Cimiteri: scrigni di memoria e
cura famigliare degli affetti
Sensazioni lungo i viali affollati e silenziosi di un cimitero, dove oggi si respira aria di festa.
di Mina De Santis
Cammino lungo i viali affollati del cimitero, addobbato come alla vigilia di un grande evento. Tutt'intorno è un brulicare silenzioso e discreto di gente indaffarata: chi spolvera, chi sistema fiori, chi accende un lumino, chi prega… È un cimitero, ma l'aria che si respira sa di festa. E questo mi piace.
Non così in passato. Quando ero ancora molto giovane. Quando non avevo ancora sperimentato sulla mia pelle il significato del ‘per sempre’ riferito alla perdita delle persone care. Ora, che di quello strappo lancinante porto i segni, penso che un marmo pregiato, i fiori, le luci, certo non potranno rendere meno dolorosa l'idea della morte, ma più accettabile, meno temibile ed oscura, sì.

Quell’affaccendarsi intorno a una sepoltura mi dà la sensazione di un continuare a prendersi cura di chi ci ha lasciato, di poter fare ancora qualcosa per loro, di tenere in vita un legame che nemmeno la morte può recidere.
E mi è dolce pensare che sarà così anche per noi. Sarà il segno che non siamo stati dimenticati...e non si muore mai del tutto finché si continua a vivere nel ricordo di qualcuno. Cammino e penso che dal culto dei defunti ha avuto origine la civiltà umana.
Dal desiderio di onorare i morti sono nate le arti. Da lì la pittura, la musica, la poesia. E mentre aiuto una vecchietta a sistemare dei ceri su una mensola troppo alta per il suo corpo curvato dagli anni, mi commuovo all'idea che quel gesto si ripete da milioni di anni, che siamo parte di una storia che affonda le sue radici nella stessa natura dell'essere umano: eredi di una sapienza antica che si rifiuta di pensare la morte come
fine della vita.

Vi è stato un tempo in cui i defunti venivano seppelliti extra moenia, fuori dall’abitato, in un luogo chiamato necropoli, la città dei morti, perché ombre vaganti in un oltre da cui, si riteneva, non sarebbero mai più tornati: perduti ormai per sempre.
Noi invece quel luogo lo abbiamo accolto entro le mura della città e gli abbiamo dato il nome di cimitero, dormitorio, perché per noi cristiani la morte è stata vinta e non avrà l'ultima parola. Si risveglieranno i nostri cari, ora riposano in pace, ma risorgeranno e noi li ritroveremo.
Nel visitarli in questi giorni, dovremo fare perciò piano, camminare in punta di piedi, come si fa intorno ad una culla dove un bimbo dorme, bisbigliando dolcemente, perché il suono familiare della nostra voce li raggiunga senza svegliarli, perché abbiano la certezza che ci siamo e non si sentano soli.
La nostra preghiera dovrà essere per loro come una nenia che scacci i fantasmi della paura e li rassicuri nel buio della notte. Perché sentano che non ci hanno perduti, che quando si risveglieranno noi saremo ancora là, accanto a loro, per riabbracciarli. Quando anche noi saremo cielo.