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Roma
Coronavirus: “Positivo ma abbandonato da Regione e Asl”. Scattano le querele

di Federico Bosi

Positivo al Coronavirus ma abbandonato in una struttura privata scelta dalla Regione Lazio come centro per la quarantena. Dopo la degenza allo Spallanzani, il 48enne per l'Asl diventa un fantasma: mai comunicato il trasferimento nella nuova sede e l'esigenza di fare un nuovo tampone per vedere se il Covid-19 era stato sconfitto. Scattano le querele.

 

A raccontare la storia di questo uomo, marito e padre di tre figli, sono la moglie ed il suo legale, l'avvocato Michela Scafetta.

Luca contrae il Coronavirus

Questa persona, che chiameremo Luca per non rivelare la sua identità, appena si è resa conto di poter aver contratto il Coronavirus di rientro da una settimana bianca si è messa subito in isolamento domiciliare unitamente alla sua famiglia, composta da moglie e tre figli. Aveva i sintomi classici, febbre e tosse. Al terzo giorno di febbre e tosse, lunedì 9 marzo, si rivolge al suo medico di famiglia per attivare il protocollo di effettuazione del tampone domiciliare. Il suo medico avvia la procedura ma a distanza di tre giorni la Asl di zona neppure lo contatta. Il quarto giorno finalmente la Asl telefona per sapere se respira bene, in barba al fatto che oramai sono 9 giorni che ha la febbre ininterrotta. La febbre persiste, ma l'Asl non effettua la sorveglianza attiva.

L'avvocato entra in gioco e invia una Pec alla Asl

L'avvocato Scafetta inizia allora ad inviare Pec direttamente alla Asl per avere aggiornamenti specifici sul caso: “A quel punto gli consiglio di fare la segnalazione del caso al 118 e al 112 ed inizio a scrivere la mia prima Pec alla Asl. La mail non verrà mai riscontrata però perché il responsabile era assente dal posto di lavoro per imprecisati motivi personali. Il sabato successivo, dopo 12 giorni di febbre, Luca tossisce sangue. Io a quel punto gli consiglio di richiamare il medico di famiglia per valutare il suo stato di salute. Il medico arriva a casa di questi ragazzi senza grosse protezioni e conferma che i polmoni non sono intasati. Della Asl ancora nessuna traccia. Alle 14:30 del sabato Luca ha di nuovo la febbre alta”.

Finalmente il ricovero in ospedale

Dopo 12 giorni di agonia, Luca si reca in ospedale nella speranza di poter essere curato. “Recatosi all'Ospedale San Pietro – continua l'avvocato –, gli viene fatta immediatamente una Tac che gli riscontra una polmonite interstiziale bilaterale. Subito dopo gli viene fatto il tampone, con esito positivo. Ventiquattro ore dopo il trasferimento allo Spallanzani. Ma anche il ricovero nel nuovo ospedale è complicato. Quel giorno, domenica 15 marzo in tutta Roma c’è una sola ambulanza che sposta i malati infettivi tra i vari ospedali. Intanto, l'Asl continua a latitare, nonostante le regole della sorveglianza attiva domiciliare.

Il tampone domiciliare ai familiari

La famiglia di Luca è abbandonata in casa, con una serie di sintomi tipici del Coronavirus, senza sapere se moglie e figli sono positivi o negativi alla malattia. “A distanza di 15 giorni, il 17 marzo, la Asl si ricorda del paziente e lo chiama. Luca a questo punto gli dà il mio numero – spiega ancora il legale –. La Asl non vuole fare il tampone alla famiglia di Luca perché loro respirano bene, indipendentemente dalla febbre. Ovviamente, io chiarisco agli operatori del servizio sanitario i termini della delicata questione anticipata 15 giorni prima via PEC e loro 'scendono a miti consigli', la famiglia di Luca dopo due giorni riceve il tampone. Di lì a qualche giorno l’esito: i figli negativi, la moglie positiva al gene N del virus. La legge dice che dopo 10 giorni deve rifare il tampone che puntualmente viene effettuato, ma solo dietro mia sollecitazione e minacce di querela”.

