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Roma
Coronavirus, gli spot in tv inseguono i decreti. Trionfa l'orgoglio nazionale

di Valentina Renzopaoli

Spot ah hoc nel momento del lockdown, nuovi brand nel mercato pubblicitario, una linguaggio nuovo che si è dovuto adattare al momento e al trauma psicologico del Paese. L'emergenza Coronavirus ha rivoluzionato anche il mondo della pubblicità, facendo scattare una reazione comunicativa che ha cambiato il suo linguaggio.

Fabrizio Razza, Executive producer di Filmmaster Productions , casa di produzione leader nella realizzazione di spot pubblicitari e progetti di brand marketing, ha analizzato per Affaritaliani quello che è successo.

Fabrizio Razza, che cosa è accaduto nel mondo della pubblicità negli ultimi tre mesi?

“La crisi planetaria ha suscitato emozioni e sentimenti profondi, come sempre accade nei momenti di grande difficoltà. E anche la comunicazione creativa e pubblicitaria ha risentito di questa forte emotività, diventando un vero e proprio vettore di una serie di valori che hanno esaltato la collettività, la speranza, l'unione delle persone, la necessità di pensare positivo e anche l'identità nazionale. Ad un tratto, ci siamo sentiti tutti “orgogliosamente italiani” e anche la pubblicità ha espresso questo concetto. Insomma, c'è stata una vera e propria reazione comunicativa che ha caratterizzato la prima fase dell'emergenza”.

Non avete avvertito il rischio che il pubblico venisse assuefatto o, peggio, annoiato da questo tipo di messaggio?

“Questo rischio c'è stato. Tra i brand della prima ora che hanno deciso di lanciare prodotti inediti e quelli che si sono adeguati successivamente, è trascorso un po' di tempo, generando un'onda lunga che, ad un certo punto, ha suscitato nel pubblico una sensazione di ridondanza degli stessi concetti. In questo senso, lo spot del caffè Lavazza, che utilizza il discorso al dittatore di Charlie Chaplin, forse, rappresenta il clou e la sintesi delle campagne uscite in questo periodo, chiudendo, in qualche modo, questa tendenza”.

Perché? Cosa è successo dopo?

fabrizio razza filmaster 02
 

“Possiamo dire che la pubblicità si è mossa al ritmo dei decreti. E questa situazione ha accorciato la vita degli spot che vengono consumati all'occorrenza, seguendo il ritmo dell'uscita dei decreti del Governo. La prima reazione comunicativa è scattata nel momento in cui è stato emanato il decreto che ha determinato, per la prima volta nella storia del nostro Paese, una restrizione così pesante delle nostre libertà tale da far scaturire pensieri sensibili ai valori primari ed emozionali. Ma dopo l'emozione e il momento della sensibilità comune, è arrivato il momento della ripartenza e anche la pubblicità, da un paio di settimane a questa parte, cerca di esprimere questa esigenza”.

Investire in nuovi prodotti pubblicitari a questo ritmo non è per tutti. Quanti sono stati i brand che hanno deciso di convertirsi e adattarsi al “nuovo mondo”, si può fare una stima?

“Non è facile da dire, ma possiamo affermare che siano stati poco meno della metà”.

Sugli schermi televisivi si sono affacciati brand fino a poco tempo fa sconosciuti e altri, molto noti, sono scomparsi...

“La crisi che ha colpito il comparto in generale, compresa la vendita degli spazi televisivi, i cui prezzi sono crollati, ha consentito a molti brand minori, che fino a poco prima non potevano permettersi di accedere agli spazi televisivi, di affacciarsi a questo tipo di comunicazione. Questa situazione ha portato un avanzamento dei brand poco conosciuti e anche ad un cambiamento della tipologia di brand. Il comparto dell'automotive, ad esempio, è pressoché scomparso, almeno nella prima fase; al contrario, il settore agroalimentare, che ha risentito meno del calo delle vendite, è stato più protagonista, facendo emergere prodotti o catene di supermercati che non erano mai stati promossi prima in televisione”.

Quali sono state le difficoltà operative per continuare a lavorare? Quali soluzioni avete trovato per realizzare i nuovi prodotti audiovisivi durante il lockdown?

“Insieme all'Associazione delle case di produzione pubblicitarie CPA ci siamo messi al lavoro per trovare soluzioni e nuove modalità di lavoro che potessero risolvere in parte i problemi nati dalle norme di sicurezza anti Covid. In teoria, l'operatività di questo settore, secondo i codici Ateco, non è stata mai bloccata; ma di fatto, dal punto di vista pratico, lo stop è stato inevitabile; impossibile lavorare su un set senza creare assembramenti di persone. Questo ci ha costretti a inventarci una serie di iniziative e invenzioni. In primo, luogo, si sono organizzati set casalinghi, dove girare scene con una sola persona; in alcuni casi, sono state utilizzati nuclei famigliari completi, madre, padre e figli etc.

La Filmmaster Productions, ad esempio, ha realizzato proprio nella fase del lockdown lo spot di Parmacotto: le scene sono state girate da diversi filmaker in varie zone europee, e dirette a un regista che supervisionava il lavoro da remoto. Insomma, una “regia virtuale”. Abbiamo montato lo spot facendo un mix tra il materiale realizzato ed immagini di repertorio. Gli interessati del progetto seguivano lo shooting, da remoto attraverso una piattaforma digitale. Dalla macchina da presa usciva il segnale video che si connetteva nel link della video call.”

Queste nuove modalità hanno portato ad un abbassamento dei costi e dei budget?

“Certamente questo tipo di produzione ha dei costi molto inferiori, causando un grave danno: quello di lasciare a casa figure professionali e maestranze fondamentali per realizzare un prodotto di qualità. E’ un metodo che non può essere replicato al di fuori di questa emergenza, distruggerebbe la qualità del prodotto finale e appiattirebbe di molto la creatività, il nostro lavoro è molto artigianale, va modellato da tutte le figure professionali”.

Si può fare una stima dei lavoratori del vostro settore che sono rimasti senza lavorare in questo periodo?

“Circa il 90%-95% dei lavoratori del settore sono stati bloccati: la produzione di spot si avvale di figure professionali del mondo cinematografico ed audiovisivo, un settore che si è paralizzato totalmente e che, con grande probabilità, non riuscirà a ripartire con le normali procedure, neanche a settembre. Nell’industria delle serie, di fatto, ci sarà un “buco” produttivo che renderà impossibile, al momento, stabilire i palinsesti del 2021. L'unica speranza è che, nel corso del 2021, grazie anche al sostegno che deciderà il Governo e alla ripresa delle attività, ci sia un boom delle produzioni, i broadcaster dovranno accaparrarsi il numero più alto possibile di progetti per compensare la non attività del 2020. Ovviamente, sempre se ci saranno soggetti capaci di investire sulle opere artistiche e cinematografiche”.

Facciamo un salto nel futuro e pensiamo alla terza fase? Cosa accadrà, secondo lei?

“Bisognerà vedere quanto sarà grave la crisi, che tipo di tenuta avranno le aziende in generale. Quali saranno gli aiuti che metterà in campo il Governo, quanto le famiglie saranno in grado di spendere e di movimentare i consumi e, quindi, il mercato. Insomma, bisognerà capire bene quale sarà e quale è stato il danno del lockdown”.

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