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Roma
Francesco Totti, re del Vanity. C'era una volta il pupone, con papà accanto

A Francesco Totti è dedicato il nuovo numero di Vanity Fair con un titolo che la dice lunga sull'ex pupone, ormai Re di Roma.

Nonostante il lutto per la scomparsa del padre di Francesco, Vanity Fair decide di mandare in stampa il giornale e e quello che emerge è la storia di un uomo nato per il calcio e che sabato prossimo debutterà sul grande schermo con un documentario firmato da Alex Infascelli.

Racconta Totti: “Quando entro in campo, Francesco resta fuori e io divento Totti. Perché Totti ha tutto quello che serve per stare là dentro”, racconta il capitano. Me lo immagino come gli eroi di Omero, Achille, oppure Ettore, che vanno incontro al proprio destino anche quando sanno come andrà a finire. Fieri, sicuri. Gloriosi, appunto. I primi tiri di palla in spiaggia. Le partite a calcio da bambino, quando i più grandi non lo volevano in squadra ed Enzo, suo padre, diceva “fatelo giocare”. Perché appena Francesco mette i piedi sul pallone, restano tutti a bocca aperta. Il primo ingaggio, il primo assegno. La convocazione in serie A, la Nazionale, l’infortunio, il Mondiale, lo scudetto. Gli alti e bassi, i colpi inferti e quelli subiti, le glorie e gli errori, i rigori segnati, il destro micidiale, la rabbia da rosicone, la gioia da campione. Enzo era sempre accanto al figlio mentre Francesco diventa Totti e Totti era la Roma. Difficile misurare la forza, la grandezza di questo atleta. L’unico modo che mi viene in mente è ricordare una partita, per altro nemmeno una delle più importanti”.

Sugli spalti, per la prima volta, Francesco ha invitato la futura moglie Ilary Blasi. Prima di entrare in campo, decide di mettere una maglietta bianca con la scritta “6 unica” sotto quella col numero 10 da capitano. Se segnerà, la toglierà e dichiarerà così il suo amore a lei. La partita sta per finire, lui ha fatto tre assist che hanno generato tre goal. Manca poco al fischio finale, le speranze stanno per svanire. Poi, all’improvviso, col suo destro micidiale mette a segno un altro goal. Corre verso gli spalti, alza la maglietta. Il resto è storia. Ecco, se penso a cosa sia il destino, il destino di questo eroe, quello di suo padre, forse quello di tutti, allora mi rendo conto che il destino è mettersi una maglia, un sogno sotto la vita di sempre e sperare che si realizzerà senza sapere se si realizzerà. In quel gesto, in quel “comunque vada”, c’è tutto. L’amore, la pazienza, l’orgoglio di un padre che non ti ha mai detto bravo ma che ti ha sempre dimostrato di essere lì, dietro, vicino, accanto. E la grandezza di un figlio che non ha mai detto molto ma ha sempre dimostrato di saper fare di più. Arrivederci Enzo. Lo vorrebbero tutti un papà così” commenta Simone Marchetti, direttore di Vanity Fair.

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