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Roma
Borsa Italiana, pasticcio di Gualtieri sulla cessione: carta Cdp giocata male

di Andrea Augello

Interpellato da alcuni giornalisti, nei giorni scorsi avevo inutilmente cercato di richiamare l’attenzione del Ministro Gualtieri sugli aspetti più temerari della sua comunicazione sulla questione dell’ormai imminente cessione di Borsa Italiana a una delle tre cordate in lizza.

Per i lettori che avessero perso le precedenti puntate, è bene ricordare che Borsa Italiana è stata privatizzata nel 1998 e non è più italiana se non per i titoli che tratta a Piazza Affari, visto che se la è comprata la Borsa di Londra, che ne controlla il 100% del capitale. Rammentiamo anche che Borsa Italiana ha al suo interno MTS, la struttura che controlla l’andamento dei nostri titoli di Stato sul mercato secondario.

Bene, dopo aver investito sulla piattaforma di Refinitiv, ora gli inglesi devono necessariamente sbarazzarsi della società per evitare sanzioni dell’antitrust e hanno messo Borsa Italiana sul mercato. Se la contendono, dicevamo, la Borsa di Zurigo, il cui acronimo è Six, quella francese, cioè Euronext, e, infine, i crucchi di Deutsche Borse. In questo scenario, che ricorda l’infinita serie di barzellette con protagonisti un inglese, un francese e un tedesco, si è segnalato per un convulso quanto pericoloso attivismo estivo anche un italiano, il Ministro Gualtieri. Facendo propria una richiesta delle opposizioni, in particolare di Fratelli d’Italia, il governo ha varato qualche mese fa un decreto che gli consente di utilizzare il Golden power, cioè il potere di veto, per le acquisizioni e/o le cessioni di aziende ritenute strategiche per il Paese e, tra queste, compare Borsa italiana. In realtà questo strumento è utile per porre qualche ragionevole condizione al compratore, ma non si presta ad essere impugnato come un revolver, a meno che il compratore non sia la Borsa della Corea del Nord o l’ISIS.

Nel caso di specie, l’Italia ha il dovere di pretendere un ampio margine di autonomia e un adeguato piano di investimenti per Borsa Italiana e magari il mantenimento della collaudata ed italianissima piattaforma dei titoli di Stato, da cui dipende la capacità di monitorare l’andamento di milioni di transazioni a valere sui nostri bond, che si svolgono sui mercati secondari: una delicatissima e strategica finestra aperta in ogni istante sul nostro debito pubblico. Meglio ancora sarebbe - ma questo nulla ha a che fare con il Golden power - rientrare dalla porta principale nella stanza dei bottoni della nostra Borsa, con una partecipazione diretta di Cassa depositi e prestiti nel capitale e magari con al vertice un management italiano. Quest’ultima ipotesi richiede però una preventiva e attenta valutazione delle offerte in campo tra i possibili partner societari. Per almeno due ovvie ragioni: la prima è ridurre i rischi di vincolarsi ad una cordata perdente dal punto di vista dell’offerta economica; la seconda consiste nell’ovvia precauzione di pesare attentamente le contropartite disponibili nei tre scenari per una eventuale discesa in campo di CDP.

