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Forum 'Economia e povertà' Il Manifesto di Bari

Varato il “Manifesto di Bari” nel quadro prospettico di un “new deal” per l’Africa, al Forum “Economia e povertà: politiche pubbliche per lo sviluppo sostenibile e la salute globale”.

foto Emiliano al Forum internazionale
 

"Il Manifesto di Bari potrà essere migliorato e implementato da chi lo sottoscriverà successivamente”, ha segnalato Giammarco Surico che ha coordinato i lavori.

"Un appuntamento multidisciplinare, che ha visto confrontarsi studiosi di varie estrazioni con la cittadinanza attiva e la Regione Puglia, che lo ha organizzato - ha sottolineato il presidente Michele Emiliano - con risorse proprie e senza affidarsi a nessuno sponsor. Cosa che di certo avrebbe limitato la libertà del dibattito”.

 

MANIFESTO DI BARI PER UN’ECONOMIA AL SERVIZIO DELLA PROMOZIONE UMANA - HUMAN PROMOTING ECONOMY

Davanti allo scenario di crisi economica ed istituzionale che si presenta ai cittadini italiani, bisogna alimentare la speranza fondata sulla consapevolezza dell’enorme patrimonio di idee e di energie ancora vive nel cuore della nostra Italia, per secoli riferimento culturale in Europa e nel mondo. Siamo convinti che questa grande ricchezza di valori e potenzialità tipicamente italiane deve solo trovare le vie giuste per poter emergere ed esprimersi compiutamente a beneficio del Paese intero e dell’Europa. Il nostro obiettivo è quello di dare vita a un grande patto federativo tra persone, movimenti ed associazioni, le più dinamiche e rappresentative delle istanze di un indifferibile RINNOVAMENTO della società italiana fondato su di un’ampia PARTECIPAZIONE sociale dei cittadini a tutti i percorsi decisionali che influenzano la nostra vita – con particolare riferimento alle tematiche dell’ECONOMIA, della SALUTE e dell’AMBIENTE. Un nuovo patto tra generazioni che miri a riprogettare nell’ottica della SOSTENIBILITA’ il nostro presente e il nostro avvenire avendo come unico fine il BENE COMUNE. Vogliamo sostenere una società costruita come realtà partecipativa e fondata sull’interrelazione fra le persone e sul reciproco gratuito interscambio di valori e beni immateriali, dove ciascuno contribuisca a fare in modo che “la Repubblica rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (articolo 3 della Costituzione Italiana).Siamo tutti chiamati a contribuire a uno sviluppo economico che PROMUOVA la dignità e LA PERSONA, tutelando in prima persona l’ambiente in cui viviamo e quindi la nostra salute (Articolo 41 della Costituzione). Il Benessere sociale, la salute e la tutela dell’ambiente non hanno colore politico e per questo siamo convinti che sia possibile una vasta convergenza che prescinda dai vissuti e dai percorsi personali. Solo tutti insieme è possibile RINNOVARE LA SOCIETA’ RIPARTENDO DAI CITTADINI e puntare su uno SVILUPPO SOSTENIBILE e rispettoso della PERSONA  come occasione di RINASCITA economico-culturale dell’Italia e dell’Europa. TRE PUNTI, alla realizzazione dei quali intendiamo contribuire innanzitutto come cittadini, sono a nostro avviso fondamentali per questo percorso:

1. Creare innovazione in campo economico, sociale e ambientale nel quadro di un nuovo modello di Società Sostenibile

In un contesto italiano ed Europeo in cui i tumori sono oggi una vera epidemia, anche in età pediatrica (prima causa di morte per malattia tra i bambini in Italia) e nel momento in cui le patologie cardiovascolari (prima causa di morte in assoluto nel mondo) si sono dimostrate anch’esse correlate ad esposizioni ambientali, crediamo che L’INNOVAZIONE SOSTENIBILE sia l’unico modo per superare l’attuale crisi economica e sociale che sta investendo il Paese. La sostenibilità, nelle sue dimensioni inscindibili – quella economica (legata all’impresa e al lavoro) e quella sociale (in cui rientrano la tutela dell’ambiente, la promozione della salute e della dignità della persona) – è la grande sfida del XXI secolo, un tempo in cui tutti i Paesi del mondo devono confrontarsi con esigenze di crescita e al contempo con la finitezza delle risorse finanziarie e naturali.

