Giornalista disoccupata, “Se nasconde le competenze può fare la dog sitter” - Affaritaliani.it

Roma

Giornalista disoccupata, “Se nasconde le competenze può fare la dog sitter”

Mamma di due bambini perde il lavoro e va al centro per l'impiego

Giornalista e scrittrice disoccupata, va al centro per l'impiego per cercare un lavoro insieme alla sorella restauratrice, anche lei senza occupazione, e le chiedono di eliminare dal curriculum tutte le esperienze di tipo intellettuale. “Può cercare impiego come baby sitter e organizzatrice si sagre”.

 

Valeria Scafetta è stata direttore responsabile del giornale “Roma che verrà”, ha seguito la comunicazione di importanti progetti sociali e di personaggi di rilievo. Valeria è una mamma di due bambini e dopo aver perso il suo lavoro più o meno stabile ha deciso di lasciare Roma e trasferirsi. Ha scelto affaritaliani.it per raccontare, con l'ironia che la contraddistingue, la sua storia.

di Valeria Scafetta

“Tu che hai i bambini, uno piccolo poi, ovviamente, non lavori.” Ho smesso di contare le volte che negli ultimi mesi mi sono sentita protagonista di questo sillogismo, lanciato contro con naturalezza. Fieramente ho sempre risposto con quella che è poi la realtà dei fatti: “Provo a lavorare da casa, scrivendo, gestendo uffici stampa per piccoli eventi o organizzandone alcuni, così per non perdere l’abitudine.”
Lo sguardo degli interlocutori a volte si fa ammirato, spesso però scettico, come a dire: “Sì certo, se non avessi chi porta lo stipendio a casa, mica potresti permettere di fare i tuoi lavoretti da intellettuale!”.

Con il tempo ho smesso di rimanerci male, arrivando, con meno sardonica cattiveria, alla stessa conclusione, soprattutto ammirando l’ultimo anno di raccolta di documenti per il mio commercialista: ricevute miste, ma sempre rigorosamente per una somma complessiva inferiore ai 5000 euro totali.

Ringrazio comunque chi me le ha firmate e mi ha concesso l’illusione di non aver smesso di fare il mio lavoro. Insomma, io quello so fare e ho fatto da quando ho 19 anni: scrivere, studiare, approfondire e riportare nella maniera più semplice e comprensibile, oppure creare rete e diffondere idee attraverso l’organizzazione di eventi.
Ho allattato mentre correggevo articoli che poi pubblicavo nel giornale online che ho diretto e, anche nel momento di massima sfiducia verso il prossimo, non ho mai smesso di aver voglia di sostenere le giuste cause. Non so chi ha scritto che sistemare il proprio curriculum spesso serva a capire il livello di fallimento più o meno raggiunto. Non rintraccio in me questa negatività, però se guardo a quanto fatto concretamente, alla fatica, a volte la frustrazione ma anche all’entusiasmo nascosto dietro ogni passaggio professionale, forse dovrei aver raggiunto un livello di benessere e di serenità diversi.

Recriminare non serve, è la mia filosofia di vita, quindi questa mattina mi sono convinta con mia sorella, restauratrice di dipinti e mosaici, da Santa Croce al duomo di Otranto, ad andare al centro per l’impiego. Un po’ per sfida al sistema, un po’ per smettere di credere che sono la nuova Rowling e prima o poi vivrò della mia scrittura. L’operatrice è stata adorabile, ha ascoltato le nostre storie con interesse e sollevando ogni tanto le spalle. “Restauro non c’è tra le competenze, o meglio: c’è ma nel senso di operaio imbianchino. Non ha fatto altro oltre questo?”

La prima domanda è a mia sorella che per fortuna ha un passato solido di baby sitter e soprattutto dog sitter a cui far riferimento: altro che i marmi di Sant’Agnese a cui ha dedicato giornate intere di minuziosa professionalità oltre al mal di schiena. “Perfetto possiamo barrare l’ambito cura degli animali domestici.” “Da piccola sognavo di fare la veterinaria”, si fa scappare l’aspirante dottoressa Peluche con specializzazione in restauro di materiali lapidei.

“Certo con lei, mi viene ancora più difficile trovare un campo di offerte.” L’impiegata provinciale punta lo sguardo su di me e sentenzia, sempre con benevola e solidale complicità. “Ha lavorato alla presidenza di una Regione e poi è sempre rimasta in occupazioni troppo definite sulla sua professione per la quale non c’è niente.”
“Ho anche organizzato eventi magari qualcosa su questo c’è e poi inserivo dati e articoli nel web, non so se serve.”
“Mai fatto la baby sitter?”
“Ho due figli, con i bambini so stare.”
“Trovato, mettiamo: aiuto compiti e organizzazione fiere e sagre”.

Nel salutarci, l’operatrice con cui ormai ci diamo amabilmente del “tu”, raccomanda di inviarle il curriculum, ma di adeguarlo alla sintesi della nostra conversazione quindi: “togliete tutto quanto faccia riferimento ad occupazioni che richiedano un’eccessiva specializzazione. Scremate e cercate di mettere in evidenza esperienze legate di più ai lavori di cui vi ho parlato, oppure rimanete nel generico.”
Forse ce lo aspettavamo, non si trova certo un giornale su cui scrivere o un laboratorio in cui restaurare tra le offerte di un centro per l’impiego, ma scoprire che a 40 anni per poter contare su un impiego più stabile, un part time ai limiti della dignità, si debba celare le proprie competenze, lascia un po’ di amarezza.
Abbiamo sorriso lo stesso, perché abbattersi non serve, magari sarebbe stato meglio nascondere le nostre identità sin dall’inizio, fingere di ricominciare veramente da zero, tanto i lavori intellettuali hanno una consistenza timida e poco credibile.
Al diavolo il curriculum: siamo bravissime a fare le divisioni a due cifre (a tre non osiamo) e come tiriamo noi l’osso ai labrador non abbiamo rivali.