Il ministro Gualtieri, invece, per ragioni francamente incomprensibili, ha schierato la CDP nella cordata francese fin dal mese di agosto, con l’entusiasmo di un colonnello della Repubblica cisalpina richiamato da Napoleone per la campagna di Russia. In pratica si è mosso senza nulla sapere delle altre due offerte in corso di preparazione, né sulla disponibilità degli altri a discutere una partecipazione di CDP nel capitale. Prevengo la facile obiezione teorica, secondo cui CDP avrebbe un suo livello di autonomia che le consente di assumere iniziative senza chiedere il permesso al Ministro: si tratta di una sciocchezza proprio perché, in questo caso, è in ballo il futuro di un’azienda strategica per l’interesse nazionale e soggetta al Golden power. E’ perciò impensabile che CDP non sia stata autorizzata, se non addirittura incaricata dal ministro per la decisione di presentarsi in joint con i francesi. Ma Gualtieri si è spinto oltre, dichiarando pubblicamente nei giorni scorsi la sua preferenza, tra i tre concorrenti nella gara, per una società dell’eurozona rispetto a un concorrente extracomunitario, lanciando così uno sterile e arrogante interdetto contro gli svizzeri di Six - unici extracomunitari in gara - e dimenticando come, in fondo, anche la Borsa di Londra. cioè l’attuale proprietario che deciderà a chi vendere Borsa italiana, sia per effetto della Brexit extracomunitario. Insomma una gaffe in piena regola, che è costata al governo un paio di meritati ceffoni dal Financial times e dalla Reuters.

L’unica cosa apparentemente promettente dell’accordo con i francesi di Euronext, almeno secondo indiscrezioni attendibili, era l’intesa sugli assetti futuri, con CDP alla pari con gli omologhi della Cassa francese nel capitale, oltre il potere di designare il Presidente, lasciando l’AD ai cugini di Oltralpe. Sempre secondo questi rumors però il rischio era la sostanziale ininfluenza dei poteri della Presidenza, che i francesi pretendevano di bilanciare con un italiano di loro scelta nella plancia di comando dell’amministratore delegato. Risultavano comunque abbastanza rassicuranti le garanzie sui nuovi investimenti per la società. L’intera trattativa si è svolta almeno due mesi fa, visto che il 26 Agosto CDP e Banca Intesa erano felicemente schierati accanto all’Ad di Euronext, Stephan Boujina, in una conference call per presentare la manifestazione di interesse francese per l’acquisto di MTS, primo pezzo di Borsa italiana a finire sul mercato. Il tutto si è consumato senza alcuna comunicazione ufficiale al Consiglio dei Ministri, all’insaputa del Parlamento e addirittura all’insaputa di Consob, a cui Borsa di Londra non ha mai comunicato preventivamente, come prevede la legge, la sua intenzione di vendere un’ azienda considerata strategica per l’Italia. Il bello è che tutto è andato avanti come se non esistesse il problema della competitività delle altre due offerte in gara e nonostante da più parti si ripetesse come, proprio gli svizzeri, partissero da una valutazione più alta del valore di Borsa italiana rispetto ai concorrenti.

Così è arrivato il ceffone finale: aperte le buste delle proposte non vincolanti, l’offerta svizzera è risultata di gran lunga superiore a quella dei due competitors, distanziando sensibilmente quella italo francese. Un gelo fantozziano è disceso su via XX Settembre e sul suo sciagurato inquilino, che però ora è chiamato a superare in fretta il comprensibile imbarazzo per la figura da broccolo che ha fatto, perché nulla è ancora deciso prima delle offerte vincolanti. C’è ancora tempo per rivalutare la competitività di Euronext e comunque per riaprire, con i favoriti di Six, un dialogo costruttivo, senza dire altre amenità sulla loro condizione discriminata di extracomunitari.

Insomma il finale può ancora promettere qualche colpo di scena e poi, come ripetono sempre gli americani, non è finita finché non è finita. Per il momento ci ride dietro mezza Europa. Un mio amico giornalista inglese mi ha detto che dopo la battuta ministeriale sulle società extracomunitarie e vista l’offerta svizzera, la tentazione dei suoi connazionali di Borsa di Londra sarebbe chiudere in fretta premiando l’offerta di Six. Così - dice lui malignamente - gli inglesi avrebbero un mucchi di soldi, gli svizzeri la Borsa italiana e ai francesi rimarrebbe un nuovo Gautier sans avoir, in italiano Gualtieri senza averi. Era un cavaliere assai malmesso che nel 1096 non riuscì a far altro che guidare la crociata dei poveri, insieme a Pietro l’eremita verso un disastro totale. Speriamo abbia torto e aspettiamo di vedere come va a finire.

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