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Roma
A Fiumicino la prima palestra di boxe per disabili: lo sport diventa una cura

di Diana Maltagliati

 

Si allenano tre volte a settimana e partecipano a tornei ed eventi anche internazionali. Sono i ragazzi disabili della palestra di Traiano Boxe Integrato Onlus di Fiumicino, la prima dedicata ad autistici e portatori di sindrome di down.

 

Tra i giovani atleti ci sono sia bambini che ragazzi, che insieme a Valentina e Luciano Rondinella, hanno deciso di lanciarsi nella sfida dello sport. L'allenamento insegna loro a diventare indipendenti, a fidarsi degli altri e a non abbattersi alla prima difficoltà. Valentina, 21 anni, da sempre sportiva e amante della boxe, è da quando aveva 16 anni che aiuta il padre Luciano nel suo progetto e ne ha parlato ad Affaritaliani.

Com'è nata l'idea di aprire una palestra di boxe per disabili?

“È stata un'idea di mio padre: stavamo vedendo un match di pugilato, quando abbiamo notato che sotto al ring c'era un ragazzo con la sindrome di down talmente immerso nell'incontro da iniziare a tirare colpi. A mio padre si è accesa una lampadina e ha deciso di provare a portare i disabili sul ring. Abbiamo iniziato a parlarne in famiglia e poi l'idea si è concretizzata con una piccola palestra, che per noi è un gioiellino”.

Cosa offre la boxe ai ragazzi che vengono da voi?

“Molta sicurezza e autostima. É ovviamente un modo per tenersi in allenamento e per passare il tempo con gli amici, ma la boxe è anche sfida con se stessi e tra compagni”.

Per i vostri atleti è un impegno notevole...

“Sì, si allenano tre volte a settimana. Gli altri giorni invece li dedichiamo ai ragazzi del quartiere, quelli che abitano nelle case Ater. Per loro le lezioni sono a costo sociale, mentre ai ragazzi con disabilità abbiamo scelto di dare lezione gratis. Siamo io e mio padre a cercare gli sponsor per tute, attrezzi, medaglie e così via. Anche se devo ammettere che è lui il cervellone della palestra!”.

Spesso si pensa che per i disabili sia più complicato avvicinarsi al mondo dello sport: è davvero così?

“No, per niente. Certo ci sono delle differenze... per esempio i tempi di allenamento sono molto ridotti rispetto a quelli dei ragazzi normodotati, ma i risultati li raggiungono eccome. Per esempio qualche giorno fa stavamo facendo una lezione di prova a un bimbo autistico di 10 anni. Gli abbiamo mostrato un esercizio con alcuni cerchietti: appena ho fischiato, lui l'ha rifatto perfettamente. Riescono veramente in tutto, magari serve un po' più di pazienza nello spiegare l'esercizio, ma possono arrivare a fare qualunque cosa. Durante l'allenamento spesso facciamo il tifo per loro, li incoraggiamo e ricordiamo loro che ce la possono fare, che devono crederci”.

Ti piace insegnare a questi ragazzi?

“Moltissimo. Mi ha dato grandi soddisfazioni. Ho seguito diversi corsi per diventare educatore sportivo per ragazzi speciali, ho preso anche il diploma di posturale per imparare a conoscere meglio le loro esigenze. È una gioia vederli sul ring, ma anche seguirli durante l'allenamento”.

Dev'essere stata una bella soddisfazione, riuscire a realizzare il progetto della palestra.

“Eccome. Non pensavamo di arrivare a questo punto. Ora i nostri ragazzi partecipano a esibizioni ed eventi. Quest'anno siamo anche riusciti a portare due dei nostri atleti con sindrome di down in Spagna al Torneo Internacional de Artes Marciales Adaptadas. Sono stati i due primi pugili disabili a combattere un match regolare a un torneo internazionale”.

Quanti sono i ragazzi che seguite?

“Circa 10-11”.

I prossimi progetti della palestra?

“Il 13 maggio ci sarà un esame: si esibiranno e combatteranno sul ring. È una piccola prova, per loro”.

Oltre ai risultati sportivi, qual è il vostro obiettivo?

“Quello di dare un'opportunità diversa dal solito alle famiglie con ragazzi con disabilità. Non è giusto lasciarli chiusi in casa, anche loro hanno il diritto di divertirsi, di socializzare in un ambiente sano come può sicuramente essere una palestra. In più da noi è possibile farlo a costo zero, quindi a maggior ragione vale la pena provare. Inoltre noi non insegniamo solo una disciplina sportiva, ma proviamo a renderli più autonomi possibile. Si tratta di piccole cose, come il sistemare gli attrezzi dopo averli utilizzati, farsi la doccia da soli, preparare la tuta... cose simili a quelle che potrebbero aver bisogno di fare a casa propria. Ora sono giovani e hanno i genitori che si occupano di loro, ma devono imparare a cavarsela da soli e da noi imparano divertendosi”.

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