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Roma
“La mafia non lascia tempo”: la storia di Mutolo, il traditore di Cosa nostra

di Patrizio J. Macci

Gaspare Mutolo, uomo d’onore di Cosa nostra e autista di Totò Riina, per vent’anni ha praticato estorsioni, minacciato, e ucciso barbaramente in nome e per conto della mafia. Anna Vinci lo racconta magistralmente nella nuova edizione del suo libro “Gaspare Mutolo - La mafia non lascia tempo” (Chiarelettere) edito per la prima volta nel 2013 e da tempo introvabile.

Un’intervista inedita completa aggiunge al volume un’energia dirompente. Mutolo si è dissociato dalla mafia nel giugno del 1992 consegnando tutto quello che sapeva ai magistrati. È uno dei più vecchi collaboratori di giustizia ad essersi pentito e a non essere un capo. L’autrice è riuscita a farsi consegnare in un flusso orale vere e proprie perle sul comportamento quotidiano del soldato di mafia, sulla struttura dell’organizzazione: la rigida compartimentazione che vede, dal basso verso l’alto, il soldato di mafia, poi il capodecina e il consigliere, da questi si passa al capofamiglia e poi al capomandamento, fino ad arrivare alla Commissione che è l’organo supremo nelle decisioni.

Mutolo conduce una doppia vita, fuori casa è uno “scannacristiani”, in famiglia un padre affettuoso e autoritario quando serve. La vita di un mafioso è scandita da regole semplici ma molto rigide. Innanzitutto le frequentazioni: nella propria abitazione solo mafiosi doc o parenti di provata fiducia. È possibile incontrare gli estranei solo all’esterno. Feste, ricorrenze, matrimoni, compleanni, battesimi, morti, funerali: gli Uomini d’onore li passano sempre nella loro ristretta cerchia. Anche le mogli molto spesso provengono da altre famiglie mafiose o perlomeno vicine a loro, dello stesso quartiere. Per le “persone normali” vale la regola dell’irreversibilità, una volta dei nostri sempre dei nostri.

Quando si crea un rapporto con i mafiosi, non si torna mai indietro: non è un mondo nel quale ci si può fare un giro e basta. Quando si scatena la guerra sanguinaria contro la “belva sanguinaria” Totò Riina qualcosa si rompe in lui. L’Organizzazione sta per diventare un’hydra mostruosa. Prima di questo c’è il racconto del cursus honorum da ladruncolo di quartiere ai primi furtarelli fino ai viaggi in Ferrari con la consapevolezza che prima o poi, nel caso di un arresto, il processo si sarebbe aggiustato. Gli avvocati “amici” lavoravano di fino per trovare lepismi giuridici determinanti quando il processo sarebbe arrivato in Cassazione, dove un magistrato buono per ammazzare la sentenza la aspettava con il fucile spianato.

C’è una rivelazione "succosa" che è sfuggita a molti sottolineata da Brusca: si può dire che Cosa nostra decise di uccidere Giovanni Falcone, più che per vendicarsi del maxiprocesso, per una sua frase giudicata sacrilega dettata a un quotidiano. “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, avrà anche una fine”. A qualcuno non deve essere andata giù, dichiara Brusca, perché loro si sentono immortali. I boss mafiosi scrivono molto raramente perché ossessionati dalla segretezza, ma sanno leggere molto bene.

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