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'Storia di Elvio' di Beppe Corlito: la Resistenza in Irpinia

Resistenza e sindrome nostalgica dei ricordi nella 'Storia di Elvio' di Beppe Corlito - lungo lo skyline irpino al di là della frontiera rupestre pugliese.

di Giovanni Aquilino

Ci sono racconti talmente intensi da costruire una sorta di luogo della mente nel quale si svolge la vicenda. Un luogo virtuale ma altrettanto vero che scaturisce dall’emozione del racconto dall’immagine che lo stesso riesce a riprodurre nella mente del lettore.

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È il caso della “casa panzuta” una dimora antica proscenio della storia di una intera famiglia che viene narrata in “Rocco era mio padre” uno dei tre racconti che compongono l’agile volumetto di Beppe Corlito, campano di origine e toscano di adozione, dal titolo “Storia di Elvio”. Si ha la sensazione di sentirsi immersi in questo paesaggio fatto di case, di campagna, di orti e di monti, ma soprattutto di personaggi.

Un paesaggio umano, che vive e palpita dentro e fuori una casa con la pancia, insomma qualcosa che si può solo immaginare, una saga familiare nella “Terra dell’Osso”, così come aveva definito la parte più interna della dorsale Irpina, immersa nei monti dell’appenino che degradano da una parte verso la Puglia e dall’altra verso le terre costiere della Campania, Manlio Rossi Doria.

Infatti, i racconti di Corlito, hanno radici familiari, sono ambientati in parte nella terra d’origine l’Irpinia quella contadina e verace e in parte in Toscana, quella irriverente e sanguigna, un filo ideologico accomuna le tre vicende: il comunismo.

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Quella passione politica e popolare che accomunò e fece sognare il “sole dell’avvenire” a milioni di persone, intere generazioni che credettero e lottarono per un mondo più giusto e per una vita più dignitosa per tutti e per ognuno. 

Mettere assieme Irpinia e Toscana è un esercizio audace, un connubio poco proponibile all’apparenza, ma che l’autore è riuscito a rendere compatibile grazie ad una scrittura fluida nonostante i ricorrenti “dialettismi” ovvero termini dialettali resi comprensibili a lettori in lingua e ad una narrazione avvincente e fascinosa per tutte le diverse storie.Come nel racconto del sacrificio di Elvio, giovane fervente ed entusiasta, morto per una naturale istanza di libertà come tanti giovani partigiani combattenti per liberare l’Italia dal nazifascismo.

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Un racconto di una storia minima, ma di una morte “grande” anche se atroce e terribile, che ha l’obbligo di essere ricordata anzi, di più, tramanda affichè destini simili possano essere cancellati dal novero della storia umana.Il terzo racconto narra ancora di un legame familiare quello dell’autore con Agostino, suo suocero, scampato alla strage di Castelnuovo dei suoi 74 compaesani tra i quali perì anche suo padre, trucidati dai nazisti in fuga e salvo grazie al riparo che gli aveva offerto il bosco.

Lo stesso bosco che amerà per il resto dei suoi anni. Un capanno, una caccia gentile se non fotografica che sa di rito, di solitudine, un rituale e un esercizio d’amore per il bosco e per la natura.Il volume pubblicato dalla “Effegi Edizioni” è l’ultima fatica di Beppe Corlito, non nuovo alla narrazione visto che può annoverare più di un romanzo al suo attivo anche se la sua professione di medico e di psichiatra lo ha portato più spesso a pubblicare testi a contenuto professionale.