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'I segerti e gli amori di Villa Maria' di Nunzio Smacchia
Il recente romanzo di Nunzio Smacchia "I segreti e gli amori di Villa Maria" - Progedit Editore.
Lungo la stradina erano distribuiti ai lati due filari di ontani frammisti ad acacie e platani diventati talmente alti che riuscivano a fare una bell’ombra lungo tutto il percorso, alla fine del quale c’era un grande cancello con una scritta a caratteri cubitali: VILLA MARIA.
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Villa era fissata sull’anta sinistra e Maria su quella destra. "Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre", così rispondeva Novalis a chi gli chiedeva il senso della sua arte. Al netto della pruderie che ormai ci coglie di fronte al gioco stanco delle citazioni, è questa una frase che ben racchiude il senso della creazione artistica e, più profondamente ancora, del vivere.
Una casa, appunto, metaforica e fisica insieme, è il centro di irradiazione eponimo di questo romanzo: non solo gli dà il titolo, Villa Maria, ma fa da cassa di risonanza al tono che innerva l’intera narrazione, un procedere sull’accordo universale e per questo inesauribile della nostalgia.
Da Giorgio Montefoschi a Pierluigi Battista, passando per Letizia Muratori e tanti altri, sono molti i romanzi, anche tra i più recenti, che da e attraverso una casa propongono e filtrano lo sguardo dei propri autori. Ma la Villa Maria di Nunzio Smacchia, pur costituendo lo scenario oggettivo della sola infanzia e adolescenza del protagonista Giovanni e di sua sorella Laura, resta sfondo virtuale e onnipresente di tutta la vicenda esistenziale di un bambino, poi ragazzo, poi giovane uomo e poi maturo, che alle proprie radici tornerà sempre, mentre la Storia del paese e del mondo intero scorre a volte placida e a tratti impetuosa fuori da quelle finestre e lontano da quegli orti e cortili nella campagna pugliese.
È l’incedere allegro tipico dell’immediato dopoguerra, cadenzato dai nuovi ritmi americani, i Platters, il rock’n’roll; un’Italia nuova e rombante che inventa la Vespa e si riunisce attorno ai pochi televisori per guardare il Festival di Sanremo e Lascia o Raddoppia. Ma è anche un sommovimento epico che riguarda i destini del mondo, che dal Piano Marshall scivola verso le tensioni della Guerra Fredda, con i volti di John Kennedy e Nikita Kruscev che invadono i giornali.
Eccolo, dunque, il tocco magico, il piccolo sortilegio di questo romanzo: tenere distanziate, nel bozzetto di due fratellini che si avventurano dabbasso, nella stalla, quando ancora tutti dormono, il vociare del mondo esterno e dei suoi rivolgimenti eppure, allo stesso tempo, suggerirne l’incombenza; raccontare di colazioni “allargate”, quando ancora le famiglie non erano mononucleari, ma si viveva insieme perfino ai parenti di terzo grado, e intanto far filtrare i grandi temi della vita dei personaggi e degli uomini.
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Il presentimento della fragilità dell’Eden, la scoperta della sessualità e i primi turbamenti, la scuola, l’università e le ambizioni di chi si affaccia al mondo del grandi, il confronto con l’impegno e le ansie di cambiamento di una società nuova, e naturalmente l’amore, sempre l’amore, a suscitare esaltazioni e rimpianti.
E se Villa Maria non è un romanzo d’amore classicamente inteso, se il sentimento profondo che legherà sempre il protagonista Giovanni a Martina, perduta e alla fine ritrovata, è soltanto una delle tante vie attraverso cui si dipana questa piccola grande storia, nella forza del ricordo e nella semplicità della rievocazione riconosciamo tutto il calore e l’umanità di un narratore appassionato, e il potere dell’amore più vero, che sa rendere luoghi e persone vivi in eterno.
Un romanzo scritto benissimo, un memoir e affresco storico, saga e racconto intimo insieme, Villa Maria riesce a intrecciare mirabilmente le forze diverse che percorrono la Storia, quella pubblica e privata, quella manifesta e quella che si consuma, lieta e drammatica insieme, nel cuore dei suoi personaggi. Dopo aver letto questo libro non si può che dar ragione all’autore di culto McLiam Wilson, per il quale: "Tutte le storie sono storie d’amore".