Kosovo tra passato e futuro. Sky riscrive la storia recente - Affaritaliani.it

Roma

Kosovo tra passato e futuro. Sky riscrive la storia recente

di Marco Zonetti


In onda in prima visione assoluta mercoledì 20 aprile alle 21.00 su Sky Cinema Cult HD (canale 314 di Sky) e su Sky TG24 (canale 50 del DTT), Nella terra dei merli: Kosovo tra passato e futuro, docufilm prodotto Good Day Films di Michele Bongiorno (valente figlio del compianto Mike), in collaborazione con Sky Cinema, per la regia di Andrea Bettinetti, è un’opera toccante, istruttiva e di gran pregio che consigliamo vivamente a tutti.
La “terra” del titolo” è per l’appunto il Kosovo, che prende il nome dalla “Piana dei Merli” in cui, nel 1389, si scontrarono cristiani e ottomani. L’ennesima fra le tante guerre che nel corso dei secoli hanno infiammato questa regione, fino a quella – devastante – combattuta a metà degli anni Novanta fra la popolazione di etnia serba e quella di etnia albanese (perlopiù di religione musulmana) che culminò nel 1999 con l’intervento della NATO e i conseguenti bombardamenti che hanno lasciato una scia di rovina e distruzione. Soprattutto nell’animo degli abitanti.
Sono già passati diciassette anni, e il conflitto armato – i cui strascichi sono vivi e presenti – ha ceduto il posto a un’ostilità strisciante che serpeggia fra i tanti monumenti ai caduti, che sfregia i cartelli stradali scritti in due lingue (quella albanese per prima e quella serba spesso cancellata da uno sprezzante sbaffo di vernice), che incupisce gli occhi della gente.
Il docufilm di Andrea Bettinetti (il terzo dopo Reduci e Lungo la Blue Line, sempre realizzati con lo stesso team produttivo e dedicati all’impegno militare italiano in zone di guerra) segue da vicino tre unità italiane di monitoraggio appartenenti alla KFOR (forza militare NATO di cui fa parte anche il nostro esercito in loco), dando voce alle testimonianze dei suoi membri – uomini e donne che spiccano per sobrietà e abnegazione – e documentando le reazioni della popolazione alla loro presenza. Gran motivo d’orgoglio per il nostro paese e per le forze armate italiane il fatto che i nostri soldati presenti sul territorio non vengano percepiti come invasori, come stranieri, come intrusi, bensì come amici in uniforme. Garanzia di protezione, di sicurezza, di salvezza. In ultima analisi, di speranza.
Seppur realizzato con il sostegno degli Stati Maggiori della Difesa e dell’Esercito, Nella terra dei merli è però tutt’altro che un documento autocelebrativo delle forze armate. Come il tribunale della Storia nelle parole di Benedetto Croce, “né assolve né condanna, soltanto registra” i rapporti fra i nostri connazionali e i kosovari, a qualunque fazione essi appartengano, evidenziando con discrezione il prezioso lavoro compiuto dai nostri soldati per offrire almeno una parvenza di normalità a un popolo cui è stato tolto tutto. Un esempio: l’encomiabile ricostruzione del monastero ortodosso di Zociste, ricco di splendide immagini sacre e luogo di devozione per tre religioni (cristiana, musulmana e ortodossa), fortemente voluta dal generale Danilo Errico, oggi capo di Stato Maggiore dell’Esercito, e attuata proprio grazie alla KFOR. Suggestive le testimonianze dei soldati italiani di stanza sul territorio e del generale Guglielmo Luigi Miglietta, che ci accompagna per mano in questa terra sofferente che lotta con tutte le forze per risollevarsi, mentre nuove sfide si fanno sempre più pressanti: la crisi economica, la disoccupazione dilagante, i flussi migratori dagli esiti imprevedibili e il fenomeno agghiacciante dei foreign fighters, cui si oppone con fermezza la presidentessa kosovara uscente, Atifefe Jahjaga.
In questa polveriera sempre pronta a scoppiare, in questo tessuto di contraddizioni, in questo “campo minato” di rancori che covano sotto le ceneri, i nostri connazionali si distinguono per il loro aiuto costante alla popolazione disastrata, sostituendo di fatto la polizia locale e agendo da custodi dell’incolumità degli abitanti.
Nella terra dei merli rende finalmente giustizia ai soldati italiani impegnati in territori pericolosi e, lungi dal propugnare una cultura militaristica, sottolinea invece l’importanza di un approccio sapiente, pacifico e costruttivo, di una ricostruzione prima di tutto umana e spirituale come quella portata avanti dai nostri soldati in Kosovo per restituire dignità, speranza e un’idea di futuro ai paesi devastati. Un’opera lodevole per cui auspichiamo tutti i riscontri e i riconoscimenti che merita.