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Roma
Casa delle donne, Raggi come Marino: “Libera gli immobili e li lascia vuoti”

di Cristina Grancio *

L’episodio della Casa Internazionale delle Donne alle quali è stato dato il benservito con lo sfratto, ha lasciato sbigottiti in quanto l’attività sociale svolta dall’associazione è stata ridotta a mera contabilità di cassa. L’associazione dovrà abbandonare la propria sede storica in via della Lungara.

La Casa delle donne, come altre realtà che si occupano di sociale, fanno i conti con le necessità di bilancio del Comune di Roma. Un solo parametro per valutare la sopravvivenza di un’associazione che svolge attività di grande rilievo sociale: la voce attivo o passivo. E’ dal 2015 con la delibera 140 del Sindaco Marino che si utilizza il parametro economico per determinare la sopravvivenza di un’associazione all’interno di immobili di proprietà comunale, all’interno dei quali svolgono le loro attività, come per la Casa delle donne; decine di associazioni negli ultimi 30 anni hanno svolto con i loro servizi, utilità di altro genere diverse da quella economica: sono riuscite in molti casi a rendere vivi, spazi urbani abbandonati creando attività culturali, sportive ed educative, di protezione dei più deboli. Certo cultura educazione e protezione, specialmente se rivolti agli “ultimi” producono pochi flussi positivi di cassa e bisognerebbe quindi valutare altri flussi positivi, quelli sociali.

Il Sindaco Raggi, purtroppo non sembra discostarsi dal suo predecessore Marino, è prossimo il passaggio in Aula Giulio Cesare l’approvazione del regolamento di attuazione alla delibera avente il suddetto oggetto e le premesse non sono incoraggianti. La politica dovrebbe viaggiare forte dei principi Costituzionali della solidarietà sociale. Quella capitolina si muove a tentoni aggrappata, invece, al suo portafoglio. Il patrimonio pubblico ha un valore non necessariamente solo economico, ma può essere lo strumento per perseguire la lotta al degrado ed all’isolamento.

L’uomo è un “animale sociale”, necessita di forme di aggregazione soprattutto quando ci si trova in aree dove lavoro e famiglia risultano profondamente carenti, lì deve arrivare il sostegno della politica attraverso l’impegno dell'Ente Pubblico che svolge quelle funzioni che in una città che funziona si generano per automatismo da una economia che riesce a sostenere le necessità dei suoi cittadini.

Associazioni che rivitalizzano aree pubbliche abbandonate o dismesse per creare cultura, dialogo, assistenza, forme di socialità costituiscono gli anticorpi a quella criminalità organizzata che si insinua proprio in quelle forme di realtà umane escluse dai contesti lavorativi, sociali, culturali, per inglobarle e farle sentire parte di gruppo, un gruppo antisociale, ma pur sempre un gruppo, una comunità.

Quegli spazi capaci di generare capitale sociale, di promuovere comportamenti di cittadinanza attiva, generatori di sistemi di autogoverno ed autoregolazione ispirati alla libertà di accesso e partecipazione al sistema di valori sorretti dalla Costituzione della Repubblica Italiana possono essere considerati per vocazione spazi produttivi di uso civico e collettivo con il valore di “bene comune”.

Quello che sta succedendo in questi giorni a Roma rischia, una volta liberati gli immobili e lasciati senza una nuova assegnazione, che quei luoghi deperiscano in stato di abbandono e quel pezzo di città rimanga in una ennesima condizione di non gestione, facile preda della delinquenza.

L’esperienza napoletana sugli usi civici dei beni comuni è stata con l’amministrazione De Magistris capace di una scelta coraggiosa ed in controtendenza perché rispetto alle necessità di risanamento del bilancio in termini economici si è data una risposta in termini di risanamento del bilancio in termini sociali, unico vero obiettivo di un’amministrazione oculata.

* Cristina Grancio, consigliere DemA Gruppo misto

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