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Salento, memorie al pro-fumo di tabacco

Accade per nulla di rado, in estate, passeggiando per le vecchie vie dei borghi del Salento, di essere invasi dai ricordi, quelli di un tempo lontano, laddove il legame inscindibile tra i luoghi e il sentire del cuore passa attraverso quella vocazione rurale che è tratto inequivocabile di cose e persone che dentro a quei luoghi scandiscono la vita.

Un tempo, in molti dei paesini che oggi danno forma alla Terra d'Arneo, a quella parte del bel tacco che ingloba a sé territori straripanti di storia e ruralità, non era casuale vedere, nei giorni dei caldi mesi dell'anno, strutture simmetriche in legno adagiate sulle pareti esterne delle case, dai colori e dall'odore inequivocabili, eloquenti testimoni di quella campagna salentina che è stata protagonista indiscussa delle vite di intere generazioni.

tabacco taraletti Salento
 

Chi ha vissuto quegli anni sa quanto altro ancora si conserva dentro a quei ricordi, talmente forti e impressi da rievocare odori e sensazioni straordinarie semplicemente percorrendo le stesse strade di allora. Strade intrise del profumo del tabacco, per ore steso ad essiccare al sole, e tutt'intorno, a fargli da cornice, la socialità che era un incanto.

Lo si andava a raccogliere alle primissime luci del giorno, grandi e piccini, mettendo in pratica, all’incirca fino alla fine degli anni ‘80,  opere che, come quasi sempre accadeva nei lavori agricoli d'un tempo, coinvolgevano l'intera famiglia, persino i bambini che, buffi, difficilmente  raggiungevano la parte alta della pianta da cui tirar via le foglie preziose. Quelle prime ore del giorno erano il miglior tempo per agire, quando la rugiada si era ormai prosciugata e le foglie, una volta raccolte, via via venivano adagiate nelle casse e nei tini. Quando si rientrava a casa si dava avvio al prezioso rito dell'infilare.

Un grosso ago di acciaio e lunghi tratti di spago erano gli attrezzi essenziali e irrinunciabili. Ci si sedeva in cerchio e, una ad una, le foglie venivano passate attraverso l'ago, laddove all'estremità del filo un nodo a forma di cappio costituiva la base necessaria per il passaggio successivo, quando i fili colmi di foglie, una accanto all'altra, venivano appesi ai telai e poi messi ad essiccare al sole. Porre quelle foglie sui fili che avrebbero riempito i telai adagiati sui muri esterni delle case, era molto di più di un lavoro figlio dell'agricoltura.

tabacco salento
 

Era un rituale di socialità che arricchiva gli animi in maniera esponenziale, benché agito nel cuore di case prevalentemente povere. Era un lavoro che coinvolgeva la famiglia e il vicinato, dando vita a occasioni d’incontro irripetibili a cui oggi, forse, si guarda con grande nostalgia. Nel lungo tempo in cui si lavorava insieme, si raccontavano storie, aneddoti, prendeva vita quel chiacchierio sano e semplice che da solo bastava per provocare sorrisi e serenità.

Poi, al calar della sera, i telai quasi sempre si riportavano in casa, con un occhio vigile sempre verso il cielo, per correre subito ai ripari quando le nuvole minacciavano pioggia: il tabacco non doveva bagnarsi, le foglie, unite le une alle altre com’erano, si sarebbero certamente ammuffite rendendo nullo il gran lavoro che le aveva condotte fin lì. Poi, ben ridotte dal lavorio della calura, quelle foglie venivano riposte in casa, messe insieme con maestria, nell’attesa di essere consegnate alle realtà specializzate ove sarebbe avvenuta la lavorazione finale che le avrebbe rese polvere da fumo, epilogo attesissimo per via del suo coincidere con l’incasso per quanto svolto.

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Processi importanti che prendevano vita lungo tutti i giorni dell’estate di un tempo, invadendo per anni di odori e cose le strade delle terre salentine, dando forma a memorie indelebili che mai cederanno all’oblio. E sembra ancora di sentire quell’odore acre, percepito fin dentro all’anima.

Se si chiudono gli occhi sembra quasi di vedere quei telai sui muri, la gente seduta sull’uscio delle case mentre i piccoli giocano spensierati nelle strade. E ci si rivede bambini, proprio dietro a quei telai mentre si giocava a nascondino, quando a tutto bastava quella vita semplice, fatta di nulla o poco più, di pane fatto in casa, di occhi da guardare e mani da stringere.

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