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Roma
Ex Mercati Generali, appello di Giro: “Si chiuda il cratere nel cuore di Roma”

Roma, come tutte le grandi città e capitali europee, ha vissuto delle profonde trasformazioni urbanistiche. Ma è un fatto che le modifiche più significative al suo profilo urbano Roma le abbia ricevute nel passato, dal periodo post-unitario con l'arrivo degli architetti del nuovo Regno d'Italia fino al secondo dopoguerra quando partì la grande sfida della ricostruzione nazionale, fino all'evento della Roma olimpica nel 1960, forse il punto più alto per la visione di una Capitale di rango europeo.

Da allora molto tempo è fuggito via, senza che la Capitale abbia profittato dell’innovazione architettonica che invece ha attraversato tante capitali consorelle, soprattutto europee, modificando il loro volto. Anche Milano, restando in Italia, ha saputo cogliere, meglio e più di Roma, la sfida del cambiamento.  Le grandi opere dell'Auditorium, del Macro, della Pelanda a Testaccio, dell'Ara Pacis, il Maxxi e del Ponte della Musica sono le ultime realizzate nella Capitale e ormai lontane nel tempo. E richiesero tempi lunghi per una burocrazia asfissiante e una classe dirigente, politica e amministrativa, non sempre all'altezza dei suoi compiti, e comunque dimostrarono, come scrive Giuseppe Pullara sul Corriere della Sera “che solo la chiamata a raccolta delle forze migliori può consentire che a Roma si riescano non solo a concepire ma anche a realizzare progetti strategici”.

E oggi questa condizione non esiste. Non esisteva prima dell'emergenza sanitaria ed economica del Covid 19 e tanto meno esiste oggi che le risorse finanziarie scarseggiano, sia nel versante pubblico che in quello privato e che l'amministrazione comunale appare lacerata al suo interno quando si affrontano progetti urbanistici che richiedono un minimo di visione e di coraggio. Fra i progetti che hanno subito una serie innumerevole di rinvii c’è sicuramente la riqualificazione e la rigenerazione urbana dell'area degli ex Mercati Generali sull’Ostiense.

Era il 2003 quando prese le mosse con il sindaco Veltroni dopo la chiusura, un anno prima nel 2002, dei Mercati Generali che dalla fine dell'800, per più di cento anni, avevano accolto i prodotti dei contadini e i banchisti per i loro acquisti da distribuire nei mercati rionali, in ogni angolo della città . L’Ostiense fu il cuore dei commerci romani, fino al trasferimento di ogni attività, nel 2002, nella vicina Guidonia, al Centro agroalimentare di Roma. Si rendeva allora disponibile alla Capitale uno spazio enorme, 8,5 ettari pari a 85mila mq, per una edificabilità fino a 400mila metri cubi. In queste circostanze, soprattutto in una città come Roma, le facce della medaglia sono due: quella di una straordinaria opportunità da cogliere e quella di un possibile mancato obiettivo.

Quante volte a Roma si è profilata la possibilità di un cambiamento e poi si è caduti nell’immobilismo? Un esempio classico e ricorrente è quello dello SDO, il celebre Sistema Direzionale Orientale, che rappresentava il punto qualificante del nuovo piano regolatore romano del secondo dopoguerra (1965) inizialmente concepito per sviluppare la Capitale secondo un asse orientale che avrebbe alleggerito la densità costruttiva della città storica dandole un equilibrio e un respiro diverso. Persino la legge su Roma Capitale di trent'anni dopo, nel 1990, voluta da Craxi e Andreotti, cercò di rianimare questo progetto frutto di una visione urbanistica che nel frattempo si era afflosciata sotto le spinte di una speculazione edilizia che fin dagli anni ‘50 non sembrava voler cedere il passo neppure alle nuove prescrizioni di un piano regolatore che nasceva con ottimi auspici e con il contributo dei migliori architetti dell'epoca.

