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Speranza, Pace e Dialogo: pietre
d’inciampo per il Medio Oriente
Il romanzo d’esordio di Enzo Amendola “L’Imam deve morire” - Mondadori alza il sipario sulle contraddizioni di un Medio Oriente irrequieto e di un Mediterraneo con troppe frontiere.

Leggo le ultime pagine del romanzo d’esordio di Enzo Amendola “L’Imam deve morire” - Mondadori, 2025 seduto sulla panchina più esclusiva di Puglia, quella di fronte alla Cattedrale di Troia (Fg) e con emozione fisso il suo magnifico Rosone, che - nella bellezza affascinante dei suoi tratti e del suo DNA moresco - riassume e sintetizza tutto il rammarico che emerge da quelle pagine.

“La ricchezza è nella diversità” testimoniano gli arabeschi calcarei dei suoi 11 petali nell’asimmetria armonica di un’architettura raffinata, d’ispirazione federiciana, ricca di sincretismi e carica di suggestioni, ma è anche il limite per l’intero mondo arabo: da sempre segnato da insofferenza e irrequietezza, mai capace di trovare la serenità di un sentire comune e il coraggio sapiente e tollerante per una convivenza pacifica diffusa.
Un Medio Oriente che sembra vivere o percepire come “pietre d’inciampo” la Speranza, la Pace e il Dialogo, la cui prospettiva si direbbe offuscata - se non proprio oscurata - dal nero petrolio che è l’altra faccia di una ricchezza decisamente più concreta e tentatrice. E che, in un certo qual modo, fa da specchio al contesto politico in cui l’autore è cresciuto e si è formato, fino a ricoprire cariche e funzioni istituzionali.

L’intreccio tra verità storica e finzione letteraria prende corpo nel 1978 e si dipana nell’intrigo internazionale della scomparsa di Musa al-Sadr, Imam leader degli sciiti libanesi - che come Federico II auspicava e predicava la convivenza fra popoli e religioni - svanito apparentemente a Roma, insieme al suo seguito. In una Roma e un’Italia ancora scosse dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro, nonché scombussolate dalla successione di ben tre Papi, passando - nel giro di poche settimane - da Paolo VI a Giovanni Paolo I e a Giovanni Paolo II (il Papa polacco).
Forse anche per questo, la vicenda sarà classificata come “il caso Moro d’Oriente” e vedrà protagonisti i Servizi Segreti italiani, il regime libico e il colonnello Gheddafi, le variegate declinazioni del terrorismo mediorientale, l’Iran, la Savak, i Servizi Imperiali dello Scià e quelli successivi degli Ayatollah. Ovviamente il Libano, gli USA e Israele insieme a incursioni di diplomazie europee.

La vicenda controversa e misteriosa della scomparsa dell’Imam libanese consente all’autore di puntare i riflettori della narrazione sugli scenari politico-istituzionali di un Mediterraneo martoriato da individualismi e nazionalismi, prim’ancora che attraversato forse dalle uniche tracce di speranza, come lucciole nella notte: quelle di migliaia di migranti, profughi e disperati, spesso vittime di una sorta di sabbie mobili o vortici fatali, che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero liquido a cielo aperto.
Un saggio sulla situazione intricata del Medio Oriente, reso sostenibile dall’analisi lucida di Enzo Amendola, a lungo operativo nei contesti internazionali, che fa leva sulle esperienze personali per dar vita a una narrazione dalla lettura avvincente e coinvolgente, favorendo un viaggio nel viaggio con la descrizione di scenari paesaggistici poco frequentati e, in certi casi, anche poco conosciuti.

Un libro che a sua volta si fa messaggio sincretico, ribadendo l’esortazione a superare l’accidioso adagio che vuole “Il Medio Oriente, mondo senza speranza”, gridando dai minareti - nella luce infuocata del tramonto - che “La verità, come la bellezza, talvolta deve scomparire, soccombere, per riapparire poi più luminosa di prima”. Ovvero, ritrovare l’alba ogni santo giorno!
(gelormini@gmail.com)