L’innovazione deve quindi trovare i modi più opportuni per esprimersi in stili di vita accettabili sotto il profilo sociale e AMBIENTALE, per giungere a nuovi assetti di SVILUPPO SOSTENIBILE in grado di generare valore economico grazie alle opportunità offerta da una vera Green economy:

-          fermare il CONSUMO DI TERRITORIO per difendere l’ambiente e aumentare i nostri livelli di salute e di qualità di vita (che non sono misurabili in termini di PIL ma sono elementi fondamentali connaturati all’esistenza umana come la felicità, il benessere, le relazioni sociali).

-          puntare all’autosufficienza energetica da fonti rinnovabili che non sventrino il territorio;

-          puntare su un’agricoltura BIOLOGICA, senza PESTICIDI E OGM, che faccia dell’Italia “il giardino Agroecologico” d’Europa;

-          puntare  sulle buone pratiche europee per la gestione dei rifiuti (riduzione, riutilizzo, riciclo, recupero dei rifiuti);

-          puntare sulla tutela e rigenerazione delle risorse a livello locale (che significa anche autoproduzione di energia e autogestione dei rifiuti organici da parte dei singoli);

-          immaginare nuove forme di protezione e di accesso ai BENI COMUNI (al servizio di tutti), in modo da favorire una più equa distribuzione delle risorse e il gratuito reciproco sostegno tra persone all’interno di comunità locali più autentiche e solidali;

-          concretizzare percorsi in cui l’economia e le imprese diano il proprio contributo alla realizzazione della dignità della persona umana e dei popoli promuovendo il principio di “fraternità” (che supera sia la filantropia che la solidarietà intesa come “dovere” e “assistenza”) e il paradigma del “dono” (l’attenzione e la sollecitudine verso gli altri sintetizzato dall’inglese “I CARE” ). Si tratta di restituire valenza fondamentale a quella dimensione di relazioni NON MONETIZZABILI e di VALORI frutto del reciproco scambio gratuito tra persone (empatia, generosità, simpatia, accompagnamento, vitalità).  Solo una società fondata su relazioni sociali ispirate alla “fraternità” potrà valorizzare pienamente  anche i principi di libertà e uguaglianza, realizzando quella vera integrazione sociale che mette al riparo dalle conseguenze anche brutali dell’insoddisfazione sociale. Ciò implica l’adozione di scelte di consumo e di risparmio che favoriscano le imprese “eticamente” orientate e che investano parte dei propri profitti nel raggiungimento del “bene comune” affermando il principio economico rivoluzionario che l’impresa e il suo profitto hanno una natura e una vocazione sociale (ogni impresa dev’essere “impresa sociale”).

-                      Progettare nuovi sistemi per proteggere e valorizzare l’immenso patrimonio artistico e  paesaggistico del nostro Paese, un patrimonio unico al mondo, che non può cadere sotto i colpi di scure delle deroghe ai vincoli paesaggistici e idrogeologici posti dallo stesso legislatore! Viviamo in una terra che potrebbe sostenersi quasi esclusivamente col turismo culturale, attraendo visitatori da ogni parte del mondo e in qualsiasi momento dell’anno, grazie alla mitezza del nostro clima, a cui si aggiungono altre tipicità mediterranee – come la tradizione enogastronomica e la nostra capacità di accoglienza – che non sono valorizzate come dovrebbero. Sviluppo sostenibile significa anche avere una visione strategica che punti su questo immenso patrimonio di cultura che crea impresa sociale.