Ebbene, tutto si fermò e passando da una variante all'altra lo SDO non vide mai la luce. Certamente si trattava di un obiettivo di gran lunga più ambizioso dei progetti di cui oggi parliamo ma emblematico dell’inerzia di una grande città che sembra incapace di realizzare un suo modello urbanistico nel quale modellare gli ambiti che le sono più congeniali di città turistica, culturale e dello sport; città della politica, delle Istituzioni dello Stato, delle rappresentanze internazionali e dell'Amministrazione Pubblica; città dell'agricoltura, del commercio e dei servizi; città della conoscenza, della ricerca e dell'innovazione. Tornando all’area dell’Ostiense, oggi una delle più interessanti della Capitale, che qui testimonia il ruolo che può esercitare per lo sviluppo urbanistico, la conoscenza e la ricerca con la presenza originale del polo universitario di Roma 3,  non sembra sfuggire anch'essa al destino di uno stallo senza fine.

Sono trascorsi quasi 20 anni dalla chiusura dei Mercati Generali, si sono succeduti da allora 4 sindaci di Roma e un Commissario prefettizio ma non è successo praticamente nulla da quando Veltroni nel 2003 annunciò il proposito di realizzare in quello spazio “la Città dei Giovani” avvalendosi, come andava di moda ai quei tempi, del contributo dell’archistar più in voga, l'olandese Rem Koolhaas.

Con lui il sindaco Veltroni voleva realizzare una grande piazza-agorà circondata da un auditorium da 2500 posti, un albergo-residenza per gli studenti, biblioteche e ludoteche, un cinema multi-sala, spazi commerciali, ristoranti e bar, zone verdi e parcheggi. Venne anche individuato il concessionario che avrebbe gestito il nuovo polo in cambio di una serie di servizi anche di manutenzione ordinaria e straordinaria, di vigilanza degli spazi interni e dei parcheggi, e poi il completamento dei lavori a carattere pubblico (decoro, mobilità , logistica) contemporaneamente a quelli previsti dal progetto negli spazi privati e infine l'assegnazione a canone calmierato degli spazi pubblici e privati riconoscendo un diritto di prelazione ai soggetti individuati dal Comune di Roma. I lavori partono faticosamente ma si bloccano e le responsabilità non possono essere attribuite tutte al successore di Veltroni, Alemanno, che a buon diritto intravide le fragilità di un piano faraonico, poco spendibile sul lato economico con evidenti difficoltà per il concessionario nel reclutamento di investitori alleati e nella ricerca di un ulteriore credito bancario.

Proprio per questo Alemanno scelse di eliminare l’auditorium e di potenziare il commerciale. Ma questo fece saltare tutto e costrinse di fatto l’amministrazione comunale a tornare al punto di partenza con una variante urbanistica, la prima dopo il primo progetto andato in convenzione di Veltroni, per poi sviluppare la classifica, lunga e farraginosa procedura della conferenza dei servizi, l'unica in grado di certificare il nuovo corso impresso al piano. Ma la crisi economico-finanziaria di quegli anni ha complicato le cose peraltro coincidendo in un bilancio comunale già oberato da un debito di circa 12 miliardi di euro ereditato dalla gestione Veltroni che venne in parte tamponato dal commissariamento predisposto dal governo Berlusconi, con la gestione parallela dei bilanci di una good e bad company e 500 milioni di euro devoluti ogni anno dallo Stato al Comune. Ciò rendeva asfittica però l’agibilità amministrativa di Alemanno la cui prima preoccupazione era pagare gli stipendi al personale del Campidoglio (oltre 20mila persone) e risanare le aziende partecipate municipalizzate, lasciate, fatta eccezione di Acea, tutte in condizioni assai deprecabili. Per l'area degli ex Mercati Generali non si apre quindi un orizzonte promettente; l'archistar olandese prese l'aereo di ritorno e i lavori si bloccarono.

