Mons. Antonino Raspanti: 'Alla ricerca della vocazione mediterranea' - Affaritaliani.it

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Mons. Antonino Raspanti: 'Alla ricerca della vocazione mediterranea'

Il discorso introduttivo del Vicepresidente della CEI Mons. Antonino Raspanti Vescovo di Acireale, al Sinodo dei vescovi a Bari 'Mediterraneo frontiera di pace'

1.         Il Vangelo di Gesù invita ad aprire nuovi spazi 

Raspanti1

Innesto questa riflessione nell’ispirazione originaria che il Cardinale Presidente ha voluto molto presto condividere con me e avanzo una proposta che si leva sul quadro geo-culturale da lui disegnato nella relazione d’apertura, appena ascoltata.

Nel porre mente all’iniziativa che oggi vede la luce, siamo stati subito consapevoli dei limiti della nostra azione per la vastità e la complessità dei fattori in gioco nel Mediterraneo, ma ci ha guidati il senso della cattolicità della fede che apre nuovi spazi nei quali comunicano persone, gruppi e istituzioni, che altrimenti rimarrebbero isolati tra loro o sordi alle necessità del bene comune e dei popoli. Quale madre la Chiesa accoglie nel suo grembo, che è spazio di affetto familiare, le preoccupazioni dell’umanità, prendendo a cuore le sue gioie e le paure. Sembrano quasi rivolte a noi le parole che Martin Buber scriveva a Giorgio La Pira nel 1961: «È necessario prima di tutto che gli uomini di buona volontà si parlino, come solo loro sanno fare. Con tale espressione evangelica io intendo che, in questo momento caotico, vedono in comune la realtà della situazione umana e tendono in comune verso un consorzio comune umano. Che si aiutino a guardare, a desiderare, a parlare veramente, che si ascoltino veramente e allora i popoli li seguiranno e i governi seguiranno i popoli. È il momento»1.

In verità, è il Vangelo di Gesù che urge ad aprire possibilità di dialogo, di visione e di tensione comuni, perché la salvezza della Pasqua offre la certa speranza che l’amore trionfa sul male e sulla morte e che l’unico Pastore vuol radunare il gregge in un luogo sicuro. Non apriremo, però, reali possibilità alle genti cui ci rivolgiamo, se non siamo evangelizzati anzitutto noi. La missione di annunciatori del Vangelo sgorga dall’ascolto della Parola di Dio, tramite cui si aprono spazi in noi stessi per permettere allo Spirito di far nascere cose nuove. Punto di partenza è, pertanto, l’ascolto/annuncio del Vangelo del Regno. Questo Vangelo narra più che l’ascesa dell’uomo a Dio la discesa di Dio nella creazione e nell’uomo. Noi accogliamo sempre e di nuovo Gesù Cristo, anche nei popoli del Mediterraneo.

L’ascolto comune del Vangelo ci ricorda che ogni riconciliazione è possibile grazie alla guarigione e alla salvezza procurate da Cristo. Il peccato è infatti la radice di ogni male, mentre la Pasqua di Gesù è l’unica salvezza. Non c’è altro Nome nel quale l’umanità progredisca nella verità e nella giustizia. Papa Francesco così esortava due anni fa qui a Bari: «Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cf. Mt 26,56) o la spada (cf. Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore»2.

Raspanti Bari

2.         Una visione cristiana del Mediterraneo

L’opera divina di salvezza, che abbiamo il dovere di discernere e indicare al Popolo di Dio e all’umanità, e compiere noi stessi, accade nel Mediterraneo! Da questo non possiamo prescindere, così come nel comprendere le Scritture non prescindiamo dallo studio della cultura semitica, e giudaica in particolare. Desideriamo interrogarci sul colore e sulla tonalità che la fede cristiana ha assunto e assume nel Mediterraneo, domanda che esige una risposta intorno alla specificità di questa regione del pianeta.

