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Le mute infernali - Dante e le donne, un canto gregoriano al femminile

di Annibale Gagliani*

Le mute infernali - Dante e le donne (Besa editrice, Nardò, 2021), volume curato da Debora de Fazio e Maria Antonietta Epifani, docenti, ricercatrici, passionarie della cultura che cambia un’esistenza, rappresenta l’approccio più originale alla parata di celebrazioni per i settecento anni dalla scomparsa di Durante Alighieri. Settecento anni e non sentirli, le autrici lo sanno bene.

La prima Corona fiorentina dialoga periodicamente con boomer, baby boomer, generazione Y e millennials, per motivi ordinari quali la scuola, le iniziative culturali e l’università. Ma Dante ha fatto di più: dialogare con la generazione Z, garantendosi l’immortalità letteraria attraverso forme apparentemente frivole come i meme, che hanno inaugurato una contaminazione dei cuori schiavi di smartphone e videogames, capaci di rarissima sensibilità, se messa in moto. I ragazzi d’oggi ci scherzano con Dante, poi se lo ritrovano a scuola. Una prova di come il sommo possa essere perpetuo veicolo di temi roboanti e purezza lessicale attraverso il suo immenso serbatoio linguistico. Per questo, quello della coppia di direttrici d’orchestra, de Fazio-Epifani, è l’unico approccio non banale a livello stilistico, strutturale e come obiettivo possibile: utilizza l’espediente dell’Inferno dantesco per sciogliere uno dei nodi più intricati della nostra attualità: la violenza sulle donne.

Il libro è un canto gregoriano al femminile, come mai avvenuto in un monastero di cellulosa e inchiostro. «Fatto non fosti a viver come bruto, uomo, ma per conseguir virtute e canoscenza. Svegliati!», è il leitmotiv sommerso contro il maschio “alfa”, violento seriale. L’opera spinge verso l’ignoto, dando respiro al noto: le donne incontrate da Dante nella prima cantica, senza voce, stigmatizzate dalla storia per le naturali pulsioni che le hanno spinte ad amare e a desiderare di più nelle proprie vite, hanno finalmente una voce. Diciotto donne pugliesi, eccellenze nei campi del giornalismo, dell’istruzione, del teatro, della ricerca, dei libri, del lavoro aziendale, dirette dalle due curatrici, portano nel Ventunesimo secolo figure leggendarie, relazionandole ai loro ricordi, al paesaggio, ai prodotti culturali e ai mass media del tempo. Un canto polifonico con le terzine di Dante tra i denti, citate con parsimonia, per non togliere spazio alle Mute. Ogni donna dona la parola alle condannate, inabissate da un patriarcato spaventoso, mai così vicino a noi. Ognuna di esse si fa da parte, dando voce a un’altra ospite, per dimostrare come l’universo femminile sia sinonimo di armonia in grado di equilibrare le tempeste scaraventate sui pianeti dagli uomini.

EPIFANI DANTE 2
 

Una danza sinuosa, palpitante, in pieno clima di quello è che il primo film horror della storia, l’Inferno. Ma con chi potremo danzare immersi tra le righe che ardono di vita? Con le Tre Fiere, la lonza, la lupa e la leonessa, pronte a processare senz’appello Dante. Con Semiramide, la regina assirobabilonese che ha fatto vibrare di lussuria i Giardini Pensili di Babilonia. Con Didone, fondatrice di Cartagine, perdutamente innamorata di Enea. Con Cleopatra, la prima donna cosmopolita della storia, morta suicida dopo la Battaglia di Azio per amore di Marco Antonio. Con Elena di Troia, la donna più bella del mondo antico, la scintilla che fece scoppiare una guerra epocale tra Sparta e Troia, causata dal suo coraggio di aver lasciato il marito Menelao per un uomo che amava davvero, Paride. Con le Tre Furie, le erinni, simbolo della vendetta nei confronti di chi tradisce la famiglia. Con Medusa, femmina dal capo terrificante, immaginata in maniera efferata, sublime da Caravaggio. Con le Arpie, volatili alle quali hanno rubato i sogni, il destino. Con Isifile, protagonista della tragedia magna di Euripide. Con Medea, capace di conquistare l’eroe del Vello d’oro, Giasone; madre colpevole, assassina, pronta a redimersi. Con Taide, la prostituta mirabolante dell’Euchus di Terenzio. Con Manto, la maga in grado di conquistare il Dio Apollo. Con Penelope, moglie paziente di Ulisse, modello supremo di perseveranza. Con Circe, maga pronta a punire gli uomini tracotanti, con qualche difficoltà forse nei giorni nostri, dato il grande numero di maiali in giro. Con Ecuba, la regina di Troia, madre dilagante, da guinnes dei primati, simbolo di prosperità. Con Mirra, figlia di Cinira, re di Cipro, colpevolmente innamorata del padre. Con la moglie di Putifarre, personaggio della leggenda biblica, compagna di un ricchissimo signore d’Egitto, innamorata di uno schivo, Giuseppe.