E’ con l'arrivo di Ignazio Marino che le cose sembrano poter ripartire anche per impulso dell’assessore all’Urbanistica Caudo. E con una seconda variante urbanistica si torna solo parzialmente al progetto di Veltroni con una serie di nuove prescrizioni nella convenzione integrativa al concessionario. Con Ignazio Marino si conferma e anzi si accentua lo spazio a destinazione commerciale, passato dai 28 mila metri quadrati di Veltroni ai nuovi 39 mila come aveva già previsto Alemanno (30mila) per rendere più sostenibile il piano economico-finanziario della riqualificazione. Alla cultura e al tempo libero vengono destinati ora 23mila metri quadrati dagli iniziali 32mila di Veltroni, confermando nei numeri la scelta di Alemanno. La ristorazione passa dai 10mila di Veltroni e 9mila di Alemanno, ai 7 di Marino. Mentre lo spazio per il terziario che era raddoppiato dai 10mila metri quadrati di Veltroni ai 22 di Alemanno è sceso di nuovo ai 10.500 di Marino.

In sintesi come si vede sugli 85mila metri quadri disponibili di superficie utile lorda il 45% è destinato a negozi e centro commerciale. Questa la sostanza delle cose che mette d'accordo un po’ tutti, da destra a sinistra, e come vedremo anche l'attuale amministrazione pentastellata, anche perché il sub concessionario che si era affiancato alla prima azienda titolare della realizzazione del progetto è un gruppo immobiliare leader internazionale nel settore della realizzazione di grandi poli commerciali. Alla ristorazione viene destinato l'8,5% degli spazi, al turistico alberghiero per studenti il 6% circa, alla cultura e tempo libero circa il 28% e al terziario il 13%. E i nuclei costruttivi più significativi sono l’ostello studentesco, la biblioteca, il cinema, una sala conferenze , un centro anziani, uffici pubblici, bar e ristoranti e un grande centro commerciale. Dall'idea originaria e un po’ retorica della Città dei Giovani di Veltroni, economicamente vulnerabile, si è dunque transitati nel 2015, ad un più realistico cluster commerciale innervato tuttavia da un’ampia offerta culturale e dei servizi alla persona.

Arriviamo ai giorni nostri con la sindaca Raggi che con una sua nuova mini variante al progetto di Veltroni, la terza dopo Alemanno e Marino, conferma sostanzialmente le riqualificazioni delle strutture preesistenti e il costruito edificabile, previsto dalle intese urbanistiche dei suoi predecessori. Rispetto al passato c’è più verde, un sistema di piste ciclabili, un aumento di 2500 metri quadrati di superficie ad uso pubblico per un totale di 30mila metri quadrati, oltre ad una serie di obblighi per la riqualificazione del quartiere circonvicino. Tuttavia si parte subito con il piede sbagliato - ma con la sindaca Raggi è accaduto spesso - quando dopo pochi mesi dalla nascita della giunta l’assessore all’Urbanistica Berdini - polemico su molti dossier con la Sindaca - abbandona il suo incarico. Ma ciò che poi ha ulteriormente complicato le cose è stato il passaggio del progetto ex Mercati Generali dall’assessorato all’Urbanistica a quello dei Lavori Pubblici che comunque dimostrava la volontà del Comune di Roma di non attardarsi ulteriormente sulle varianti urbanistiche ma di concentrarsi sui lavori edili da realizzare nella vasta area interna per l’equilibrio dei pesi urbanistici delle sue diverse funzioni e per la sua infrastrutturazione considerando i carichi di traffico eccessivo nella zona ostiense, il rischio di spezzare in due la mobilità fra la via e la Circonvallazione ostiense e infine la carenza dei parcheggi.

C’è poi da dire che oggi, anche se le carte sono tutte pronte e sottoscritte, dobbiamo confrontarci con la crisi economica causata dall'emergenza sanitaria della pandemia e tutto sembra essersi fermato nel già sperimentato “immobilismo Capitale”, come purtroppo accade in molti punti della città e lo abbiamo già visto negli immobili all'ex Fiera di Roma sulla Cristoforo Colombo.

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