Riascoltiamo le parole di Giorgio La Pira pronunciate il 19 febbraio 1960 al «Congresso Mediterraneo della Cultura»: «Noi pensiamo che il Mediterraneo resta ciò che fu: una sorgente inestinguibile di creatività, un focolare vivente e universale dove gli uomini possono ricevere le luci della conoscenza, la grazia della bellezza e il calore della fraternità. La congiuntura storica che viviamo, lo scontro di interessi e di ideologie che scuotono l’umanità in preda a un incredibile infantilismo, restituiscono al Mediterraneo una responsabilità capitale: definire di nuovo le norme di una Misura dove l’uomo lasciato al delirio e alla smisuratezza possa riconoscersi:

-           liberare i valori tradizionali dagli stereotipi che li mummificano,

-           sostenere in tutte le occasioni la causa dell’Uomo contro le forze che lo opprimono e ostacolano la sua riuscita,

-           contenere la smisuratezza del potere e delle passioni,

-           in breve, lavorare per la realizzazione simultanea di un mondo fatto a misura d’uomo da uomini fatti a misura del mondo».

Fino a pochi giorni fa la voce di un religioso si levava, come tante altre: «I popoli del Mediterraneo non ne possono più di sofferenze, sangue, violenze, conflitti, distruzioni. Così mi viene dal cuore la richiesta di pregare perché da Bari arrivi questa luce per tutto il Mediterraneo»3. Mi sono chiesto se la luce agognata possa riguardare soltanto questa o quella problematica che affligge i nostri popoli, quali le migrazioni, la povertà, le violenze, la mancanza di istruzione o di cure sanitarie, lo sfruttamento di nazioni rispetto ad altre, la crisi dell’istituto familiare.

La storia ci insegna che per la felicità delle persone è basilare più che risolvere le singole criticità, offrire orizzonti di speranza, un sogno da nutrire, un ideale al quale appartenere e di cui essere insieme costruttori. A fronte di ciò chiunque è disposto a grandi sacrifici. Inoltre, se noi, uomini della religione, ci limitassimo alla rivendicazione del superamento delle crisi, scivoleremmo nell’usare la divinità in funzione del benessere e della sicurezza terrene. Dimenticheremmo che proprio in questo Mediterraneo i monoteismi hanno strenuamente combattuto ogni idolatria. Da pastori, perciò, la domanda da non eludere sarebbe: abbiamo una visione del Mediterraneo? Intravediamo una meta, che ha a che vedere con il tesoro della Rivelazione, quindi connessa al piano divino rivelato in Cristo e che coinciderebbe con quella responsabilità capitale intuita da La Pira? Non possiamo limitarci alla denuncia dei crimini e delle ingiustizie, che non dobbiamo peraltro negligere. Abbiamo il dovere di indicare come la strada nella quale il Mediterraneo è immesso sia connessa con il piano divino di salvezza in Cristo, quanto se ne allontani e dove Dio vuole che indirizziamo i nostri passi per rimanere fedeli a lui, Signore della storia.

La profezia lapiriana ha intuito il nesso tra mistero di Provvidenza e cammino dei popoli mediterranei. Riprendo le parole di La Pira a Pio XII del maggio 1958: «Vi dico subito, Beatissimo Padre, qual è la “intuizione” che da qualche tempo fiorisce sempre più chiaramente nella mia anima. Questa: il Mediterraneo è “il lago di Tiberiade” del nuovo universo delle nazioni: le nazioni che sono nelle rive di questo lago sono nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; del Dio vero e vivo. Queste nazioni, col lago che esse circondano, costituiscono l’asse religioso e civile attorno a cui deve gravitare questo nuovo Cosmo delle nazioni: da Oriente e da Occidente si viene qui: questo è il Giordano misterioso nel quale il re siro (e tutti i «re» della terra) devono lavarsi per mondarsi della loro lebbra (2Re 5, 10)»4.

Senza addentrarmi nel pensiero del sindaco fiorentino e meno ancora nell’analisi della sua attualità o decadenza, ritengo che quelle domande siano ancor oggi le nostre. Qual è il senso del nascere e fiorire in questo bacino delle tre religioni che si autoproclamano rivelate e di valore universale? Occorre vedere in questa luce teologica i singoli problemi che ci attanagliano, consapevoli che «proprio nel nostro tempo - nel tempo, cioè, nel quale sembrava che fosse per sempre “caduta in crisi” la presenza di Dio nella storia del mondo - questa presenza misteriosa appare ogni giorno di più la “dominante” che dà finalità e struttura al movimento intero della storia»5.

