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Roma
Cucchi bis, il processo trasloca alla prima corte d'assise di Roma

Sara' la prima corte d'assise di Roma ad occuparsi del processo bis che vede imputati i cinque carabinieri per il pestaggio e la morte di Stefano Cucchi, il geometra di 32 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Sandro Pertini di Roma, sei giorni dopo essere stato arrestato per possesso di droga.

 

Lo ha deciso il presidente del tribunale Francesco Monastero che ha recepito la volontà di astensione per incompatibilità manifestata dal presidente della terza corte d'assise Evelina Canale che aveva già trattato il primo processo, quando sul banco degli imputati c'erano tre agenti di polizia penitenziaria e nove tra medici e infermieri della struttura protetta dell'ospedale.

Il dibattimento avrà inizio il 16 novembre prossimo a piazzale Clodio e non più nell'aula bunker di Rebibbia.

Con l'allungamento dei tempi, il rischio concreto è che altri reati, come la calunnia e il falso in atto pubblico, contestati ai militari che arrestarono Cucchi possano cadere in prescrizione prima che il giudizio diventi definitivo.

Il processo

Secondo quanto accertato dalla Procura, di omicidio preterintenzionale devono rispondere i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco. A loro e' attribuito il pestaggio di Cucchi "con schiaffi, calci e pugni", che provoco', con "una rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale", lesioni in parte guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti, che poi, "unitamente alla condotta omissiva dei sanitari del Pertini che avevano in cura il ragazzo" hanno portato alla morte. I tre militari sono accusati anche di concorso nel reato di abuso d'autorità aggravato dai futili motivi, in relazione alla resistenza posta in essere da Cucchi al momento del fotosegnalamento presso i locali della compagnia di Roma Casilina il 16 ottobre del 2009. I tre militari, in servizio presso il Comando Stazione di Roma-Appia, avrebbero sottoposto il ragazzo, temporaneamente affidato alla loro custodia in quanto in stato di arresto, "a misure di rigore non consentite dalla legge". Il falso e la calunnia, invece, sono contestati allo stesso Tedesco e al maresciallo Roberto Mandolini (che comandava la stazione Appia dove nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 venne fatto l'arresto) e, solo per il secondo reato, al carabiniere Vincenzo Nicolardi. Il reato di falso e' legato al verbale di arresto in cui si "attestava falsamente" che Cucchi era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento: circostanza che per i magistrati non e' vera ma che ha rappresentato la ragione del pestaggio di Cucchi, ritenuto "non collaborativo" a quel tipo di operazione.

Mandolini e Tedesco, poi, non avrebbero verbalizzato la resistenza opposta dal geometra nella stazione dei carabinieri dove venne portato per il fotosegnalamento, e avrebbero "attestato falsamente" che Cucchi non aveva voluto nominare un difensore di fiducia. La calunnia, invece, e' legata alla varie testimonianze rese al processo svoltosi davanti alla terza Corte d'assise dove erano imputati tre agenti della polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, parte civile nel processo che si dovra' aprire, assieme alla famiglia Cucchi), sempre assolti nei vari gradi di giudizio: Tedesco, Mandolini e Nicolardi, "affermando il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009" accusavano implicitamente i tre poliziotti, pur "sapendoli innocenti", delle botte inflitte al detenuto.

Gli imputati, dal canto loro, si sono sempre dichiarati estranei alla ricostruzione dei fatti operata dagli inquirenti. I loro difensori hanno indicato nella lista dei testimoni da citare in aula quasi 200 nomi e sono pronti a tornare alla carica chiedendo una nuova perizia medico-legale dopo quella, disposta dal gip in sede di incidente probatorio, che escluse un nesso tra il violento pestaggio e il decesso di Cucchi. Il geometra sarebbe morto improvvisamente di epilessia, ritenuta dagli esperti del giudice la causa "dotata di maggiore forza e attendibilita'" rispetto alle altre. Una conclusione che pero' il pm Francesco Musaro' ha preferito ignorare non ritenendola attendibile dal punto di vista scientifico e alla luce degli elementi probatori acquisiti.

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