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Roma
Coronavirus: il Consiglio comunale di Roma come un Truman Show senza pubblico

di Cristina Grancio *

L’emergenza Coronavirus tenta di ridurre i consigli comunali e regionali ad un Truman Show, nonostante il nostro ordinamento concede al sindaco, in questi casi, poteri speciali.

In questi ultimi giorni di Assemblea Capitolina, nelle Conferenze dei Presidenti dei Gruppi Capitolini, a causa dell’emergenza del Coronavirus, è emersa la volontà di effettuare le sedute dell’Assemblea Capitolina senza pubblico interpretando la congiunzione “anche” presente  nell’art. 30 del Regolamento Comunale ( a mente del quale “Le sedute del Consiglio Comunale sono pubbliche […]. La pubblicità è assicurata anche mediante la trasmissione , in diretta e non, delle sedute sul sito istituzionale dell’Ente”), non come la possibilità di assicurare la pubblicità inderogabilmente con la presenza del pubblico ed in più anche con lo streaming, ma come la possibilità che fosse lo streaming a garantire la pubblicità della seduta. 

Non posso non esprimere la mia perplessità e il mio disappunto in merito a questa scelta interpretativa che equipara la partecipazione del pubblico al concetto di pubblicità espresso dal Codice degli Appalti, dimenticando che la partecipazione politica deve certamente essere improntata alla trasparenza, ma quest’ultima non può essere garantita da una riunione in streaming o da una videoconferenza e, soprattutto, non può esaurirsi in queste forme, perché vi è indubbiamente una bella differenza tra una riunione in diretta video ed una dal vivo, così come una cosa è scegliere di vedere una partita di calcio dal vivo, altra cosa vederla  con la mediazione della TV che sceglie quali inquadrature offrirti o quale azione raccontarti tramite il telecronista.

La “democrazia rappresentativa” (perché questo siamo e giova ribadirlo) ci delega la possibilità di esprimere una scelta politica, ma non ci delega a fare politica al posto di qualcun altro e, soprattutto, non limita la possibilità del cittadino di poter fare politica attraverso la scelta di partecipare fisicamente all’iter formativo della posizione politica che l’eletto è chiamato a manifestare.  

Già il fatto che si sia stabilito che l’Assemblea si tenesse a porte chiuse piuttosto che contingentare gli ingressi nel rispetto dei contenuti del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri  costituisce a mio parere una grave violazione dei diritti del cittadino romano, soprattutto quando l’Aula Giulio Cesare, con l’adozione degli ingressi contingentati, avrebbe permesso, viste le sue dimensioni, il rispetto delle direttive stabilite di mantenere la distanza di 1 metro; ma, come se non bastasse, apprendo (agenzia Adnkronos del 15 marzo) che si sta pensando di introdurre, attraverso un Decreto del Consiglio dei Ministri, la possibilità di tenere le sedute d’aula dei consigli comunali e regionali in videoconferenza: anche se la cosa non mi stupisce, dato che tale volontà era già emersa in sede di Conferenza dei Presidenti dei Gruppi Capitolini, siamo evidentemente al paradosso assoluto.

Qualche considerazione a questo punto è d’obbligo. Prima di tutto bisogna capire cosa rappresenta un consigliere comunale in aula: se è espressione di un datore di lavoro e può fare  smartworking o se è espressione di quella esigenza umana rappresentata dalla necessità di socialità la cui sintesi si rinviene nella capacità della politica  di rappresentarla e la cui essenza viene espressa proprio attraverso  la presenza fisica in aula. 

La politica è infatti l’espressione dell’uomo sociale e non dell’uomo social.

E allora la domanda è: è necessario convocare con regolarità il Consiglio durante una situazione di emergenza sanitaria quando le funzioni di quell’emergenza sono, in base alle norme ordinarie e costituzionali, trasferite al sindaco che assume funzioni di ufficiale di Governo che, infatti, può emanare ordinanze contingibili ed urgenti con efficacia estesa al territorio comunale? 

In questi casi la catena di comando deve essere ben individuata, come già di fatto e di diritto lo è, ed appare pericoloso spezzarla. Si convochino, pertanto, i consigli veramente indispensabili nel rispetto del metro di distanza come è già stato fatto e nei comuni con aule non idonee si cerchino aule più grandi.

Non posso nascondere il mio personale timore che tutto questo possa costituire solo l’anticamera di quello che accade nelle situazioni di emergenza e cioè il tentativo di smantellare pezzo dopo pezzo gli strumenti della democrazia.

Sandro Pertini diceva che “quando parliamo di democrazia siamo tutti in malafede: democrazia significa governo del popolo ma se governasse il popolo non governeremmo noi”. La democrazia, però, come ha detto una volta il grande cineasta americano Michael Moore, non è uno sport da spettatori: se tutti stanno a guardare e nessuno partecipa, non funziona più. La partecipazione, allora, non può che essere effettiva e quindi fisica. 

La politica non è un Truman Show, in cui tutto sembra vero ma è solo una falsa rappresentazione della realtà: “è tutto reale, è tutto vero, non c'è niente di inventato, niente di quello che vedi nello show è finto, è semplicemente controllato”, rassicurava il demiurgo Ed Harris mentre manipolava la vita di Truman. La politica è condivisione, partecipazione e soprattutto chiarezza dei contenuti, che devono essere accessibili e trasparenti e non consapevolmente celati sotto la coltre di non meglio precisate piattaforme virtuali.

Mi piace infine richiamare una dichiarazione del Papa, secondo cui “in tempo di pandemia non si deve fare il don Abbondio”. Credo che questo autorevole monito possa e anzi debba estendersi ai rappresentanti dell’Aula Giulio Cesare, che devono poter svolgere le proprie funzioni in sicurezza senza alcuna necessità di ricorrere ad uno strumento solo apparentemente trasparente come la videoconferenza che concentrerebbe la garanzia del regolare svolgimento della seduta nella sola buonafede del  presidente della riunione e del segretario comunale,  nel rispetto che si deve a chi, come medici, infermieri e lavoratoti delle filiere ritenute essenziali, continua a svolgere quotidianamente il proprio lavoro.

* Cristina Grancio, consigliere DemA Gruppo misto

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