-          Promuovere una Progettazione e gestione di città e territori sostenibili al fine di rendere le città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili (in linea con l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 11 dell’Agenda 2030). A tal fine è necessario che le strategie di panificazione dovranno essere costruite per soddisfare le esigenze di tipo economico, sociale e ambientale espresse dagli stakeholder della città. Inoltre esse dovranno essere impostate e valutate su indicatori non più basati su un solo elemento economico quantitativo (quale il PIL), ma su altri indicatori quali quelli del BES (Benessere equo e sostenibile), che consentano una valutazione  pluridimensionale sia ex-ante dell’impatto delle strategie e delle politiche, sia una valutazione ex-post dei risultati delle stesse.

 

2. Promuovere una cultura della sostenibilità

L’eccessiva frammentarietà della cultura occidentale si traduce in una forma di ignoranza che limita la lettura delle relazioni tra gli uomini e tra questi e il creato. Questa forma di povertà culturale può essere recuperata solo attraverso il dialogo tra le diverse scienze e i differenti saperi e attraverso la promozione della multidisciplinarietà quale esperienza di accoglienza e reciprocità.

È necessario sostenere il mondo della scuola a trovare percorsi d’innovazione per la trasmissione delle otto competenze fissate dall’Unione Europea, attraverso una didattica che ponga fine a prassi di trasmissione del sapere consolidate ma ormai antiquate e sia invece attenta alle domande di conoscenza che emergono dagli stessi giovani, anche utilizzando innovazioni esperienziali in grado di vivificare la conoscenza.

La promozione della cultura, intesa come sviluppo di nuove competenze, diffusione delle conoscenze e delle buone pratiche (che da esperienze pilota-locali diventano best practices internazionali) rappresenta l’unica strada per riuscire a coniugare tutte le dimensioni della sostenibilità, favorendo un percorso di sviluppo economico coniugato con la tutela dell’ambiente di vita e di lavoro, della salute e della dignità dell’uomo. È necessario promuovere la cultura della sostenibilità tra i cittadini, in tutti gli strati sociali, a qualunque categoria essi appartengano, con un approccio interdisciplinare, a partire da riflessioni e azioni sui temi forti dell’ambiente e della salute. Tutto ciò, in un’Italia che è nel pieno di una crisi ambientale gravida di conseguenze sanitarie (con un impatto economico tutt’altro che irrilevante), frutto a sua volta di percorsi culturali ed etici dimostratisi improponibili e insostenibili anche dal punto di vista finanziario.

Quel che entra in crisi è dunque lo stesso modello di sviluppo finora proposto come l’unico possibile e che invece diviene oggetto di una seria rivalutazione proprio quanto a sostenibilità attuale e futura. Il concetto di sostenibilità nel suo significato più globale tiene conto della dimensione ambientale, economica e sociale in un rapporto sinergico e sistemico. In definitiva, la sostenibilità implica un benessere (ambientale, sociale, economico) costante e preferibilmente crescente. Le tre dimensioni, combinate tra loro in diversa misura, possono essere impiegate per giungere a una definizione estesa di progresso e di benessere complessivo. A tal fine l’obiettivo strategico proposto dai cittadini è quello di attivare adeguate politiche di sviluppo sostenibile, basate su innovazione e conoscenza, che concorrano ad aumentare i livelli di crescita sociale ed economica. Fattore determinante è dunque l'investimento culturale e formativo, anche con la finalità di arginare l’esodo che sottrae un immenso capitale umano al nostro Paese e svuota intere regioni.

Per far questo:

-          è necessario strutturare dei LEGAMI STABILI tra la Scuola, l’Università, i diversi settori della Ricerca (da quella industriale e tecnologica a quella umanistica, agro-alimentare e biomedica) e l’universo delle imprese, a partire da quelle piccole-medie aziende che formano la spina dorsale del tessuto economico del nostro Paese;

-          mettere insieme formazione, ricerca e imprese, passaggio indispensabile per l’emergere di idee e prodotti innovativi. Bisogna quindi creare le condizioni affinché gli enti preposti alla formazione, i ricercatori e gli imprenditori possano remare tutti nella stessa direzione: quella dello SVILUPPO e del bene comune. È questa la via per uscire dalla crisi, ma tale percorso passa attraverso l’urgenza del rinnovamento istituzionale (che veda i cittadini al centro) ma anche dell’innovazione della produzione e della ricerca in ogni campo del sapere

-          è necessario ripensare l’impresa e intenderla come un soggetto complesso che vive sulla base di ‘molteplici relazioni’ che vanno re-improntate e fissate sulla “comunione” e sul un continuo dialogo: alcune relazioni sono funzionali, proprie del suo ambiente interno (lavoratori dipendenti e indipendenti), mentre altre sono legate al suo ambiente esterno (clienti, fornitori, istituzioni pubbliche, sindacati, concorrenti); altre infine sono più complesse legate a dinamiche territoriali e alla cura dell’ambiente.

