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Roma
Espulso dal M5S perché accusato di aver negato l'Olocausto: vince la causa

Quando lo esclusero dal M5S scoppiò una bufera mediatica: Antonio Caracciolo, professore alla Sapienza da più di 20 anni, era stato accusato di aver negato l'Olocausto e per questo la rete aveva preteso da Grillo l'espulsione. Ora il Tribunale di Roma da' ragione a lui e a Roberto Motta, un altro espulso, e condanna i 5 Stelle a pagare 30 mila euro di spese legali.

 

I due non avevano potuto partecipare alla corsa per il Campidoglio nella squadra di Virginia Raggi perché erano stati estromessi dal M5S. Per primi fecero causa al Movimento e ora, a un anno e mezzo di distanza, possono dire di aver vinto la propria battaglia.

Caracciolo, nelle interviste che erano seguite allo scandalo, si era difeso rimarcando di non aver mai detto che Olocausto e camere a gas non erano mai esistite. Secondo il professore, all'origine del malinteso c'era un articolo del 2009 di Repubblica, in cui venivano manipolate le sue parole. Dal procedimento disciplinare alla Sapienza, però, ne era uscito pulito, con una piena assoluzione. Ai giornalisti che gli hanno chiesto nuovamente se fosse negazionista o meno, Caracciolo aveva risposto di respingere il termine “negazionista”, in quanto concetto politico.

Lorenzo Borrè, legale di Caracciolo e Motta, ha sottolineato come la sentenza abbia anche riconosciuto ai due militanti il loro diritto di elettorato passivo nelle primarie del 2016, da cui erano stati esclusi a seguito delle espulsioni.

Il professore Antonio Caracciolo ha contattato la redazione di Affaritaliani per alcune precisazioni riguardo al caso che lo riguarda.

"La vicenda che mi riguarda ha una sola causa e una sola origine: l'articolo apparso il 22 ottobre 2009, dunque ad  8 anni fa, non più di 20, apparso su Repubblica, dove mi si attribuivano inesistenti lezioni alla Sapienza. La "fama” fu costruita di sana pianta dall'articolista che allora scriveva su Repubblica e che ora è passato al Messaggero, da dove continua di tanto in tanto con eguali sortite. Esiste poi una rete collegata a comuni interessi e volta ad alimentare la “leggenda”.

Ma 20 anni sono davvero troppi e l'«accusa» era solo un “addebito” disciplinare per l'articolo apparso su Repubblica, del quale mi è stato chiesto conto dal Consiglio di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale, ed al quale ho dato conto, venendo assolto con formula piena per inesistenza del fatto e del diritto".

La sentenza può essere letta per intero all'indirizzo: https://civiumlibertas.blogspot.it/2018/02/sentenza-di-merito-nella-causa.html

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