Donne dalle caleidoscopiche sfaccettature, che hanno lasciato un segno indelebile sulla terra, un ghirigoro di sangue innocente. Donne che tengono sulle spalle il masso di Sisifo del desiderio ardente, di una maternità complessa, di una cocente liberazione, di un tradimento inaspettato, di una condizione biologica beffarda da inferi del sottosuolo dell’anima. Donne che subiscono violenze, ingiurie, emblema di stereotipi, ebbre di discriminazioni, sfregiate dal fango sul corpo e sullo spirito (secondo la shitstorm in voga nell’antichità e nel medioevo).  

«Senza donne la vita è solo prosa», gridava con orgoglio alla fine dell’Ottocento il poeta nicaraguense Rubén Darío. Ma non è solo una questione di stile, basti osservare il fondamento, la struttura della nostra società di ieri, d’oggi, di domani: «Le donne sono la colonna vertebrale della società hanno sempre dovuto lottare doppiamente, hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale», Rita Levi Montalcini. Non solo per stile, non è solo per fare chiarezza sui pilastri della realtà. Le Mute infernali parlano, citando le curatrici, «Alle tante Donne che non possono avere Voce», per dare loro la forza di cambiare la propria esistenza, soffocando i demoni di sempre e abbracciando una nuova vita.    

L’indagine condotta sulla sicurezza delle donne dall’ISTAT tra il 2018 e il 2021 è un allarme assordante e traccia i bordi di uno scenario vergognoso, manifesto d’inciviltà dei popoli “evoluti”: il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni e 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale; il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica; il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale; il 5,4% (1 milione 157 mila) ha subito le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila); il 12,3% sono infine le donne che subiscono minacce, spintonate o strattonate il 11,5%, oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi il 7,3%, colpite con oggetti che possono fare male il 6,1%.

Ce lo ricorda anche Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato come sia difficile nascere donna ancora oggi: «Se nascerai uomo non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace»

Per fortuna, ce lo ricordano Le Mute infernali come non sia poi così difficile essere donna, anche oggi, se il cuore è proiettato verso un amore da spendere in primis per sé e poi verso l’altro. Perché se non si ama sé stessi più di chiunque altro, è difficile comprendere il vero valore dell’amore altrui. Il libro ha il merito di dare all’ingiusto della storia un’altra veste, cucita da diciotto donne, eccellenze noi loro campi, che cuciono e cantano un canto gregoriano, a tratti soul, pronto a infiammare i timpani dei padri, mariti, fidanzati padroni di niente.

Non sappiamo i motivi per i quali Dante non abbia fatto parlare le donne citate nel testo. No, non è misoginia, non possiamo fare crollare un mito soprattutto in occasione dei settecento anni dalla scomparsa. A fugare ogni fraintendimento o ambiguità ci pensano le curatrici, de Fazio ed Epifani, protagoniste della novità dantista più accattivante dell’ultimo decennio, intrisa di non comune armonia. Invitano Dante al convivio in rosa, lo fanno parlare, e il sommo mesce, come sempre, dolcissimo idromele dalla sua coppa, e apre le danze di un volume destinato a rimanere nei prossimi inverni:

"Essere qui. Tra i gironi dell’Inferno, la perdizione, la disperanza, la perduta gente. La voragine. L’imbuto di Lucifero, Portatore di luce. La landa desolata delle anime prave. Lo spazio del Peccato e del Male. Ho dipinto la regione dell’etterno dolore; la vidi co’ miei lumi e voi col mio sguardo la rimiraste. Mostrato v’ho il paesaggio con l’eloquio e la rettorica. Il mio libro è ieri, il mio libro è oggi, il mio libro è domani: balestra per giugnere a quel ch’ancor non è stato. Ora scendete nell’abisso. Con me e queste donne. Cotanto viaggio è il loro, non il mio. Il viaggio delle Mute è nelle loro selve oscure. Appartiene alle Donne sanza voce. A quelle a cui non ho dato voce. Liberatele dall’odore acre delle muffe. A loro la parola, io mi faccio in disparte. Lo farà ciascuna, lo faranno tutte: per uscire a rivedere le stelle".  

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