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Roma
Coronavirus: a Roma e nel Lazio le mascherine riservate agli amici del Pd

Per Nicola Zingaretti diviso tra governo del Pd e quello della regione di Roma non è bastato lo scandalo delle mascherine fantasma. E sempre in tema di Coronavirus, non basterà neanche il dietrofront sugli esami sierologici prima negati ai vigili urbani di Roma, poi per gentile concessione del capo della casta del Pd, concessi anche a loro.

Non basterà per togliergli il trono per il quale ha studiato sino dai tempi della Federazione Giovanile comunista, perché sul suo Governo non tramonta mai il sole. Meglio, la Regione Lazio che governa come un feudatario sforna a ritmo di samba leggi e leggine che, invece di semplificare la vita a 4,6 milioni di romani e di un altro milione mezzo di italiani che vive tra Montefiascone e Minturno, la complicano. Per fare un esempio, chi non ricorda la legge sulla pipì a pagamento nei bar? Fatta la legge non c'è un bar o una pizzeria che abbia imposto la tassa sull'urina, però i baristi hanno applaudito in coro. E i baristi votano.

L'ultima in ordine di tempo? La legge sulla cultura che al suo interno contiene anche un'indagine sulla soddisfazione dei clienti del sistema bibliotecario regionale con le sedi chiuse da 2 mesi.

Zingaretti è è anche il re delle deroghe alle limitazioni imposte dal virus, purché dietro ci sia un ritorno di consenso. Come nel caso della deroga a chi deve manutenere una barca, un pattino, un guscio di noce o uno yacht che, da venerdì sera è libero di correre al porto per riverniciare la chiglia. I diportisti seguono di qualche giorno gli appassionati degli orti e delle galline che per il loro hobby sono autorizzati addirittura a superare i confini regionali.

Le mascherine delle Ecotech

In una qualsiasi altra Regione del Lazio, un Governatore alle prese con una vicenda come quella della Ecotech avrebbe fatto le valige. Lui non è stato neanche sfiorato dallo scandalo e dalla Guardia di Finanza che ha acquisito i documenti, perché di fatto chi si è unto le mani di inefficienza sono quelli del “cerchietto magico”, come il direttore dell'Agenzia per la Protezione Civile, Carmelo Tulumello e il vice presidente della Giunta, Daniele Leodori.

Ecco allora come funziona il “modello Zingaretti”. La Protezione Civile combina un pasticcio apocalittico concedendo 5 milioni di soldi pubblici come anticipo per le mascherine a una società che ha un negozio virtuale di lampadine a led. Quando una consigliera dell'opposizione scopre le carte, parte la macchina della comunicazione di Zingaretti. Lo Zar non dichiara, ma affida a comunicati in terza persona precisazioni imbarazzanti e puntualizzazioni su quanto è brava la Regione Lazio, che terminano con una minaccia di portare tutti gli scettici e gli scrittori di fake news in tribunale per lesa maestà.

Ma in Regione resiste anche alla fame dei consiglieri di tutti i partiti, un barlume di democrazia. E così le fatture Ecotech e le fidejussioni diventano di pubblico dominio. E chi ci mette la faccia di fronte a media “non amici” e consiglieri regionali? Tal Daniele Leodori, un quadro del Pd della Provincia di Roma che parte da Zagarolo e prima con Enrico Gasbarra a “palazzo” Valentini e poi con lo stesso Zingaretti dalla Provincia di Roma, fa carriera. Sino a quando le sue qualità da statista e il camion di voti lo portano a diventare segretario provinciale del Pd e poi presidente del Consiglio regionale. Nell'ultimo rimpasto, Zingaretti lo trascina in Giunta e lo incorona “vice” ma gli rifila anche la difesa d'ufficio della polpetta delle mascherine. Il dottor Leodori alla fine di 4 ore di Commissione crolla e ammette che la vicenda è un pasticcio, ma solo ispirata dalla necessità di acquistare mascherine per tutti. E promette che arriveranno. Sarà smentito dalla fidejussione farlocca e dal successivo dietrofront con il quale (nella notte del 24 aprile) la Regione Lazio decide che l'incauto acquisto potrebbe tramutarsi in una truffa e minaccia di scatenare gli avvocati se non riavrà indietro i soldi. Tecnicamente e alla luce dei fatti, dovrebbero essere i cittadini del Lazio, a partire dai medici e dagli infermieri, a trascinare gli attori della farsa in tribunale, ma questo accade solo nei mondi normali.