-          è indispensabile strutturare dei percorsi virtuosi (uscendo dall’occasionalità delle sperimentazioni) in cui i giovani s’inseriscano fin al momento dell’ingresso nel sistema scolastico, per proiettarsi immediatamente nel mondo del lavoro, pronti a trasferirvi conoscenze e apportare novità in grado di conferire vantaggi competitivi alle nostre aziende. È questo l’unico modo per arginare la “fuga di cervelli” che si traduce in una perdita di un miliardo di euro l’anno solo per brevetti prodotti all’estero dai nostri innovatori.

-          Introdurre e adottare il BENES o BES (Benessere equo e sostenibile) come criterio MULTIDIMENSIONALE di riferimento per stimare e migliorare la qualità della vita al posto del PIL.

Ciò che è più inquietante oggi è l’esclusione e la marginalizzazione dei più da una partecipazione equa nella distribuzione su scala nazionale e planetaria dei beni. A tale riguardo quello che fa soffrire di più le persone e porta alla ribellione dei cittadini è il contrasto fra l’attribuzione teorica di eguali diritti per tutti e la distribuzione diseguale e iniqua dei beni fondamentali per la maggior parte delle persone. Occorre anche chiedersi se il processo produttivo si svolge o meno nel rispetto della dignità del lavoro umano; se accoglie o meno i diritti umani fondamentali. Una società partecipativa non può accontentarsi dell’orizzonte della pura solidarietà e dell’assistenzialismo, perché una società che fosse solo solidale e assistenziale, e non anche fraterna, sarebbe una società di persone infelici e disperate dalla quale ognuno cercherebbe di fuggire, in casi estremi anche con il suicidio. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve la vera fraternità; non è cioè capace di progredire quella società in cui esiste solamente il “dare per avere” oppure il “dare per dovere”. Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione stato-centrica della società, in cui tutto (o quasi) è doverosità, sono guide sicure per farci superare quella diseguaglianza, inequità ed esclusione in cui le nostre società sono oggi impantanate. Si tratta di cercare una via d’uscita dalla soffocante alternativa tra la tesi neoliberista e quella tesi neostatalista. Infatti, proprio perché l’attività dei mercati e la manipolazione della natura – entrambe mosse dall’egoismo, dall’avidità, dal materialismo e dalla concorrenza sleale – alle volte non conoscono limiti, è urgente intervenire sulle cause di tali malfunzionamenti, soprattutto in ambito finanziario, piuttosto che limitarsi a correggerne gli effetti.

Fondamentale è promuovere uno sviluppo umano integrale. Battersi per lo sviluppo integrale vuol dire impegnarsi per l’allargamento dello spazio di dignità e di libertà delle persone: libertà intesa, però, non solo in senso negativo come assenza di impedimenti, e neppure solo in senso positivo come possibilità di scelta. Bisogna aggiungervi la libertà “per”, cioè la libertà di perseguire la propria vocazione di bene sia personale sia sociale. L’idea-chiave è che la libertà va di pari passo con la responsabilità di proteggere il bene comune e promuovere la dignità, la libertà e il benessere degli altri, tanto da raggiungere i poveri, gli esclusi e le generazioni future. È questa prospettiva che, nelle condizioni storiche attuali, se permette di superare sterili diatribe a livello culturale e dannose contrapposizioni a livello politico, permetterebbe di trovare il consenso necessario per nuove progettualità. È all’interno di questo contesto che si pone la questione del lavoro. I limiti dell’attuale cultura del lavoro sono ormai divenuti evidenti ai più, anche se non c’è convergenza di vedute sulla via da percorrere per giungere al loro superamento. Il lavoro, prima ancora che un diritto, è una capacità e un bisogno insopprimibile della persona e un bisogno fondamentale, il diritto di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (Articolo 4 della Costituzione).Ma la persona ha la priorità nei confronti del suo agire e quindi del suo lavoro. Quando il lavoro non è più espressivo della persona, perché essa non comprende più il senso di ciò che sta facendo, il lavoro diventa schiavitù senza giustizia del lavoro. Il lavoro giusto è quello che non solamente assicura una remunerazione equa, ma corrisponde alle inclinazioni della persona e perciò è in grado di dare sviluppo alle sue capacità perché è anche il luogo in cui si formano (o si trasformano) il carattere e la virtù del lavoratore.