L’andamento culturale dei decenni successivi a La Pira ha spinto la riflessione sull’unità nella diversità verso l’esplorazione dell’identità medesima: questa non è acquisita una volta per tutte o fissata in un empireo dal quale ri-attingerla, ma immessa in un processo storico è soggetta all’interazione con la diversità e la differenza, anzi si lega strettamente all’«esser altro da», all’alterità, fino a individuare quest’ultima quale suo co-principio. Di conseguenza si riconosce necessario l’altro per conoscere sé stessi. Ciò è premessa indispensabile per riscoprire la fraternità e costruire la pace. Mi spingo verso un approfondimento applicativo di questo al nostro tema, per mettere in luce una delle caratteristiche che, a mio avviso, contraddistinguono il Mediterraneo in una lettura teologica.

In uno spazio geografico relativamente piccolo abbiamo assistito, e assistiamo ancor oggi in pieno ventunesimo secolo, alla lezione di una marcata accentuazione delle identità/alterità delle genti che vi abitano, frutto di una fitta dinamica di interazione fra di esse; dinamica che non è rimasta, certo, al riparo da degenerazioni, come lotte, odio, contrapposizioni di convenienza, ma che mantiene sempre in sé come presupposto, più o meno esplicitamente avvertito e riconosciuto, il primato dell’altro, la sua autonomia e anche la sua principialità6.

In effetti, l’altro non è semplicemente a prescindere da me, ma insieme a me, a tal punto che affinché io ci sia, occorre l’altro. L’altro è per me costitutivo. E lo è a più titoli. Innanzitutto perché, con la sua alterità da me, mi aiuta a definirmi, a diventare consapevole della mia identità, dei miei contorni personali, del mio profilo diverso e distinto dal suo. Inoltre perché mi invita - con le sue esigenze, con le sue rivendicazioni, ma pure con la sua disponibilità - a non far degenerare la distinzione in distanza: noi ci costituiamo in forza di una dialettica di discontinuità nella continuità. Siamo tutti collegati proprio perché tutti distinti, per quanto talvolta in lotta reciproca. Papa Francesco parla di questo, quando nell’enciclica Laudato si’ illustra la sua «ecologia integrale», lì dove assimila nel discorso teologico-spirituale un ben preciso dato scientifico e sociologico: siamo tutti connessi, stiamo tutti in rapporto, viviamo in relazione reciproca. Per questo esorta tutti al dialogo.

Non si tratta soltanto di mettere in secondo piano quello che ci divide e puntare su ciò che ci accomuna, correndo i rischi di appiattire le identità e deprezzare i tesori dei popoli. Ancor di più, occorre riscoprire integralmente se stessi alla luce dell’altro, sapendo così non solo meglio definire sé stessi, ma anche dire cosa è l’altro secondo me (cristiano) e con me. Si pensi, ad esempio, cosa questo possa voler dire in un discernimento (ancora una volta da compiere) cristiano dell’Islam?

Concependo la creazione e la storia entro la dinamica dell’amore trinitario di Dio, il cristianesimo ha viva consapevolezza di questa connessione nella differenza e della cospirazione dell’alterità alla concordia e all’unità. Il Documento di Abu Dhabi segna un passo avanti nel comune riconoscimento delle differenze: «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi»7. Accogliendo questo tesoro di scienza divina che Gesù ci ha rivelato e ha realizzato ricapitolando tutto in sé, noi siamo chiamati a custodirlo e annunciarlo nel vissuto delle nostre comunità, in questo Mediterraneo agitato da profonde crisi. La cultura dello scarto, denunciata da Papa Francesco, e l’auspicata ecologia integrale, che comprende insieme le dimensioni umane e sociali (Laudato si’ 137), diventano banco di prova per la rilevanza e la credibilità del nostro vissuto, che porta in grembo la perla della pace, cioè Gesù risorto: non possiamo ignorarle né, d’altra parte, possiamo addentrarci da soli in problematiche così complesse, soprattutto se pensiamo che, in diversi

Paesi rivieraschi, i cristiani sono una minuscola minoranza.

Non possiamo, inoltre, ignorare il nuovo scenario di questa connessione disegnato dalle tecnologie digitali, in quanto instaurano una società nella quale incontriamo l’altro in spazi che per loro natura sono mediati da tali tecnologie. Questo crea una rappresentazione del mondo e un vissuto relazionale, pubblico e privato, del tutto nuovo, mediato dalla tecnologia, che conduce a un’esasperazione della tensione costitutiva dell’alterità, mentre apre a una nuova mentalità nella quale siamo tutti immersi e nella quale noi pastori conduciamo la nostra missione. Per quanto i cambiamenti siano veloci, le comunità ecclesiali, guidate dai puntuali messaggi dei Pontefici, crescono nella responsabilità e nella capacità di discernimento, di giudizio e di decisione nel muoversi all’interno della tensione e del mescolarsi di virtuale e reale. Ciò che inasprisce le polarizzazioni, infatti, e accentua le crisi è la nostra inabilità a vedere e discernere chiaramente o comprendere l’altro, in quanto lo incontriamo tramite uno spazio digitalmente mediato.