Gli esami sierologici alle forze dell'ordine

Nicola Zingaretti spesso se lo dice da solo quanto è bravo. E lo fa auto elogiando la Regione Lazio che è brava bella e buona e organizza il più grande screening sanitario d'Italia dopo la fine della Leva obbligatoria. Solo a un distratto può sfuggire infatti che a Roma esiste la concentrazione più alta del Paese di donne e uomini in divisa ma Papà Nicola pesta un merdone epocale: si scorda dei Vigili Urbani che valgono quanto un esercito e così il giorno dopo invece di chiedere scusa li riammette all'esame del sangue con una nota ufficiale in terza persona.

La sua faccia non c'è. I mal pensanti vedono dietro l'esclusione della “potente” Polizia Locale, alcuni elementi tipici della politica zingarettiana. Come è accaduto per i rifiuti a luglio dello scorso anno, quando a colpi di ordinanze stava per far cadere la Raggi, anche i vigili potrebbero essere una leva di governo. Intanto li controlla la Raggi e quindi escluderli potrebbe significare che la Raggi non li protegge, poi al vertice c'è un comandante noto più per i suoi modi da “pre 25 aprile”, che per la sua lungimiranza organizzativa, quindi si assesta anche un colpetto a destra. Infine, e qui la politica compie il suo capolavoro, riammetterli al prelievo del sangue, significa salvarli a fronte di un sindaco che passa il suo tempo sui social a decantare metro per metro l'asfalto rinnovato e le nuove strisce pedonali. Visto che in politica vige la regola della sintesi, il merdone dell'esclusione viene ribaltato e diventa un atto di Nicola il magnanimo che salva i vigili dal Coronavirus.

Mascherine per tutti. Soprattutto se amici

Non c'è ospedale a Roma e nel Lazio che non abbia fatto richiesta di avere mascherine: dalle chirurgiche sino alle più costose e protettive Ffp2, per finire con le spaziali Ffp3. Le vogliono tutti ma le hanno avute in pochi, anche perché i primi che hanno fatto la “scorta personale” sono gli illuminati del cerchio magico. Ecco allora che dal file dei dispositivi di protezione acquistati e distribuiti dalla Regione Lazio, escono gli “amici “di Zingaretti.

file mascherine
 

Nella distribuzione dei Ddpi c'è qualcosa che non torna. Perché un bel po' di mascherine transitano direttamente dalla Protezione civile agli uffici regionali che, in teoria, dovrebbero avere la maggior parte del personale in smart working. Nonostante questo, la Presidenza della Giunta riceve 400 mascherine chirurgiche e 300 a 3 strati, alle quali si aggiungono altre 1000 a 3 strati ma sotto la voce ”Giunta Regione Lazio”. Ma c'è poi anche la voce “Presidenza Regione Lazio” che vince alla lotteria 500 mascherine a 3 strati e 7 mila monovelo.

Attenzione però: nell'elenco c'è anche una nuova voce ed è quella della vicepresidenza della Regione Lazio che si aggiudica 1000 mascherine monovelo a 3 strati. A meno che qualcuno dei dipendenti non abbia preso l'impegno di rifornire il condominio, la vicepresidenza dovrebbe essere a posto almeno sino alla fine del mese di luglio.

Ma nell'elenco reso noto dalla consigliera della Lega, Laura Corrotti, c'è una bizzarra dotazione di presidi da parte della Regione Lazio che finisce negli uffici del Primo Municipio, quello della Pd, Sabrina Alfonsi che riceve una scatola con ben 1000 mascherine chirurgiche. Strano che la Regione pensi ad un unico Municipio di Roma, al quale tecnicamente dovrebbe provvedere il Campidoglio, attraverso la dotazione complessiva del Comune. Peccato che i Municipi di Roma siano 15 e che la dotazione di dpi per la Protezione Civile di Roma Capitale abbia avuto dalla Regione 1000 mascherine a 3 strati, 2400 chirurgiche e 2000 guanti in nitrile.

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