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Roma
Emergenza casa, invalido dimenticato dal Comune: aspetta un tetto dal 2012

di Patrizio J. Macci

Massimo (il nome è di fantasia) è un signore dagli occhi gentili classe 1947 che sorride sempre, anche se avrebbe tutti i motivi per essere imbufalito con il Sindaco di Roma, anzi ne avrebbe il diritto sacrosanto: il Comune dovrebbe consegnargli le chiavi della sua casa ma quel giorno sembra non arrivare mai.

 

Tecnicamente il Dipartimento delle politiche abitative per le sue gravissime patologie fisiche che lo rendono invalido al 100% nell’ultimo Bando del 2012, per l’assegnazione di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica, gli ha dato 52 punti che lo collocano al sessantaseiesimo posto tra quelli che dovrebbero ricevere un’alloggio popolare. Un ottimo posizionamento dicono gli esperti in materia. Questo perché ha un cuore malandato con tre stent coronarici e una cartella clinica composta da diverse pagine fitte di termini medici molto poco rassicuranti. Massimo è costretto per le sue patologie a ingerire ogni giorno dieci pillole, non può salire più di una rampa di scale senza affaticarsi. Ha bisogno di essere seguito costantemente, ha avuto sincopi e svenimenti certificati da cartelle cliniche.

Eppure con estrema pazienza ogni tre mesi dal 2017 si reca in un ufficio del Comune di Roma dove gli ripetono che “deve aspettare di essere chiamato”. Massimo dal 1955 abita ad Acilia e, “testiculis tactis”, “qui vorrebbe morire” lo sussurra con un sospiro e la stanchezza di chi sente il peso di una battaglia contro un nemico peggiore di qualsiasi male fisico: la burocrazia.

Nella sua vita ha conosciuto la “deportazione” della vita in caserma perché è un profugo Giuliano-Dalmata come da certificato e ha assaggiato i pavimenti gelati della Caserma La Marmora prima che alla sua famiglia venisse assegnata una casa popolare nel 1954. Da quel giorno ha sempre lavorato e ora vive con la sua modesta pensione, ma ha due spade di Damocle che gli pendono sulla testa: la salute instabile e l’alloggio di fortuna dove vive che presto dovrà lasciare. Massimo rischia di dormire su una panchina della piazzetta dove lo incontro e mi racconta la sua odissea.

Sorride mentre mi mostra, oltre alla documentazione della sua lotta, il ritaglio di giornale dove c’è scritto che il Comune è impegnato alacremente a recuperare gli alloggi dopo il decesso degli assegnatari, “per evitare occupazioni da parte di abusivi e darli a chi ne ha diritto”. Nel suo quartiere ce ne sono alcuni chiusi e sprangati da mesi che sembrano essere stati completamente abbandonati. Nessuno è venuto mai a visionarli o reclamarli e non si riesce a capire perché uno non possa essere assegnato a Massimo in tempi brevi. Nessuno riesce a dare a Massimo una data anche se indicativa di quando potrà avere un tetto definitivo sulla testa.

La sua vicenda somiglia a un atto unico di Pirandello ma i personaggi sono fatti di carne e ossa, come ne “L’uomo dal fiore in bocca”. Qualcuno è passato e gli ha lasciato non uno ma due fiori destinati a schiudersi. Basterebbe poco a far sbocciare prima quello della casa. I tempi della burocrazia, invece, stanno travolgendo quelli della vita di un uomo.

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