Se, dunque, le tensioni e insieme gli abbracci non hanno mai cancellato il senso di appartenenza reciproca che i popoli del Mediterraneo avvertono in sé, né hanno bloccato gli scambi di persone, merci, arti, possiamo intendere in un’ottica cristiana che la marcata interazione tra le genti del Mare Nostrum abbia esaltato la formazione di forti identità e insieme accentuato la tensione costitutiva della dinamica di ogni alterità, cioè l’unità nella distinzione che significa fraternità e pace. Per tal ragione si è acuita quell’apertura/desiderio al compimento di questa tensione nella sinfonica unità che le religioni rivelate annunciano e verso cui invitano. Ciò implica che in questo bacino possa esser richiesto un maggior coraggio al processo del perdono e della riconciliazione, alla corresponsabilità e alla fraternità? Il suono delle parole «Dov’è Abele, tuo fratello?» diventa qui tuono assordante? Ciò non significa che il Mediterraneo abbia qualcosa di proprio in esclusiva rispetto ad altre regioni del pianeta, ma che abbia maturato una caratteristica universale in modo precipuo e talvolta esemplare, tanto da influenzare gli altri modelli culturali. 

Decaro papa Bari medit

3.         Conclusione

Nell’augurare un buon lavoro a tutti, riprendo le parole del Santo Padre pronunciate a Napoli lo scorso anno sulla pace nel nostro mare: «Questo luogo oggi ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche. Esse si possono tradurre in alcune domande che ci siamo posti nell’incontro interreligioso di Abu Dhabi: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica?»8. Nell’affrontare questo compito, che può apparirci immane, siamo sostenuti dalla fede nella signoria di Cristo risorto sulla storia, il quale esercita la regalità dalla croce, che non è certo debolezza ma potenza di Dio per chiunque crede. Siamo incoraggiati dal sangue dei nostri martiri, i quali non insegnano ad allontanare né a disprezzare persino il fratello che alza la mano contro di noi, ma sanno di essere uno in Cristo con ogni altra persona. Come dimenticare le parole diamantine del p. Christian de Chergé, come di tanti altri fratelli e sorelle?

«L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso

quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani». È stata donata anche a noi la medesima virtù teologale della speranza. Per essa questo monaco trappista afferma: «Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze»9.

Confidando nel Signore dei signori e Principe della pace, non ci manchi il coraggio di entrare negli spazi che il Cuore aperto di Cristo ha liberato per l’umanità.

1 - Lettera di M. Buber a G. La Pira del 15 maggio 1961, in L. Martini (a cura di), Giorgio La Pira e la vocazione di Israele, Giunti, Firenze, 2005, p. 214.

2 - Parole del Santo Padre a conclusione del dialogo, Sagrato della Basilica di San Nicola, Bari 7 luglio 2018, http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/july/documents/papa-francesco_20180707_visita-bari- conclusione.html

3 - Padre Jacques Mourad: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/02/03/news/padre-jacques-mourad-il-piano- del-secolo-potrebbe-venire-da-bari-1.38420646

4 - Citazione riportata in Pace nel Mediterraneo. Il pensiero di Giorgio La Pira, Edizioni Polistampa, Firenze, 2019, p. 78.

5 - Invito ai capi di governo al V Convegno per la Pace e la Civiltà cristiana, in Pace nel Mediterraneo. Il pensiero di Giorgio La Pira, p. 38.

6 - Per questo pensiero, sviluppato nel capoverso successivo, cfr. M. Naro, Il protagonista è l’abbraccio: riflessioni sulla reciprocità come spiritualità, in «Servitium» III 246 (2019), 17-18.

7 - Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace mondiale e la Convivenza Comune, Abu Dhabi 4 febbraio 2019, http://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento- fratellanza-umana.html

8 - Discorso di papa Francesco alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli 21 giugno 2019, http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/june/documents/papa-francesco_20190621_teologianapoli.html

9 - Il Testamento spirituale di padre Christian de Chergé, in https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2018-01/beati- monaci-trappisti-martiri-algeria.html