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Roma
Il cibo come metafora del consumismo: la fotografia di Sajot in mostra a Roma

La casa come microcosmo in cui misurare la pervasività dei meccanismi di consumo in cui ciascuno è immerso e la loro influenza sulle abitudini quotidiane, sulla gestione dei corpi e sulla costruzione dell’identità. Una ricerca sulle abitudini sociali, culturali e antropologiche è la traccia che orienta i punti cardinali della mostra “OVNI” di Nordine Sajot a Casa Vuota, a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo.

La personale dell’artista parigina, che da tempo vive e lavora a Roma, si inaugura sabato 26 ottobre 2019 alle ore 18:30 nell’ambito delle iniziative di Rome Art Week e si può visitare su appuntamento fino all’8 dicembre negli spazi espositivi di via Maia 12.

“OVNI – scrivono Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – è un brand fittizio inventato da Nordine Sajot: un marchio pubblicitario che si appropria del lettering di una nota marca produttrice di cioccolata per dare vita a un altro prodotto, inesistente eppure assolutamente credibile. Non è un semplice gioco di inversione di elementi grafici quello che l’artista propone, ma un ragionamento visivo sulle regole grammaticali e sintattiche del processo consumistico, che innesca una riflessione sulla mescolanza di desiderio, appagamento del piacere, aspettativa sociale ed esperienza del corpo tra materiale e immateriale”.

È una ricerca multiforme quella dell’artista, che nella mostra di Casa Vuota spazia dalla fotografia al ricamo, ai disegni luminescenti, alle installazioni alimentari fino ad arrivare alle sculture olfattive, la cui profumazione è stata progettata dall’artista insieme a Cristina Murgia di Voglio la Luna fragranze. Il profumo è stato creato appositamente insieme alle sculture in occasione dell’evento.

“Metafora portante del discorso sul consumo condotto da Sajot – proseguono i curatori – è il cibo. Il cibo si pone al centro di una rete di stimoli e di relazioni che collegano i singoli corpi con il corpo sociale. E così, per l’artista, sulla pelle del cibo si incidono i segni di neotribalismi consumistici. Il meccanismo della masticazione si mostra in un inedito aspetto cosmetico e seduttivo. La seduzione della pubblicità si fa volatile e spinge la fruizione artistica verso sensi altri, solitamente non attivati nella visione di una mostra. I centri del consumo collettivo vengono riletti con la sacralità dei luoghi di culto e le azioni quotidiane si cristallizano nella forma di laici ex-voto. Il logo mostra la matrice della sua falsificabilità, superando la necessità di distinguere tra originale e copia, tra falso e vero, insieme al relativismo del sistema di valori che è chiamato a esprimere. Il filo comune che lega tra loro le opere esposte in mostra è una domanda sul ruolo dell’immagine, riflessa come in un gioco di specchi sull’esperienza privata di ciascun consumatore, complice la casa. E l’interrogativo investe dalle fondamenta anche l’idea stessa di arte. Non è una denuncia, quella di Sajot, ma un’appassionata constatazione, un immaginare osservando, che a volte assume i toni dell’ironia e altre volte si carica di una tensione imponderabile, abbracciando gli ossimori senza timore”.

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