Il trasferimento presso una struttura privata

Le avventure di Luca però non finiscono allo Spallanzani. Dopo aver iniziato la terapia antivirale e dopo aver recuperato buona parte delle sue condizioni fisiche, viene dimesso e trasferito in una struttura privata che accoglie i pazienti Covid-19 in attesa di tampone negativo. È qui che Luca viene abbandonato a se stesso. “Acqua sanitaria fredda, non può farsi la doccia, acqua da bere poca e razionata. Luca mi chiama – prosegue l'avvocato Scafetta – ed io inizio a chiamare e scrivere, ma sembra che nessuno sia in grado di accogliere le mie richieste. Dietro quelle mura solo trascuratezza, abbandono e disperazione di chi deve combattere contro un virus e contro un sistema che non funziona. Dopo sei giorni in questa struttura, nessuno gli va a fare il tampone per capire se è negativo per poter tornare alla vita quotidiana. Il medico presente in struttura, che è quasi invisibile, ogni giorno dice che l'Asl forse sarebbe andata il giorno successivo. Inizio a scrivere Pec alla Regione Lazio che sta sovvenzionando questa struttura pagando somme decisamente elevate per ciascun paziente, al Comune di Roma e all'Asl di competenza. Dopo una serie di email che ipotizzano reati pesanti come il sequestro di persona, vengo contattata da una dirigente dell’Asl che mi dice: 'Avvocato, ci dica cosa vuole e lo facciamo, basta che chiudiamo questa storia'. Da questa lunga chiacchierata emerge che Luca non è mai stato inserito nell’anagrafe dei tamponi. Né lo Spallanzani né questo centro privato hanno segnalato Luca come bisognevole di tampone. Delle due l’una: o si sono dimenticati oppure nessuno aveva interesse a che Luca facesse un tampone e lasciasse quella stanza che porta nelle casse della struttura svariate migliaia di Euro al mese. Se Luca non mi avesse incaricato ed io non avessi fatto questo pandemonio di email e Pec, Luca sarebbe rimasto, chiuso in quel posto per un tempo indeterminabile, come sta succedendo agli altri 60 pazienti ivi ricoverati. In questa struttura c’è gente che attende di effettuare il test da diverse settimane”.

Un nuovo trasferimento

Dopo due ore dalla telefonata tra l'avvocato e l'Asl di competenza, viene rilasciato il nullaosta a Luca per andare in un’altro centro di quarantena a sua scelta. Luca viene prelevato da questo posto terribile e portato da un ambulanza presso un'altra struttura dove attenderà in maniera umana che gli venga fatto il tampone per vedere se il virus è stato finalmente sconfitto.

L'ora della querele

L'avvocato Scafetta insieme a Luca hanno deciso di querelare la struttura privata che ha completamente abbandonato Luca a ste stesso nel momento in cui si iniziava ad intravedere la luce infondo al tunnel Covid-19. “La Asl – dice l'avvocato – non è mai stata avvisata del trasferimento dell'uomo, quindi non ha colpe”.

Tutta la rabbia della moglie

“Quello che mi ha fatto più arrabbiare – spiega ad Affaritaliani la moglie di Luca – è che mio marito è stato abbandonato una struttura che pensava solo a fare i propri interessi. Non me la voglio prendere con la Asl, che ha solo 15 tamponi al giorno da fare e privilegia le persone malate di tumore che devono spostarsi per fare le chemio oppure dei malati con sintomi più gravi. L'Asl non ha mai saputo che Luca era stato trasferito dalla Spallanzani perché la casa di cura non glielo ha mai comunicato. L'unica cosa che l'Asl non ha fatto è stata quella di comunicare della nostra infezione alle persone con cui avevamo avuto contatti nei giorni precedenti ai primi sintomi. Abbiamo dovuto chiamarle noi una ad una. Stessa cosa per le persone che lavorano con me e mio marito, che sono state messe in quarantena fin dal primo giorno. Nessuno di loro ha avuto sintomi, nemmeno il medico che è venuto a visitare mio marito a casa”.

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