 

3. Favorire in ogni modo la partecipazione attiva dei cittadini ai processi decisionali

In un momento di crisi della democrazia rappresentativa, percepita come incapace di fornire risposte adeguate e tempestive alle esigenze della gente (e ciò è particolarmente sentito nel campo della SALUTE e della tutela dell’AMBIENTE), è indispensabile promuovere un’ampia partecipazione alla vita democratica attraverso il COINVOLGIMENTO DIRETTO DEI CITTADINI in tutte le decisioni prese a livello Comunale, Provinciale, Regionale e Nazionale, ma anche Europeo. Il peso dei cittadini nelle decisioni che contano è troppo modesto, quando non praticamente nullo e anche il Web rischia di diventare strumento di manipolazione e di esclusione sociale! La delega pura e semplice ai rappresentanti eletti è insostenibile anche dal punto di vista giuridico, giacché l’articolo 118 della nostra Costituzione dice chiaramente che la Repubblica in tutte le sue articolazioni centrali e periferiche deve “favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Anche il diritto Europeo si muove sempre più in questa direzione. Insomma, la CITTADINANZA ATTIVA è nel CUORE ed è probabilmente il cuore pulsante della nostra Carta costituzionale e dell’ideale dei fondatori dell’Europa. Ci piace immaginare un’Italia terra d’Europa in cui i cittadini, da soli o riuniti in associazioni, mossi solo dalla comune volontà di ricercare il bene comune nell’interesse di tutti, possano davvero essere in grado di far sentire il loro peso su ogni decisione importante, rendendo ineludibile prescindere dalla pressione dell’opinione pubblica sulle questioni più vitali, ed esercitando un “controllo popolare” diretto sull’operato dei loro rappresentanti a partire dal livello locale e regionale attraverso TUTTI gli strumenti democratici già esistenti: le CONSULTE tematiche, gli STATUTI comunali e regionali, i percorsi di condivisione tracciati dalle leggi regionali sulla partecipazione civica e i cittadini volontari che diventano OSSERVATORI CIVICI. Ci piace immaginare UNA REPUBBLICA DEI CITTADINI, in cui non sia possibile prescindere dal coinvolgimento della popolazione in ogni decisione, specialmente in materia di TUTELA DELLA SALUTE e dell’AMBIENTE, con un riferimento costante e imprescindibile al PRINCIPIO DI PRECAUZIONE sancito dal Trattato di Maastricht e dall’articolo 191 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea. Questo il nostro obiettivo: RINNOVARE LA SOCIETÁ RIPARTENDO DALLA CITTADINANZA ATTIVA, che per noi rappresenta l’unico modo di essere cittadini italiani ed europei. Sappiamo che si tratta di un’impresa difficile, ma siamo convinti di non potervi rinunciare. La posta in gioco è troppo importante: la nostra terra, il nostro Paese, le nostre famiglie, la nostra vita e quella dei nostri figli… i figli dell’Italia, i figli dell’Europa.

 PROMULGATO A BARI IL 12 MAGGIO 2017 DAL FORUM INTERNAZIONALE “ECONOMIA E POVERTA’: POLITICHE PUBBLICHE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE E LA SALUTE GLOBALE”

 

 

 

 

 

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