. La gente ammira, esprime giudizi estetici (che bello!), capisce poco.

E allora? Sono sempre più convinto che sia necessario studiare nuove formule di gestione, con il coinvolgimento di associazioni, fondazioni, piccole società, singoli professionisti, in modo da garantire sia servizi di qualità per i visitatori sia opportunità di lavoro qualificato per il personale impiegato. Abbiamo tanti bravi professionisti dei beni culturali: si creino allora condizioni di lavoro vero, di economia sana, pulita, di sviluppo locale. Sono possibili soluzioni diverse a seconda dei casi.

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Non esiste un'unica formula. E in Italia esistono già varie esperienze positive in questo campo. Ovviamente va garantito un coordinamento a scala territoriale tra le varie realtà, in modo da predisporre card uniche, orari coordinati, itinerari, pacchetti turistici, una promozione unica. Con standard di qualità certificati, professionalità vere, servizi adeguati. Questo dovrebbe essere il compito del Polo museale regionale, della Regione e degli Enti Locali. Altrimenti il rischio, ancor più grave, è che ognuno si faccia la ‘gestione’ in casa, con l’associazione di volontariato, la cooperativa fatta dagli amici, la società del figlio dell’assessore di turno.

Si cominci a sperimentare a Canne della Battaglia. Sperando in una strategia condivisa, che eviti il ripetersi del disastro del 2 agosto del 216 a.C.!

* Archeologo e già Rettore dell'Università degliStudi di Foggia. Attualmente è Presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici del MiBACT.

Il Blog del prof. Giuliano Volpe su: www.giulianovolpe.it

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Pubblicato sul tema: Barletta e Canne della Battaglia Annibale: un viaggio, la Storia

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